Perché neanche con il presidenzialismo in Costituzione Berlusconi potrà sostituire Mattarella

Giacomo Andreoli

12/08/2022

Il leader di Forza Italia vuole approvare una riforma presidenziale della Costituzione e far dimettere subito Mattarella per andare a elezione diretta: ecco perché lo scenario non sembra plausibile.

Perché neanche con il presidenzialismo in Costituzione Berlusconi potrà sostituire Mattarella

Una riforma della Costituzione in senso presidenziale per far eleggere direttamente il capo dello Stato ai cittadini. E una volta approvata far dimettere subito Sergio Mattarella per andare al voto. A proporlo è il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, scatenando le polemiche.

L’ex presidente del Consiglio ha spiegato a Radio Capital di volere una modifica del genere della Carta fino dal 1995, poco dopo essere sceso in politica. “Se la riforma entrasse in vigore sarebbero necessarie le dimissioni di Mattarella” ha detto chiaramente, ma all’elezione diretta il nuovo presidente “guarda caso, potrebbe essere anche lui”.

Il sogno di Berlusconi: il Quirinale

Secondo alcuni il vero “piano” di Berlusconi sarebbe farsi eleggere lui stesso presidente della Repubblica nella prossima legislatura, prima della scadenza naturale dell’attuale capo dello Stato nel 2029, quando il presidente di Forza Italia avrebbe 92 anni.

Un’età troppo avanzata per aspirare al Colle, che lo costringerebbe a mettere nel cassetto quello che non ha mai nascosto di ritenere per lui un grande riconoscimento, se non un vero e proprio sogno.

Il numero uno del Partito Democratico Enrico Letta ha commentato la dichiarazione di Berlusconi parlando di una “destra pericolosa per l’Italia”. A dire esplicitamente che c’è un “piano di spartizione del potere” è invece il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, secondo cui “il centrodestra ha calato la maschera, ammettendo che prefigura un accordo così: Giorgia Meloni premier, Matteo Salvini vicepremier e ministro dell’interno, Berlusconi primo presidente della nuova Repubblica presidenziale”. Ma è davvero plausibile che ciò possa accadere entro il 2027?

Cosa prevede la riforma presidenziale della Costituzione

Berlusconi ha chiarito in un post su Facebook di non aver chiesto le dimissioni di Mattarella, ma semplicemente di aver fornito una spiegazione di come potrebbe funzionare la riforma del presidenzialismo proposta nel programma del centrodestra.

Una tale riforma, abbinata all’attuazione dell’autonomia differenziata (altro punto del programma dell’alleanza conservatrice) trasformerebbe l’assetto istituzionale del nostro Paese, rendendo le Regioni più forti dal punto di vista legislativo e alterando la natura costituzionale del capo dello Stato.

Gli effetti dell’elezione diretta del Capo dello Stato

Quest’ultimo, ad oggi, viene eletto dalle Camere in seduta comune integrate da decine di delegati regionali con almeno una maggioranza assoluta. Il suo ruolo è infatti quello di garanzia: non entrando nel merito delle scelte politiche di una parte o dell’altra, il presidente della Repubblica deve preservare la Costituzione e tutelare gli interessi fondamentali della nazione. Per questo viene scelto trovando un accordo largo tra partiti e movimenti diversi tra loro.

Con l’elezione diretta questa ratio potrebbe venir meno e a quel punto sarebbe più sensato, secondo i costituzionalisti, rivedere anche i poteri attribuiti a questa figura, magari avvicinandosi al modello semi-presidenziale francese, in cui il potere esecutivo è condiviso tra presidente della Repubblica e primo ministro. Della serie: se si sceglie, che abbia il potere di governare secondo una linea politica precisa e non sia solo un garante super-partes.

Alla ricerca della maggioranza dei due terzi

Per essere approvata la riforma costituzionale del presidenzialismo dovrebbe avere l’ok dei due terzi sia della Camera che del Senato, con doppia approvazione (a distanza di tre mesi l’una dall’altra).

Altrimenti, se si approva in almeno un ramo del Parlamento con la sola maggioranza assoluta (del 50%+1 dei componenti dell’aula), può essere indetto un referendum popolare per dare l’ok o bocciarla. In questo caso possono fare domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

A sostenere il presidenzialismo è attualmente tutto il centrodestra (compresa Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni), stimato nei sondaggi attorno al 47-48% dei consensi totali. Dato che alle elezioni del 25 settembre si voterà per un numero di parlamentari ridotti con una legge in parte maggioritaria, anche vista la divisione del campo progressista (tra centrosinistra, Movimento 5 Stelle e liberal-democratici), questi numeri potrebbero garantire una maggioranza dei due terzi sia alla Camera che al Senato.

La possibile intesa con Calenda e Renzi

Anche senza una tale maggioranza, però, il centrodestra potrebbe trovare un accordo per arrivare ai due terzi del Parlamento con Azione e Italia Viva. La nuova formazione guidata da Carlo Calenda, anche se oggi ha criticato le parole di Berlusconi su Mattarella, in passato si è detta favorevole all’elezione diretta del capo dello Stato. Matteo Renzi lo ha spiegato chiaramente più di una volta.

Dimissioni di Mattarella poco plausibili

Il centrodestra, quindi, potrebbe davvero approvare la riforma presidenziale della Costituzione senza passare per alcun referendum. In quel caso, però, Mattarella dovrebbe davvero dimettersi come ha detto Berlusconi? No, non avrebbe alcun obbligo in tal senso.

Nel settembre 2020 il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari approvato dai cittadini italiani ha portato a una modifica della Carta, passando da 945 a 600 eletti tra Camera e Senato, ma la riforma entrerà davvero in vigore solo ora con queste elezioni.

Seguendo la ratio di Berlusconi, Mattarella avrebbe dovuto immediatamente sciogliere le Camere per andare al voto, ma così non è stato e tutto fa pensare che allo stesso modo non si dimetterebbe in caso di approvazione di una riforma presidenziale.

D’altronde su questo i costituzionalisti sono praticamente tutti d’accordo: le riforme della Carta che cambiano le modalità di elezione delle istituzioni si applicano dalla legislatura successiva.

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