Petrolio, il prezzo può ancora esplodere per 2 motivi

Violetta Silvestri

18/11/2023

Il prezzo del petrolio è ancora a rischio e può esplodere soprattutto per 2 motivi. Cosa osservare attentamente nelle dinamiche della guerra Israele-Hamas?

Petrolio, il prezzo può ancora esplodere per 2 motivi

Il prezzo del petrolio è rimasto sotto controllo finora, nonostante la guerra tra Israele e Hamas abbia allertato il settore per i rischi di eventuali limitazioni alle forniture dal Medio Oriente.

Il greggio Brent è salito a 80 dollari al barile e i futures WTI a 75 dollari al barile nella giornata di ieri, venerdì 17 novembre. Questi livelli non preoccupano e sono ben lontani da picchi di oltre 100 dollari al barile del 2022. Mentre gli investitori osservano soprattutto le dinamiche della domanda, con i diffusi timori di un rallentamento economico, la minaccia di un deficit di offerta sta perdendo forza.

Tuttavia, un’analisi attenta e sul medio periodo suggerisce che il prezzo del petrolio può ancora esplodere per 2 motivi, che oggi rappresentano delle pericolose incognite. La geopolitica può ancora giocare un ruolo da protagonista, con i fattori Iran e Paesi dell’OPEC da prendere in seria considerazione.

1. Iran-Usa

L’allargamento del conflitto Israele-Hamas in Iran segnerebbe un’escalation pericolosa per diversi motivi, e tra questi spicca il prezzo del petrolio. La questione iraniana è complessa e riguarda soprattutto il rapporto tra Usa e Repubblica Islamica.

Il rischio che la guerra con Hamas, sostenuto dall’Iran, nel sud di Israele si espanda fino allo scontro con Hezbollah, un altro gruppo sostenuto da Teheran, sul confine settentrionale di Israele con il Libano, ha sollevato preoccupazioni sul fatto che gli Stati Uniti avrebbero sanzionato le esportazioni petrolifere iraniane.

La guerra ha complicato lo stato delle relazioni tra Stati Uniti e Iran. Da un lato ci sono le preoccupazioni riguardo al desiderio dell’Iran di dotarsi di armi atomiche e al rischio di proliferazione nucleare in Medio Oriente. Inoltre, c’è la questione dell’aperto sostegno dell’Iran a organizzazioni etichettate come terroristiche, tra cui Hamas e Hezbollah.

Poi c’è la sfida dei prezzi del petrolio. Come la Russia, l’Iran arricchisce gran parte del suo budget tramite le entrate dalle esportazioni di petrolio. Amos Hochstein, consigliere per l’energia della Casa Bianca, mercoledì ha detto a Bloomberg che gli Stati Uniti intendono imporre sanzioni contro l’Iran e che le misure ridurranno le esportazioni di petrolio della Repubblica Islamica.

Hochstein ha anche spiegato che il miglior sistema per diminuire le entrate in Iran è mantenere le esportazioni a un livello inferiore, ma anche assicurarsi che i prezzi siano più bassi.

Con i prezzi del petrolio in ribasso, non è chiaro quale impatto potrebbe avere la perdita dei barili iraniani. Una mossa politica che riducesse le esportazioni iraniane causerebbe quasi certamente un certo aumento delle quotazioni.

Matt Smith, analista petrolifero della società di analisi Kpler, stima che l’Iran stia attualmente esportando circa 1,5 milioni di barili al giorno e che il Paese produca fino a 3,4 milioni di barili al giorno, un livello massimo pluriennale. Se le sanzioni statunitensi contro l’Iran riuscissero a togliere dal mercato globale 1,5 milioni di barili al giorno, ciò potrebbe aggiungere 10 dollari al barile ai prezzi del petrolio.

L’analista ha anche affermato che il greggio iraniano sta mantenendo stabile l’offerta globale e che con l’imminente anno elettorale nel 2024, l’amministrazione Biden è “focalizzata nel mantenere il prezzo alla pompa basso”. Sarà difficile, quindi, vedere una mossa Usa contro l’Iran che vada a sconvolgere il mercato petrolifero. Tuttavia, il rischio di un deterioramento delle relazioni americane e iraniane c’è.

2. Rabbia dei Paesi OPEC

Il prossimo 26 novembre si riunirà l’OPEC+ e sarà interessante capire se ci saranno cambiamenti sulla politica di produzione del petrolio del potente cartello.

L’Arabia Saudita si starebbe preparando a prolungare i tagli alla produzione di petrolio fino al prossimo anno, mentre l’Opec+ sta valutando ulteriori riduzioni in risposta al calo dei prezzi e alla crescente rabbia per la guerra tra Israele e Hamas.

Secondo indiscrezioni raccolte dal Finacial Times, il governo saudita estenderà il taglio di 1 milione di barili al giorno almeno fino alla primavera. La misura volontaria, che scadrà alla fine di quest’anno, è stata introdotta in estate e si è aggiunta alla politica di diminuzione della produzione dell’Opec. Attualmente l’Arabia Saudita produce circa 9 milioni di barili al giorno, rispetto a un massimo di circa 12 milioni di barili al giorno.

Ulteriori tagli, che potrebbero infiammare le tensioni con gli Stati Uniti, sono al vaglio del cartello. Sebbene il calo del prezzo del petrolio sia visto come la causa principale della politica Opec volta ad abbassare il pompaggio di greggio, i membri sono anche indignati per la guerra di Israele contro Hamas e per la crisi umanitaria a Gaza.

Il cartello sarebbe come “galvanizzato” dal conflitto, con Kuwait, Algeria e Iran tra i Paesi Opec più agitati dalla guerra.

“Non bisogna sottovalutare il livello di rabbia che c’è e la pressione che i leader del Golfo avvertono da parte delle loro popolazioni per rispondere in qualche modo a questo conflitto”, ha sottolineato una persona vicina ad alti esponenti dell’Opec.

Christyan Malek di JPMorgan ha affermato che l’Opec+ potrebbe effettuare un ulteriore taglio di 1 milione di barili al giorno per prevenire la “potenziale debolezza della domanda” nella prima metà del prossimo anno, con l’Arabia Saudita che si aspetta che altri membri “condividano il carico” di eventuali ulteriori tagli. Altri analisti hanno suggerito che il principe Abdulaziz potrebbe spingere altri Paesi a diminuire di più i flussi.

Il programma di riforme economiche del principe ereditario Mohammed bin Salman, infatti, richiede un prezzo del petrolio vicino ai 100 dollari al barile, sostengono gli esperti.

Tuttavia, alcuni analisti suggeriscono che i membri dell’Opec+ procederanno con cautela, consapevoli del loro ruolo crescente sulla scena internazionale. Gli Emirati Arabi Uniti, che questo mese ospitano i colloqui sul clima della COP28 delle Nazioni Unite a Dubai, desiderano presentarsi come una nazione moderna e affidabile.

Il momento storico, però, rimane molto incerto e delicato e il fattore Paesi del Golfo/Opec può ancora colpire il prezzo del petrolio. Helima Croft, ex analista della CIA e capo della ricerca sulle materie prime di RBC Capital Markets ha affermato che mentre il mercato petrolifero ha ampiamente scontato l’espansione del conflitto, ci sono ancora grossi rischi, in particolare sul confine settentrionale di Israele con il Libano, dove uno scontro con Hezbollah potrebbe portare l’Iran nel conflitto.

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