Cosa significa fare innovazione oggi? Con Massimo Canducci (Engineering Ingegneria Informatica)|Digital Innovations days 2021

Redazione

5 Novembre 2021 - 09:24

La pandemia ha messo a dura prova le aziende e il digitale ha svolto un ruolo di primaria importanza nella sua gestione. Cosa significa fare innovazione oggi? Ne abbiamo parlato con Massimo Canducci.

Cosa significa fare innovazione oggi? Con Massimo Canducci (Engineering Ingegneria Informatica)|Digital Innovations days 2021

La pandemia ha messo a dura prova tantissime attività svolte nella quotidianità dei singoli, ma soprattutto delle aziende. Il digitale ha svolto un ruolo di primaria importanza nel gestire l’impatto della crisi e per riuscire a reinventare tanti processi interni in modo rapido e semplice.

Fare innovazione oggi ha un sapore tutto nuovo, forse perché l’intera società ne ha finalmente capito l’importanza. Ne abbiamo parlato con Massimo Canducci, Chief Innovation Officer (Engineering Ingegneria Informatica).

Cosa significa fare innovazione oggi, memori di un anno come il 2020 che ci ha messo di fronte a tutta una serie di vulnerabilità, specie in fatto di digitalizzazione?

La pandemia da Covid-19 è stata ed è un faticoso stress test per la società, per le aziende e per le organizzazioni. Quello che c’era di solido e resiliente ha retto l’impatto, quello che era fragile invece è andato in sofferenza. Tutti abbiamo imparato che se non si hanno processi interni completamente digitali è molto più difficile agire in fretta nell’attivare nuove modalità di lavoro e nell’ottenere da queste una produttività paragonabile a quella che si può ottenere con le modalità di lavoro tradizionali. Per attivare il remote working o lo smart working serve tecnologia, serve un mindset adeguato per le persone, serve una corretta forma organizzativa basata sulla responsabilità, ma soprattutto serve che i processi organizzativi e produttivi siano completamente digitali.

Fare innovazione nel periodo più critico della pandemia ha significato da un lato fornire strumenti concreti per migliorare la capacità della società nel combattere il virus e nel limitare i danni dovuti alla sua diffusione, dall’altro aiutare al meglio i clienti nell’attivazione di politiche di smart working e remote working agendo sia a livello di tecnologia e infrastruttura, sia a livello del loro business, aiutandoli nella trasformazione digitale in modo da avere processi davvero utilizzabili con qualunque modalità di lavoro.

Possiamo dire, quindi, che chi era già preparato, con processi ottimizzati e abilitati da innovazione e tecnologia, ha fatto molta meno fatica e ha mantenuto una migliore operatività del suo business.
La fase successiva sarà caratterizzata a tutti i livelli da alcune tipologie diverse di ecosistemi.

Opereremo in “ecosistemi di partecipazione”, in cui grandi e piccole aziende, startup, università, centri di ricerca e clienti si troveranno a lavorare insieme in attività di codesign dell’innovazione a beneficio di tutti, perché innovare insieme è e sarà sempre più una strategia vincente.
Avremo come obiettivo il rispetto totale degli “ecosistemi di appartenenza” che costituiscono l’ambiente che ci circonda e la società a cui apparteniamo. Impareremo presto che i temi della sostenibilità non sono semplicemente importanti per il futuro delle prossime generazioni, ma sono l’elemento centrale intorno a cui costruire le offerte di prodotti e servizi per i nuovi mercati che verranno. Impareremo che se non staremo costruendo un mondo migliore, allora non staremo innovando per niente.

Il tutto sarà abilitato dagli “ecosistemi digitali”, composti da insiemi di tecnologie, soluzioni, piattaforme e mercati in grado di adattarsi alle esigenze di aziende e organizzazioni. La tecnologia è uno straordinario abilitatore di innovazione, quando diventa parte di un ecosistema digitale, allora riesce a fare davvero la differenza.

Come cambieranno le tecnologie del futuro? Che ruolo avrà il fattore umano?

Da molti anni le attività umane sono abilitate e facilitate dalle tecnologie, basti pensare all’automazione industriale, ai trasporti, alla sanità o alle telecomunicazioni.

Oggi c’è però qualcosa di più, le tecnologie sono diventate spesso trasparenti e non ci accorgiamo di loro, salvo quando qualcosa per qualche motivo smette di funzionare come dovrebbe, soltanto in quel caso ci accorgiamo dell’esistenza di strati tecnologici che solitamente diamo per scontati. Persino i servizi offerti dallo smartphone, il coltellino multiuso che rappresenta una vera e propria appendice tecnologica nelle mani di tutti noi, vengono dati per scontati. Se dobbiamo fare qualunque cosa sappiamo che in quei due etti di tecnologia molto probabilmente troveremo una risposta o un servizio adeguati alle nostre necessità e quando qualcosa non funziona potremmo non essere più in grado di svolgere i compiti che a lui da tempo avevamo affidato, come orientarci, pagare, comunicare, scattare una fotografia.

Lo smartphone ci apre delle porte straordinarie su interi universi di potenzialità in termini di contenuti e servizi, ma ha due problemi: è un’appendice ancora un po’ troppo lontana da noi e ha una dimensione troppo piccola. La finestra che ci apre è più che altro uno spiraglio, troppo piccolo per essere funzionale per noi in modo davvero naturale.

Quello che ci aspetta in futuro è il superamento di questo paradigma e di queste limitazioni, andiamo molto velocemente verso nuove esperienze virtuali e immersive che saranno garantite e abilitate da una nuova classe di dispositivi: nuovi smart glasses che saranno l’evoluzione dei prototipi che sono oggi presenti sul mercato. Saranno dispositivi sempre connessi, con batteria dalla durata lunghissima, comandati dalla nostra voce e da apposite gesture. Avranno lenti trasparenti che potranno proiettare informazioni e servizi direttamente nel nostro campo visivo, ma le lenti potranno essere rese completamente opache per consentire l’immersione quasi completa all’interno di nuovi mondi virtuali. Non soltanto i metaversi verso cui stanno andando alcune grandi aziende, ma la disponibilità di modalità completamente nuove di accedere a notizie, contenuti multimediali e comunicazioni.

Questo introdurrà dei cambiamenti nelle nostre abitudini, se oggi siamo abituati a vedere persone piegate nei loro smartphone, domani dovremo abituarci a vedere persone perse nei loro occhiali smart, perché è proprio in quelle nuove tipologie di dispositivi che troveremo tutte le risposte e tutti i servizi che oggi cerchiamo nello smartphone.

Le nostre vite saranno “aumentate” da questa e altre tecnologie, ma avremo anche nuovi fenomeni sociali da gestire.

Quali sono le principali difficoltà che le aziende incontrano in un processo d’innovazione?

L’innovazione è un processo che parte dalle idee ed ha l’obiettivo di generare valore, ma talvolta si dimenticano alcuni di questi aspetti.

Per esempio ci si concentra sull’applicazione di tecnologia emergente a processi vecchi nella speranza che questi possano diventare migliori, quasi sempre non è così, l’approccio deve essere inverso: concentrarsi sul ripensare completamente i processi e quindi identificare le migliori tecnologie che possano fungere da abilitatori del cambiamento.

Un altro errore che a volte si fa è il non rendersi conto che le organizzazioni sono straordinari produttori di dati e questi dati, se ripensati e riorganizzati, possono diventare davvero il carburante per nuovi processi, in grado di migliorare efficienza e qualità dalla produzione.
Infine alcuni a volte pensano che la soluzione migliore sia fare tutto da soli, ma nella stragrande maggioranza dei casi non è così.

Le migliori esperienze di innovazione e di trasformazione digitale si ottengono quando si creano ecosistemi di partner in grado di affrontare un problema con punti di vista diversi e, di conseguenza, di risolverlo nel migliore dei modi. Insieme si innova meglio.

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