Covid in Italia: le differenze rispetto a un anno fa

Chiara Esposito

13/11/2021

Ad un anno di distanza dal picco dei contagi da Covid-19 guardiamo con occhio critico alle statistiche attuali. Ecco come si è evoluta la situazione pandemica.

Covid in Italia: le differenze rispetto a un anno fa

In un anno può cambiare tutto, ce lo ha insegnato la pandemia. La conta dei danni in termini di vite umane e risorse economiche è già stata fatta nel periodo post lockdown, il virus che ha colpito l’Italia e il resto del mondo però non si è arrestato e continua tutt’oggi a intaccare le nostre vite, seppur in maniera nettamente diversa.

A 365 giorni di distanza dal picco massimo registrato nel nostro Paese a livello di contagi da Covid-19 è arrivato il momento di capire come questo fenomeno virale tanto inaspettato quanto dannoso si stia evolvendo nel tempo.

Secondo gli esperti è proprio adesso che possiamo verosimilmente comparare quella situazione con il quadro attuale e valutare criticamente la risposta sanitaria nazionale, anche alla luce dell’intervento dei vaccini.

Per farlo non possiamo tuttavia basarci soltanto sulla nostra percezione, analizziamo piuttosto l’indice di diffusione del virus dati alla mano. Guardandoci alle spalle e osservando l’evoluzione progressiva registrata da novembre 2020 a novembre 2021 avremo anche la possibilità di capire cosa possiamo aspettarci per il futuro.

Il confronto con il 2020

La situazione di un anno fa è ampiamente descritta dalle statistiche. Prima di guardare ai numeri però contestualizziamo quel periodo.

Proprio di questi tempi, il 6 novembre dell’anno scorso, entrava in vigore il sistema dei colori: fascia rossa, arancione e gialla in base alla gravità del contesto regionale. Altra grande novità, presentata alla cittadinanza tramite il quarto DPCM consecutivo, era il ritorno del coprifuoco in tutto il territorio nazionale dalle 22 alle 5 di mattina. Con il ritorno della stagione fredda tornavano anche le mascherine obbligatorie all’aperto.

A livello di contagi invece ricordiamo questi valori: il 13 novembre del 2020 i nuovi casi di coronavirus in Italia erano 40.902, il dato che a oggi resta il più alto mai registrato da inizio pandemia. Questi riferimenti erano relativi alle misurazioni del venerdì, le più attendibili grazie al numero di tamponi processati.

In termini di pazienti ricoverati in terapia intensiva invece volavamo su cifre elevate pari a 3.170 persone, senza contare che i decessi giornalieri in media erano 458.

Cosa abbiamo di fronte oggi

Se applichiamo quindi gli stessi parametri al giorno d’oggi otterremo un quadro abbastanza diverso:

  • 8.516 contagi (misurazione di venerdì 12 novembre);
  • 445 ricoverati in terapia intensiva;
  • 48 decessi.

Il numero di casi è quindi ridotto ad un quinto, piuttosto stabili i ricoveri in terapia intensiva, drastico invece il calo per i decessi che rappresentano la forma e l’esito più grave della malattia stessa. La differenza più sensibile quindi tra ieri e oggi è il tasso di mortalità.

Ricordiamo inoltre che, a differenza di un anno fa, non è tornato in vigore il sistema dei colori delle regioni o per lo meno non allo stesso regime al quale eravamo stati abituati allora. I dati comunicati dall’Istituto Superiore di Sanità hanno confermato che, almeno per la prossima settimana, tutta l’Italia sarà ancora in zona bianca proprio perché gli indici considerati per il passaggio in zona gialla sono stati rimodulati da diversi mesi.

Si parla pur sempre di un’incidenza settimanale che continua ad aumentare (nella precedente settimana erano stati 53 i casi ogni 100mila abitanti, nell’ultima sono saliti a 78) ma, stando al nuovo sistema adottato dal decreto legge del 23 luglio, le regioni italiane al momento «risultano classificate a rischio moderato».

Ribadiamo infatti che una regione può passare dalla zona bianca a quella gialla solo nel momento in cui venga registrata un’incidenza settimanale dei contagi pari o superiore a 50 ogni 100.000 abitanti e vi sia contemporaneamente un’occupazione dei posti letto per pazienti affetti da COVID-19 superiore al 15%.

La pandemia dei non vaccinati è reale

A decretare queste grandi differenze sono stati due fattori rilevanti e opposti; le minori restrizioni negli spostamenti e il tasso di vaccinazione nel Paese.

Quest’ultimo dato parla chiaro: 76% della popolazione vaccinata con un ciclo completo e 2% con la prima dose. Dati variabili da regione a regione (Toscana in testa con 80,02% di cicli completati e Provincia di Bolzano in coda con il 67,96%), ma pur sempre un gran risultato. Si è passati inoltre alla terza dose per tante categorie e si consolida così una copertura abbastanza omogenea della cittadinanza.

L’effetto più evidente della protezione del vaccino, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, è perciò la garanzia contro l’evoluzione più seria della malattia. Il rischio di morte per chi invece si vaccina si riduce del 92%.

Tra i non vaccinati invece il virus continua a correre. La mortalità fra i non vaccinati è 13 volte superiore a quella nei vaccinati. Al netto dello scetticismo, possiamo quindi evidenziare in maniera netta quanto in questo senso i vaccini si sia rivelati efficaci per il contenimento e il controllo della pandemia.

L’uscita definitiva dallo stato di emergenza si poggia quindi sull’incremento delle forme di prevenzione dei rischi analoghe a quelle che stiamo attuando in questo preciso momento. Mantenere stabile il risultato ottenuto non sarà semplice ma le linee guida da seguire ci sono e sembrano anche piuttosto chiare.

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