Crowdfunding: il caso Userbot e la (non) trasparenza che fa male al mercato

Giulia Adonopoulos - Massimiliano Carrà

05/08/2019

Userbot ha già raccolto su Mamacrowd più di 670mila euro confermati, ma la storia di successo della startup di intelligenza artificiale è macchiata da un caso di non trasparenza emerso di recente. Money.it ha ricostruito i fatti e cercato di vederci chiaro.

Crowdfunding: il caso Userbot e la (non) trasparenza che fa male al mercato

Si chiude domani su Mamacrowd la campagna di Userbot, con la società specializzata nell’Intelligenza Artificiale che ha già ampiamente coperto la richiesta iniziale di 149.996 euro. A un giorno dalla chiusura, la startup ha raccolto oltre 817mila euro di manifestazioni di interesse da parte di 319 soggetti. Di questi, oltre 672mila euro di investimenti sono già stati confermati.

Leggendo i numeri, quella di Userbot appare indubbiamente una storia di successo, capace di catalizzare l’interesse di centinaia di investitori in tutta Italia. Nelle ultime settimane tuttavia si è parlato molto della società, e non per meriti o risultati raggiunti.

I numerosi gruppi di investitori specializzati nel crowdfunding sono stati colpiti da molti dubbi sulla validità e bontà del business comunicato da Userbot. Determinanti in tal senso le falle emerse dall’inchiesta della testata giornalistica YOUng, che ha in un certo senso scoperchiato il vaso di Pandora. Ma ricostruiamo il puzzle.

Una nuova campagna e il valore pre-money raddoppia

Userbot è una startup fondata nel 2017 da Antonio Giarrusso, Jacopo Paoletti, Marco Muracchioli e Ricardo Antonio Piana. Specializzata nell’applicazione dell’intelligenza artificiale nei rapporti tra aziende e clienti, Userbot ha richiesto il deposito di un brevetto relativo a tecnologie di Artificial Intelligence denominato proprio “Sistema di Intelligenza Artificiale per Processi Aziendali” per gestire in autonomia il servizio clienti dei brand e abbattere i costi legati all’intervento umano in alcune attività. Secondo quanto dichiarato dalla società, sono oltre 200mila le righe di codice proprietario scritte in questi anni, pari a 20.000 ore di lavoro.

Incubata dal PoliHub di Milano, Userbot non è nuova alle campagne di crowdfunding. In meno di due anni, quella che si sta per chiudere è la terza raccolta. La prima è stata nell’ottobre del 2017 e ha visto l’ingresso di due investitori provenienti dal network di BackToWork24 con un impiego di 300mila euro. La seconda, a metà 2018, è stata condotta su CrowdFundMe e ha visto l’ingresso di 130 nuovi soci. Il loro apporto ha permesso di raccogliere il massimo previsto, ossia 200mila euro. Il target minimo era di 80mila euro, con una valorizzazione pre-money pari a 3 milioni di euro.

Quella che si presenta come “la più grande scaleup italiana di sviluppo di tecnologie di Intelligenza Artificiale per l’automatizzazione dei processi aziendali” è così arrivata alla campagna attuale su Mamacrowd, con una valorizzazione pre-money balzata a 5.994.074,38 euro.

Il balzo della valutazione è indubbiamente giustificato dal fatto che a detta del management il 2019 “sarà l’anno della crescita, grazie allo sviluppo di nuovi modelli di business, nuove linee di prodotto e al lancio del SAAS”, così come riportato dallo shareholder report del quarto trimestre 2018 consultato da Money.it. Dallo stesso documento tuttavia si evince come il fatturato dell’ultimo trimestre dello scorso anno si sia attestato a 42.692,88 euro, di cui solo 21.220,88 incassati. Soprattutto, a fronte di una cassa pari a 328.741,422 euro, l’Ebitda previsionale per il 2018 si è attestato in territorio decisamente negativo (-87.044,38 euro, ndr).

Non vi sono dubbi che la generazione di cassa non sia un elemento fondamentale quando si valuta una startup, che come tale ha bisogno di più esercizi per sviluppare il proprio business ed entrare in una fase più matura del proprio sviluppo.

I dubbi vengono invece sulla trasparenza del management. Sulla carta Userbot vanta progetti e contratti con aziende di primo piano del contesto economico nazionale, quali Agos, Open Fiber, Fendi, Repower, pubbliche amministrazioni e altre realtà del settore automotive.

I dubbi avanzati su Userbot

A inizio luglio 2019 un report pubblicato su YOUng a firma del giornalista Germano Milite ha sollevato diversi dubbi sulla bontà del progetto di Userbot. L’inchiesta ha creato non poco clamore nel settore, mettendo in allerta soprattutto chi ha creduto e investito nella campagna di equity crowdfunding.

I dubbi sono sorti in primis sul fronte tecnologia e codice di Userbot, per cui sono stati contattati i presunti top client dell’azienda per saperne di più. Quello che è emerso è che tre su tre (Buzzoole, Agos e Comune di Sesto Fiorentino) che hanno avviato un rapporto di fornitura con Userbot hanno deciso di interromperlo. Con il Comune toscano si sarebbe addirittura intrapresa una via giudiziale, al momento interrotta in considerazione anche del relativo peso economico della commessa. Successivamente però su questo punto l’azienda ha chiarito inequivocabilmente la vicenda.

Secondo quanto evidenziato dall’inchiesta, alla base dell’interruzione dei rapporti con le aziende vi sarebbe stata sempre la stessa motivazione: nei fatti il sistema ideato da Userbot non sarebbe così avanzato, sofisticato e prestante come promesso, ma piuttosto insoddisfacente e continuamente bisognoso di intervento umano. A riguardo va tuttavia evidenziato che per aziende come Userbot i contratti di fornitura hanno una durata definita nel tempo e il loro rinnovo o meno dipende più da dinamiche di natura commerciale che dalla bontà del prodotto stesso. Il turnover dei clienti è insomma un elemento naturale.

L’aspetto più oscuro di questa vicenda riguarda proprio la lista di grandi partner elencati tra i clienti da Userbot. In alcuni casi le aziende menzionate nel proprio portfolio sarebbero in trattativa, più o meno avanzata, con la società specializzata nell’intelligenza artificiale; in altri invece i rapporti tra le parti sarebbero ancora in fase molto embrionale. Per capire da un punto di vista economico, emblematico anche in tal senso il quadro fornito dai dati a fine del quarto trimestre 2018. Su 2,1162 milioni di euro di proposte avanzate ai diversi interlocutori, solo 162,2 mila euro sarebbero in stato avanzato.

A seguito della pubblicazione dell’articolo, Userbot ha rilasciato un comunicato ufficiale per chiarire la sua posizione e illustrare lo stato attuale dell’azienda, dei clienti e del prodotto. Tra le altre cose ci ha tenuto a ribadire l’assoluta disponibilità - così come già fa - “a condividere la demo del prodotto in via riservata, tutelando asset e proprietà intellettuale, con prospect o stakeholder realmente interessati e commercialmente di target enterprise.”

Unicorno o campagna di marketing?

Il tema dell’intelligenza artificiale è molto caldo tra gli investitori, con il cambio di paradigma tecnologico che potrebbe portare a una nuova rivoluzione industriale. Essere tra i leader di mercato in questa fase storica potrebbe permettere di raggiungere dimensioni assolutamente rilevanti, tanto su scala nazionale che internazionale. La possibilità che si venga a creare un vero unicorno è dunque concreta.

Vi è tuttavia un ma, una domanda che ricorre in questa storia: Userbot sarà il prossimo unicorno italiano o è più semplicemente una campagna di marketing che cerca di calvalcare l’hype del mercato dell’Intelligenza Artificiale? A tal proposito risulta utile approfondire la questione nell’articolo “Startup di Intelligenza Artificiale? Il 40% la sbandiera ma non la usa davvero”.

Ciò che va sottolineato è che Userbot è stata validata da Mamacrowd attraverso un assestment tecnico da parte di Gellify per verificarne la bontà del prodotto, roadmap e skill del team, fra l’altro ottenendo il massimo rating (5/5) sulla maturità del prodotto.

Mancanza di trasparenza?

A seguito delle accuse emerse nell’inchiesta di inizio luglio, Mamacrowd ha rettificato la parte relativa ai clienti di Userbot e optato per un wording decisamente più low profile. Va però evidenziato come ancora oggi, nei documenti sulla società presenti sulla piattaforma i loghi siano ancora presenti.

Visti i tanti dubbi accumulatisi, Money.it ha cercato di contattare i protagonisti di questa vicenda. Abbiamo scritto a Mamacrowd, così come ai fondatori di Userbot, Antonio Giarrusso e Jacopo Paoletti. Potete leggere qui l’intervista.

Alla domanda se è stato previsto per gli investitori la possibilità di recedere dall’investimento viste le notizie delle ultime settimana, Mamacrowd ha adottato una politica comunicativa estremamente poco chiara, trincerandosi dietro un “ci atteniamo ai regolamenti e alle normative vigenti, il diritto di recesso è previsto per tutte le campagne ospitate in piattaforma”.

Non fosse che per legge, la possibilità di recesso è garantita entro 7 o 14 giorni dall’avvenuto investimento, o entro 7 giorni da quando si sia verificato un fatto nuovo o si sia rilevato un errore materiale concernente le informazioni esposte su Mamacrowd. Con questa politica, il rischio è che gli investitori che hanno puntato su Userbot ad inizio campagna e che non siano venuti a conoscenza dei dubbi avanzati dall’inchiesta non possano aver avuto la possibilità di recedere.

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