Licenziamento ad nutum: quando si può recedere il contratto senza motivazione

Claudio Garau

9 Marzo 2022 - 21:55

Il licenziamento ad nutum, o secondo volontà, rappresenta una particolare tipologia di recesso unilaterale del datore di lavoro. Esso è legittimo nel rispetto di specifiche condizioni.

Licenziamento ad nutum: quando si può recedere il contratto senza motivazione

Come abbiamo notato più volte in queste pagine, le regole relative al rapporto di lavoro tra dipendente e datore di lavoro attengono anche al cd. recesso unilaterale delle parti. Nello specifico, in ipotesi di recesso del datore di lavoro, entra in gioco il licenziamento, mentre laddove è il lavoratore a scegliere di interrompere il rapporto, si deve parlare di dimissioni.

Ebbene, la legge vigente include specifiche norme per quanto attiene alle varie tipologie di licenziamento, in quanto bisogna tener pur sempre presente che non esiste una sola ipotesi di recesso unilaterale dell’azienda.

Di seguito intendiamo soffermarci su quello che è definito ’licenziamento ad nutum’, onde chiarire di che cosa si tratta in concreto, quando rileva e qual è il suo meccanismo di funzionamento. Ecco tutti i dettagli in proposito.

Licenziamento ad nutum: il contesto di riferimento

Abbiamo appena ricordato che il licenziamento rappresenta l’atto con il quale il datore esprime la volontà di recedere unilateralmente dal contratto di lavoro, ma occorre aggiungere che nel caso in cui le ragioni siano illegittime, il dipendente può impugnarlo innanzi al magistrato e ottenere tutela.

In linea generale, si tratta di un provvedimento che pone fine ai rapporti lavorativi stipulati per contratto ed è legittimo esclusivamente se implementato nel rispetto delle disposizioni normative vigenti. Come all’inizio accennato, è opportuno ribadire che non tutte le forme di licenziamento siano uguali e per alcune categorie di dipendenti esse possono concretizzarsi in modo differente. In particolare, a differenza dei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e soggettivo, o per giusta causa, il licenziamento ad nutum (letteralmente “con il cenno del capo”) non prevede il requisito della motivazione del datore di lavoro, per concretizzarsi. Infatti in riferimento ad esso, si parla altresì di regime di cd. libera recedibilità.

Tuttavia occorre prestare attenzione: il fatto che manchi l’obbligo di motivare il licenziamento, gravante sul datore di lavoro, non esonera il giudice dal valutare la liceità del licenziamento. Ovvero, laddove vi sia impugnazione da parte del lavoratore, il magistrato dovrà stabilire che il licenziamento non sia stato intimato in presenza di un divieto o di una causa illecita (art. 1418 cod. civ. la causa è illecita quando risulta contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o la buon costume). Chiaro però che il dipendente che vuole far dichiarare la nullità del licenziamento ad nutum per una causa illecita, dovrà dimostrarne la sua illegittimità.

Licenziamento ad nutum: il carattere di eccezionalità rispetto alla disciplina generale

Lo rimarchiamo: il licenziamento in oggetto, che è anche chiamato - in un senso più ampio e meno letterale - licenziamento ’secondo volontà’, rappresenta una forma eccezionale di licenziamento che non implica, da parte del datore di lavoro, l’obbligo di motivare in forma scritta le ragioni del provvedimento. Detto recesso opera dunque senza necessità di formalità procedurali. Ed in materia di libera recedibilità, rileva in particolare la legge n. 108 del 1990, la quale ha di fatto ridotto l’ambito di operatività del licenziamento ad nutum.

Non vi sono dubbi nell’affermare che il licenziamento in oggetto sia un’eccezione rispetto alla disciplina generale sui licenziamenti individuali, giacché esula dalle disposizioni di cui all’art. 2118 del Codice Civile: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità”. Non soltanto. Per quanto riguarda la fine dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, rilevano altresì le regole incluse al successivo articolo 2119: “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente”. Non sorprende allora che il licenziamento ad nutum debba essere tenuto ben distinto dal licenziamento per giustificato motivo e per giusta causa.

Alla luce di quanto finora indicato, il licenziamento ad nutum si caratterizza certamente per un carattere del tutto particolare, poiché ha luogo come recesso legittimo, esercitato dal datore di lavoro, senza dare una motivazione. Attenzione però: detta tipologia di licenziamento è legittimamente applicabile dando al dipendente un congruo preavviso (altrimenti subentra l’indennità sostitutiva).

Licenziamento ad nutum: a quali categorie di lavoratori può applicarsi?

Poco sopra abbiamo ricordato che la legge n. 108 del 1990 relativa alla disciplina dei licenziamenti individuali ha ristretto il campo di applicazione di questa tipologia di recesso unilaterale e senza motivazione. In particolare, il recesso ad nutum non può essere applicato a tutte le tipologie di lavoratori ma esclusivamente ad alcune, in considerazione del carattere del tutto eccezionale e del fatto che non abbisogna di motivazione scritta.

Di seguito le categorie di lavoratori nei confronti dei quali può essere fatto valere il licenziamento ad nutum:

  • i lavoratori assunti in prova;
  • i lavoratori domestici;
  • i lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici;
  • gli apprendisti;
  • i dirigenti;
  • gli sportivi professionisti.

In linea di massima, verso di essi il datore di lavoro dovrà comunque rispettare l’obbligo di preavviso.

Per quanto riguarda le figure dirigenziali, secondo quanto già in passato indicato dalla Cassazione, il licenziamento ad nutum è applicabile soltanto al dirigente in posizione verticistica che, nell’ambito dell’azienda, abbia un ruolo caratterizzato dall’ampiezza del potere di gestione. Si tratta cioè delle figure le quali, per responsabilità aziendale e rapporto fiduciario con l’azienda, rappresentano una sorta di alter ego dell’imprenditore, giacché preposte all’intera azienda o a un ramo o servizio di specifica rilevanza, in posizione di effettiva autonomia, e tali dunque da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi.

Rimarchiamo inoltre che restano validi per il licenziamento ad nutum quelli che sono i principi generali in tema di nullità del contratto come l’art. 1354 Codice Civile (condizioni illecite o impossibili). In particolare, è da ritenersi nullo il contratto a cui è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Ed ovviamente se il licenziamento ad nutum è applicato verso lavoratori che non rientrano nelle categorie sopra indicate, è da intendersi illegittimo.

Licenziamento ad nutum: tre elementi distintivi di questo recesso unilaterale

Concludendo, possiamo dunque riassumere quelli che sono i tratti caratterizzanti del licenziamento ad nutum. Eccoli di seguito:

  • detto recesso unilaterale vale soltanto per particolari categorie di lavoratori o lavoratrici (quelle descritte sopra), altrimenti è illegittimo;
  • il licenziamento in oggetto può essere effettuato senza dare alcuna motivazione scritta, in quanto licenziare in tronco in questo caso significa senza dare ragioni sul perché della scelta;
  • il recesso ad nutum implica di norma il rispetto del preavviso di licenziamento, come minima forma di garanzia nei confronti del lavoratore.

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