Outlook 2019: il rimbalzo delle Borse ha i giorni contati

Alessandro Venuti

14/02/2019

Le questioni più importanti che avevano alimentato il sell-off di inizio dicembre sono ancora irrisolte e presto potrebbero tornare ad infastidire gli operatori. Sull’Italia aleggia lo spettro di nuove elezioni: Longo, market strategist di IG dice la sua

Outlook 2019: il rimbalzo delle Borse ha i giorni contati

Dopo un inizio di anno all’insegna del recupero i mercati finanziari hanno tirato di nuovo il freno a mano e ora procedono a passi molto blandi in attesa di un segnale più deciso.

Per Vincenzo Longo, Market strategist di IG, questo segnale potrebbe anche non arrivare. «Le questioni più importanti che avevano alimentato il sell-off di inizio dicembre sono ancora irrisolte», ha commentato l’esperto.

Per quanto riguarda l’Italia, l’indice FTSE Mib ha lanciato un primo attacco alle solide resistenze di area 20.000 punti venendone, per il momento, respinto. «Vedo poche chance per un ulteriore apprezzamento», ha rivelato lo strategist di IG, aggiungendo di aspettarsi un quadro in evoluzione in linea con gli sviluppi del fronte politico:

Su molti report di banche d’affari si ipotizza un ritorno alle urne, fatto che non è da interpretare necessariamente come negativo.

Di seguito l’intervista integrale a Vincenzo Longo.

Vincenzo Longo, Market strategist di IG all’ITForum di Rimini della scorsa estate

Dott. Longo, il rimbalzo delle principali Borse è sostenibile? Quali sono i fattori che potrebbero comprometterlo?

Per rispondere a questa domanda si deve tornare all’inizio della discesa partita da Wall Street. Inizialmente si pensava che fosse solo una correzione fisiologica, ma ben presto si capì che il movimento in atto poteva essere qualcosa di più. Il brusco crollo dei prezzi dai precedenti massimi di periodo è stato innescato dalle tensioni commerciali fra Usa e Cina e dalle prospettive di un rallentamento economico globale per il 2019. Tutto questo unito al fatto che le banche centrali continuavano ad andare dritte per le loro direzioni, verso atteggiamenti meno accomodanti. Per il momento ritengo che tutto quello che ha provocato il calo dei mercati a dicembre rimane ancora sul tavolo, poiché nulla è stato ancora risolto. E’ vero, per il momento abbiamo visto un raffreddamento delle tensioni tra Usa e Cina, la Brexit viene posticipata di volta in volta e le Banche centrali, sia FED che BCE, sembrano più propense ad ascoltare i segnali negativi generati dalle rispettive economie. Questo è il cocktail di elementi che ha favorito la ripresa dei mercati di gennaio. Non so se sarà sufficiente. Bisogna anche considerare che gli indici sono giunti a ridosso di livelli tecnici molto importanti.

A proposito di segnali tecnici, qual è quello che state monitorando con maggiore attenzione?

A Wall Street l’indice S&P 500 è entrato in contatto da diverse sedute con la famosa media mobile a 200 sedute, ampiamente monitorata dai grandi operatori, dopo averla bucata al ribasso nei mesi scorsi. Visti i toni più distesi sul fronte della guerra commerciale è probabile che i mercati potrebbero cercare di allungare ancora, ma l’insieme di questi elementi tecnici fa procedere gli operatori con il freno a mano tirato, anche perché tutti stanno ancora valutando i rischi di questo 2019, ancora considerevoli. I mercati probabilmente potranno avere ancora qualche seduta di gloria ed arrivare anche al test delle prossime resistenze, ma lo spazio di manovra non credo sarà molto ampio. Non si assisterà ad un rally considerevole, ma si potrà ancora registrare un apprezzamento di 2-3 punti percentuali. I mercati poi inizieranno nuovamente a ripensare a tutte le notizie negative e aspetteranno le risoluzioni definitive della disputa tra Stati Uniti e Cina e della Brexit, oltre che i dati sull’andamento dell’economia globale.

Cosa vi aspettate dalla Fed nel 2019?

La Banca centrale americana a fine gennaio è intervenuta dicendo che il rialzo dei tassi rimarrà in sospeso. Se Powell fino a dicembre aveva intenzione di alzare il costo del denaro in base alla bontà dei dati economici, nell’ultima audizione ha aperto a possibili misure accomodanti. Non solo indicazioni verbali, ma anche qualcosa di più, citando il Quantitative tightening, ovvero la riduzione del ritmo di cessione degli asset che la Fed ha in portafoglio. Dall’ottobre 2017 l’istituto sta riducendo il proprio bilancio, processo che va a sterilizzare le manovre espansive fatte in passato. Ora la Banca centrale statunitense potrebbe ridurre questo ritmo che oggi si aggira intorno ai 50 miliardi di dollari al mese o addirittura sospenderlo se l’andamento dei mercati dovesse peggiorare. Questa rimane una possibilità su cui diversi membri della Fed hanno ragionato durante l’ultima audizione e questo è piaciuto molto ai mercati. Anche sul fronte BCE vi sono state le medesime considerazioni. Le Banche centrali hanno capito che i rischi al ribasso sono notevoli e hanno deciso di adottare toni più accomodanti.

In base a queste considerazioni quali sono le migliori asset class sulle quali puntare?

Per rispondere a questa domanda voglio partire dalla considerazione emersa nell’ultimo report rilasciato da Bank of America Merryl Lynch. Questo sondaggio rileva il posizionamento strategico mensile fra i gestori mondiali. I risultati di gennaio hanno evidenziato che nell’ultimo la liquidità ha toccato i livelli massimi dal 2009. Ci potrebbe stare che dopo questa esplosione il mercato possa dirottare il cash in eccesso verso altre asset class andando a dare una nuova spinta ai mercati azionari. Questa la mia personale interpretazione sui dati emersi in questo report. Credo anche che in questo momento ci possa essere ancora spazio per riposizionamenti sul mercato governativo. Questo si è visto negli ultimi giorni quando abbiamo avuto un dollaro Usa particolarmente forte nonostante i rendimenti sui Treasuries stessero scendendo, un segnale che gli operatori erano tornati a comprare governativi in ottica prudenziale. Per quanto riguarda l’equity molti gestori stanno preferendo i mercati emergenti, specie quello Asiatico, ma anche il Brasile che è concentrato principalmente sulle materie agricole di cui i consumi tendono ad essere poco influenzati dalla contrazione economica. Si è assistito a 17 settimane consecutive di flussi sui mercati emergenti, che hanno evidenziato un ritorno della fiducia degli investitori. Cautela invece per l’equity europeo, area dove la contrazione economica potrebbe penalizzare alcuni paesi come già successo per l’Italia. Grande attenzione va posta sul settore bancario che di fronte a sé ha uno scenario ancora sfidante. Mentre per quanto riguarda l’equity statunitense si potrebbero valutare i titoli più difensivi, come il settore delle telecomunicazioni e il comparto alimentare. Bisognerebbe, invece, stare lontani dal comparto automotive, dove i segnali di rallentamento sono piuttosto marcati.

Secondo lei al momento è più sopravvalutato il mercato statunitense o quello europeo?

Il mercato statunitense è sicuramente più sopravvalutato, basta guardare i multipli. In particolare il price/book value, che è forse quello più attendibile per avere un livello minimo della valutazione. In Europa molti valori sono lontani da questo price/book value, mentre negli Usa siamo decisamente sopra. Il sottopeso che c’è sull’Europa è importante e spiegato dai fondamentali non brillanti appesantiti dalla contrazione economica. Basti pensare che nel giro di un anno l’Europa è passata da essere l’area che cresceva a ritmi più interessanti a divenire l’area più depressa dell’intero globo. I deflussi dall’equity europeo hanno raggiunto la cinquantesima settimana consecutiva, escludendo una sola settimana in cui si è registrato un leggero segno positivo.

Per quanto riguarda l’Italia, come considera le indicazioni emerse dalle trimestrali delle banche italiane? Qual è il destino dell’indice FTSE Mib?

Le trimestrali del settore bancario italiano non sono andate male. Nel complesso hanno riservato pure qualche sorpresa, direi un bel segnale positivo per questo comparto. Molti operatori temevano l’effetto dei BTp, ma guardando lo Spread BTp-Bund dal 30 settembre al 31 dicembre 2018, considerando quello che è successo tra ottobre e novembre soprattutto, il mercato è rientrato bene quindi l’impatto sul bilancio non c’è stato. Quello che demoralizza gli investitori è l’outlook. Le banche continuano ad essere sotto pressione per quanto riguarda i requisiti patrimoniali imposti dalla BCE e le coperture sugli NPL. Fattori che inevitabilmente impattano anche sulle politiche di credito, peggiorando ulteriormente il ciclo economico del nostro paese. Tutte queste criticità pesano di conseguenza anche sui titoli bancari. Il rialzo del settore bancario di questi giorni è stato dettato dalle sorprese emerse con i conti trimestrali piuttosto che per l’outlook che rimane molto sfidante. Di conseguenza il FTSE Mib avrà poche chance di apprezzamento considerato anche il quadro politico. Su molti report di banche d’affari si ipotizza un ritorno alle urne, fatto che non è da interpretare necessariamente come negativo. Avere un Governo facente parte di una fazione ben definita e non così misto come quello attuale può avere sicuramente una maggiore stabilità. Il centrodestra, come emerso nelle elezioni regionali in Abruzzo, potrebbe essere più incline agli investimenti, quindi potrebbe essere quello maggiormente apprezzato dai mercati. Nel breve termine, prima di arrivare alle urne, ritengo che il mercato potrà muoversi sulla base dei sondaggi che via via verranno rilasciati. Solo successivamente, se dovesse essere confermato uno scenario di questo tipo, allora si potrebbe assistere ad un buon recupero del mercato.

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