Pierluigi Torregiani, chi era e cosa gli è successo: la vera storia

Marta Zanierato

16 Febbraio 2022 - 18:52

«Ero in guerra ma non lo sapevo» è il nuovo film di Fabio Resinaro che racconta la storia di Pierluigi Torregiani, e questa sera sarà in onda su Rai1.

Pierluigi Torregiani, chi era e cosa gli è successo: la vera storia

Pierluigi Torregiani è stata una delle vittime degli anni di piombo.

Alcuni quotidiani cominciarono a citarlo come “il giustiziere” o “il pistolero”. Siamo nell’Italia degli anni ’70, e la storia di Pierluigi Torregiani si trasforma in una tragedia che vede coinvolta anche la sua famiglia.

“Ero in guerra ma non lo sapevo”, un film diretto dal regista Fabio Resinaro, racconta la storia di Pierluigi Torregiani e ne rivela l’essenza del personaggio. Dopo essere stato al cinema per tre giorni a fine gennaio, questa sera andrà in onda in prima tv alle 21:25 su Rai1.

Chi era Pierluigi Torregiani?

Pierluigi Torregiani non è un personaggio di una fiction inventata, ma ha fatto parte di un fatto di cronaca che si racconta ancora oggi.

Pierluigi Torregiani nacque a Melzo, in provincia di Milano, il 21 novembre 1936. Lavorò dall’età di 12 anni in una piccola gioielleria in Via Mercatini, nel quartiere di Bovisa a Milano (nord).

Pierluigi era conosciuto per il suo impegno nel sociale: insieme alla moglie Elena, per esempio, adottò i tre figli - Anna, Marisa, Alberto - di una vedova malata terminale, ricoverata all’Istituto dei Tumori, promettendole che se ne sarebbe occupato lui.

Grazie a gesti come questo e ad altri impegni sociali, Torregiani ricevette dal sindaco di Milano Carlo Tognoli l’onorificenza del comune, l’Ambrogino d’Oro.

L’omicidio di Pierluigi Torregiani

Era il 22 gennaio del 1979 quando la vita di Torregiani cambiò.

Quella sera, Pierluigi era insieme alla figlia e ad alcuni amici in un ristorante chiamato “Il Translatlantico”, vicino a Porta Venezia. La cronaca racconta che, intorno a mezzanotte, fecero irruzione due rapinatori. Sia Torregiani che uno dei suoi amici erano armati, e per questi decisero d’intervenire per difendere se stessi e i presenti. La sparatoria causò due morti: un cliente del ristorante, Vittorio Consoli (38 anni), e uno dei rapinatori, Orazio Daidone (34 anni), membro del clan dei Catanesi.

A quanto pare non era un caso che Pierluigi Torregiani fosse armato. Era sua consuetudine portare con sé un’arma, così che, dopo quel fatto, cominciò a essere definito dai quotidiani “il giustiziere” e il borghese “pistolero”.

Non passò troppo tempo prima che Torregiani ricevesse a casa minacce di morte.

Il 16 febbraio il gioielliere si avviò ad aprire il negozio insieme ai figli come ogni mattina, ma, a differenza delle altre, la scorta che di solito lo controllava e proteggeva si allontanò per via di una rapina segnalata altrove. Fu subito campo libero per i quattro banditi che aprirono il fuoco. Pierluigi indossava un giubbotto antiproiettile, ma i colpi di grosso calibro lo trapassarono e lui, cercando di reagire, colpì il figlio Alberto di 15 anni alla schiena che ancora oggi è paraplegico.

Chi ha ucciso Pierluigi Torregiani

L’azione venne rivendicata dai Proletari Armati per il Comunismo, formazione di estrema sinistra.

Per l’omicidio del gioielliere vennero condannati come esecutori materiali:

  • Giuseppe Memeo;
  • Gabriele Grimaldi;
  • Sante Fatone.

L’omicidio Torregiani è uno degli omicidi commessi dai PAC, e particolarmente ricordato anche perché avvenuto in contemporanea con un altro. Sempre in quel pomeriggio del 16 febbraio 1979, a Santa Maria di Sala (VE), ci fu infatti un secondo omicidio ai danni del macellaio Lino Sabbadin. Un altro caso, quindi, in cui i commercianti, reagendo ai tentativi di rapina, vennero definiti dai PAC come “bottegai poliziotti che operavano per la ripresa del comando capitalistico attraverso la pratica di forme di violenza antiproletaria”.

Il film su Pierluigi Torregiani

Ero in guerra ma non lo sapevo, un film tratto dal libro omonimo, scritto nel 2006 da Alberto Torregiani, figlio di Pierluigi, e diretto dal regista Fabio Resinaro.

Se ciò che ci aspettiamo è vedere raccontata l’immagine di un uomo innocente con cui sodalizzare facilmente, rimarremo delusi. Sì, perché lo stesso Alberto Torregiani ammette di voler ricordare il padre per quello che era: “Un po’ impulsivo, a volte forse arrogante, uno a cui non piaceva farsi mettere i piedi in testa.

Che sia stato questo suo temperamento a sancire la sua condanna? A tal proposito, racconta Alberto Torregiani che “durante quella rapina si è difeso solo perché aveva accanto sua figlia. Nei giorni seguenti stava soltanto nascondendo a tutti noi la sua paura. Si teneva tutto dentro: anche la consapevolezza che prima o poi qualcosa gli avrebbero fatto”.

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