È legale ad un colloquio di lavoro chiedere se si hanno figli o se si ha volontà di averne?

Claudio Garau

26 Luglio 2023 - 13:36

Il colloquio di lavoro non di rado è un momento chiave del proprio percorso professionale, in cui le risposte alle domande dei selezionatori sono decisive. È legittimo chiedere dell’eventuale prole?

È legale ad un colloquio di lavoro chiedere se si hanno figli o se si ha volontà di averne?

Com’è noto, un colloquio di lavoro può essere un momento davvero importante per la carriera sia di un lavoratore con esperienza, che cerca un ambiente professionale nuovo, migliori condizioni di lavoro e uno stipendio più corposo, ma anche per chi l’esperienza la deve ancora fare tutta, ad es. perché neolaureato o neodiplomato e alla ricerca di una prima occupazione che, da un lato, sia anche formativa e, dall’altro, gli permetta di portare a casa qualche soldo.

Ebbene, i selezionatori ad un colloquio solitamente fanno domande relative alle proprie competenze, capacità e titoli di studio conseguiti, ma talvolta i più ’disinvolti’ potrebbero anche cercare di indagare su aspetti più personali del candidato o della candidata, al fine di ricostruire un profilo più accurato e magari ottenere qualche ulteriore informazione di supporto, che reputino interessante per dare una valutazione più dettagliata e decidere chi ammettere alla fase successiva della selezione - avvicinandolo ad una possibile assunzione.

Il punto è però capire quali domande i selezionatori non possono fare. Ad es. questi ultimi possono chiedere a chi sostiene il colloquio di lavoro se ha dei figli o se ha volontà di averne? Si tratta di una domanda lecita o legale, oppure la richiesta di saperlo va contro i diritti del candidato alla propria riservatezza e a non divulgare informazioni sulla propria vita privata? Lo vedremo insieme nel corso di questo articolo, onde fugare ogni dubbio a riguardo.

Domande vietate ad un colloquio: ecco la legge a tutela della privacy e contro le discriminazioni

Vi sono domande fatte apposta per mettere in difficoltà chi si presenta al colloquio di lavoro perché interessato ad una certa offerta: “Come si vede fra 10 anni?”, “Come si descriverebbe con un solo aggettivo?”. Questi sono solo due esempi di domande che hanno la finalità di provare a mettere in difficoltà il candidato o la candidata, e permettere dunque ai selezionatori di studiare le reazioni. Ciò permetterà di capire se la persona che hanno di fronte ha davvero tutte le carte in regola per svolgere il lavoro per cui si è presentata al colloquio.

Attenzione però, fare domande ’sfrontate’, dirette o comunque aventi l’obiettivo di capire meglio il carattere e la personalità di una persona, non significa al contempo aver diritto di sapere cose che riguardano aspetti personali, della vita privata o famigliari.

A queste domande, lo rimarchiamo, la persona che sostiene il colloquio non è obbligata a rispondere, o può farlo in modo del tutto generico. In queste circostanze, il comportamento del candidato potrà risultare non gradito ai selezionatori un po’.. impiccioni, ma la legge è tutta dalla parte di colui che risponde all’offerta di impiego e si presenta per il colloquio di lavoro. Infatti il Codice delle pari opportunità fra uomo e donna, in vigore dal 2006, impedisce ogni discriminazione per ciò che attiene all’accesso al lavoro.

L’importanza dell’art. 27 del Codice delle pari opportunità fra uomo e donna

La legge è molto chiara a riguardo. E lo è in particolare l’art. 27 del citato Codice. Non soltanto durante il rapporto di lavoro, ma anche nel percorso che porta ad un eventuale assunzione sono vietate discriminazioni basate su sesso e orientamento sessuale, stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza, stato di maternità o paternità (sia naturale che adottiva), oppure gestione della famiglia. In altre parole, i candidati vanno posti tutti sullo stesso livello e valutati per ciò che sanno fare e le loro potenzialità, non per aspetti meramente attinenti alla vita privata e alla sfera di intimità.

In particolare secondo l’art. 27 il divieto di qualsiasi discriminazione vale per l’accesso al lavoro (colloquio di lavoro), sia in forma subordinata, che autonoma oppure in ogni altra forma, inclusi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, ma anche la promozione a tutti i livelli della gerarchia professionale.

Tutto ciò in sostanza si traduce nel diritto alle pari opportunità al 100%: conseguentemente i selezionatori non devono tenere conto del fatto di essere uomo o donna quando si fa un colloquio, ma semplicemente limitarsi a valutare le attitudini, il carattere e la preparazione del singolo candidato.

I selezionatori possono fare domande relative alla prole?

Se ne può facilmente dedurre che un selezionatore non è autorizzato dalla legge a chiedere se si hanno già figli e se c’è la volontà di averne in futuro. Certo, ad un’azienda potrebbe tornare utile avere nel personale qualcuno senza figli perché più ’libero’ e con meno questioni legate alla propria vita privata. Inoltre la lavoratrice in maternità darebbe luogo ad assenze giustificate, oltre che pagate, e imporrebbe l’obbligo di trovare (e pagare) un sostituto. Tuttavia, anche se è in qualche modo comprensibile la curiosità datoriale di saperne di più, chiedere informazioni private in proposito è vietato perché potenzialmente discriminatorio rispetto ad altri candidati presenti ad un colloquio di lavoro.

Il caso però è tipico è tutt’altro che infrequente. Pensiamo alla giovane ragazza, sulla trentina, laureata e di bell’aspetto, che si presenta ad un colloquio per una posizione anche importante. Non di rado un selezionatore si lancerebbe in una domanda del tipo: «Ha figli o intende averne?». Ebbene vero è che rispondere con un sì non andrebbe ad interferire in alcun modo sulle competenze professionali, né a limitare le capacità lavorative. Maternità e paternità sono dei diritti dei lavoratori, e non debbono essere usati come elementi di valutazione negativa di un candidato/a rispetto ad un altro. Altrimenti entrerebbe in gioco una discriminazione, che il citato Codice del 2006 espressamente vieta anche in un colloquio di lavoro.

Ulteriori domande ’personali’ in fase di selezione: chiarimenti

Altresì ad un colloquio di lavoro è vietato fare domande ’collegate’, ovvero ad esempio chiedere età anagrafica o il sesso dei figli e se ci sia una figura in aiuto nell’ambiente domestico (ad es. tata o nonni) che potrebbero sollevare i genitori da eventuali impegni. Al contempo è vietato chiedere dell’orientamento sessuale, dello stato matrimoniale o della possibilità che una lavoratrice possa restare incinta durante il rapporto di lavoro.

Come abbiamo detto sopra, è diritto del candidato/a non rispondere e - invece - in caso di risposta affermativa alla domanda sulla presenza della prole, chi sostiene il colloquio di lavoro non deve o non dovrebbe temere nulla sul piano della valutazione del proprio profilo ai fini della selezione. Ma si può anche non rispondere, farlo in modo generico o ricordare che vi è una legge a riguardo, il Codice del 2006, che vieta questo tipo di domande.

Conclusioni

Giovani e meno giovani sanno più o meno quali sono le domande ricorrenti durante un colloquio di lavoro ma non tutti, invece, conoscono quali sono le domande che non vanno fatte, ovvero assolutamente vietate dalla legge.

Come abbiamo visto sopra, dette domande hanno un contenuto discriminatorio perché potenzialmente in grado di determinare la scelta finale - ma sulla base di elementi ed informazioni che attengono alla sfera di riservatezza ed intimità del candidato o della candidata. La legge impone invece che nel colloquio sia protetta la privacy del candidato, e non violata.

Conseguentemente non sono ammesse discriminazioni per motivi di religione, convinzioni personali, disabilità, età, orientamento sessuale, genere, stato di salute, ma anche riferimenti allo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza.

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