Il gas algerino garantirà il bis a Draghi. Mentre Giorgetti una durata oltre il 2023

Mauro Bottarelli

15 Luglio 2022 - 13:29

Il presidente dimissionario tornerà con la garanzia sulle forniture per stoccaggi e la tregua sul GME, mentre il ministro leghista già lavora alla nuova fiducia. E un epilogo «alla Conte» per Salvini

Il gas algerino garantirà il bis a Draghi. Mentre Giorgetti una durata oltre il 2023

Era tutto preordinato. Trappolone a Giuseppe Conte in testa. Quanto avvenuto ieri in Senato, infatti, rappresenta il naturale epilogo della scissione posta in essere da Luigi Di Maio in seno ai Cinque Stelle, brandendo la bandiera della fedeltà euro-atlantica. Non a caso, mentre la stessa Ue calava le braghe sulle forniture russe a Kaliningrad bloccate dalla Lituania, il ministro degli Esteri internazionalizzava il carattere della crisi di governo, mettendo nel mirino Dimitrj Medvedev e la sua ironia sulla catena di debacle politiche che stanno colpendo gli alleati europei di Kiev.

Mi piange il cuore a vedere che a Mosca sorridano, ha dichiarato il titolare della Farnesina. Il tutto in una giornata che, almeno ufficialmente, vedeva consumarsi lo strappo fra Mario Draghi e Giuseppe Conte su temi che poco o nulla avevano a che fare con la Nato o la politica estera: SuperBonus, reddito di cittadinanza e termovalorizzatore di Roma. Ma quella pennellata di diplomazia ci stava bene sulla tela del Draghi-bis, già pronta da giorni. Talmente pronta da permettersi persino il lusso di uno sgarbo protocollare e istituzionale come l’anticipazione al Consiglio dei ministri della data in cui il premier dimissionario si sarebbe presentato alle Camere per comunicazioni e formalizzazione. Il tutto senza aver atteso la risposta del Quirinale, il quale infatti ha respinto le dimissioni e garantito l’imprinting della ritualità al ritorno in Parlamento. L’avesse fatto Silvio Berlusconi si sarebbe gridato all’oltraggio. Forse al golpe.

Ma si sa, quando il copione è scritto e il contesto esterno è da crisi epocale, certe formalità appaiono intralci sacrificabili. Ecco quindi che il presidente del Consiglio, recapitata la patata bollente a Giuseppe Conte, parte per l’Algeria, missione istituzionale il cui obiettivo prioritario e dichiarato è la fornitura di gas. Non solo per portare a termine e mettere in sicurezza gli stoccaggi in vista dell’autunno ma per presentare alle Camere, nero su bianco e cifre alla mano, una vera alternativa al gas russo. Chi, in cuor suo, potrebbe negare un bis all’uomo che dopo aver salvato l’euro, oggi si traveste da Mister Wolf di Pulp fiction ed evita all’Italia l’umiliazione tedesca delle docce a orari fissi e dei semafori spenti di notte?

La data chiave per capire come, già oggi, si possa affermare che la trasferta algerina sarà un trionfo è quella del 30 marzo, quando il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, chiudeva il suo tour mediorientale sedendosi al tavolo delle trattative proprio ad Algeri con il suo omologo, Ramtane Lamamra e con il presidente, Abdelmadjid Tebboune, per un pranzo di lavoro. Unica priorità: spingere Algeri a riaprire la pipeline GME che dall’Algeria porta il gas in Spagna tramite il Marocco, chiusa lo scorso anno alla scadenza del contratto per una crisi diplomatica con Rabat. E da allora, le minacce sono fioccate in continuazione. Perché Madrid, incurante dei diktat algerini, sta pompando gas dal Marocco utilizzando il tratto di GME operativo e acquistato sul mercato, di fatto bypassando gli accordi multilaterali precedenti. Fuoco e fiamme. Ma solo sulla carta.

Perché non solo l’export algerino verso l’Europa sta letteralmente esplodendo, arrivando a un punto di rottura fra domanda e offerta che necessita appunto dello sblocco strutturale della GME ma lo stesso Anthony Blinken su mandato della Casa Bianca a inizio febbraio aveva invitato le aziende energetiche estere operanti in Algeria, fra cui Eni e TotalEnergies, a valutare la possibilità di aumentare i flussi in chiave anti-russa. Piccolo particolare: la Reuters rilanciò la notizia l’8 febbraio 2022. Prima di quel 24 febbraio che sancì l’inizio ufficiale dell’attacco russo all’Ucraina. Non a caso, interpellate dalla stessa Reuters per avere conferma dell’invito da parte del Dipartimento di Stato Usa, sia Eni che TotalEnergies si trincerarono dietro un eloquente no comment.

Insomma, il lavorio diplomatico che garantirà a Mario Draghi un ritorno in patria da cavaliere bianco dei caloriferi accesi è stato preparato a lungo. E ai massimi livelli. Parte da lontano e si è mosso a tappe. Fondamentale fra cui appare appunto la rottura in seno ai Cinque Stelle, motivata politicamente dall’adesione all’euro-atlantismo e strategicamente in grado di depotenziare del tutto il veto di grillini in sede parlamentare. Non a caso, Mario Draghi si è dimesso pur avendo comunque incassato la fiducia numerico sul Decreto Aiuti al Senato. I Cinque Stelle con i loro distinguo sulle armi a Kiev, sulle fonti energetiche, sull’equidistanza in nome del pacifismo sono ormai un’anatra zoppa che sta per essere sacrificata come il vitello grasso sull’altare del Draghi-bis, stante le nuove defezioni che già si registrano in queste ore.

Ma ecco il vero capolavoro dell’operazione. Mentre Matteo Salvini invocava le urne, quantomeno per non farsi scavalcare in tal senso da Giorgia Meloni, il ministro dello Sviluppo economico e draghiano di ferro, Giancarlo Giorgetti, rilasciava serafico la seguente dichiarazione ai giornalisti: Ci sono sempre i tempi supplementari. Tradotto, il numero due della Lega usciva allo scoperto, smentendo nettamente la posizione del leader e ammettendo implicitamente di essere già al lavoro per garantire la nascita di un Draghi-bis il prossimo 20 luglio. Non a caso, pochi giorni fa aveva fatto rumore l’intervista a La Repubblica di un altro colonnello della Lega, il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, il quale sottolineava come Mario Draghi piace agli Usa e la Lega è compatta al suo fianco. Dobbiamo rafforzare i rapporti con gli Usa e le democrazie occidentali, sul piano commerciale e politico.

Il tutto al ritorno da una missione istituzionale a New York. Poi, la sciabolata finale: dopo i rivoluzionari da Scuola Radio Elettra additati proprio da Giancarlo Giorgetti come elementi destabilizzanti all’interno della Lega, ecco che Fedriga auspicava lo stop alla politica dei personalismi. Dopo quella di Giuseppe Conte, ora è la leadership di Matteo Salvini a traballare. Garantendo a Draghi un bis sul velluto e a Fratelli d’Italia un’opposizione dura e pura che fa gonfiare i sondaggi ma che rischia di proseguire ad libitum, stante il carattere da legislatura del nuovo esecutivo che sta per nascere. La contropartita per la Lega di governo? L’autonomia differenziata. La riprova? Dopo due anni di assenza causa Covid, i prossimi 17 e 18 settembre dovrebbe tornare lo storico raduno di Pontida. Se dovesse saltare o, peggio, venire caricato di toni da resa dei conti a latere del nuovo esecutivo, lo scontro sarà di quelli stile Highlander. E Salvini non pare destinato al ruolo di vincitore.

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