Licenziamento per i dipendenti che lavorano di meno: così le aziende si difendono dai fannulloni

Luna Luciano

20/08/2022

Licenziare dipendenti che lavorano poco. Le aziende americane hanno adottato un sistema per valutare la produttività di ogni dipendente, ma i dipendenti lamentano condizioni stressanti e umilianti.

Licenziamento per i dipendenti che lavorano di meno: così le aziende si difendono dai fannulloni

D’ora in poi i dipendenti dovranno fare attenzione al tempo perso o poco produttivo sul luogo di lavoro, almeno negli Stati Uniti. Grazie all’introduzione del punteggio di produttività le aziende statunitensi hanno trovato la loro strategia per difendersi dai “fannulloni”.

Tramite il punteggio di produttività i datori di lavoro potranno infatti constatare quali sono i dipendenti che perdono tempo a guardare il cellulare o quelli che si allontanano dalla propria postazione di lavoro. E se il monitoraggio digitale della produttività è ormai metodo consolidato per i lavori meno pagati, come nei magazzini di Amazon o per gli autisti Ups, ora sarà adottato anche nelle aziende americane e nei settori dove è richiesto anche il diploma di laurea al dipendente.

Eppure, anche questo sistema ha i propri problemi strutturali, non valorizzando ad esempio il lavoro “offline”, come emerso dall’inchiesta del New York Times. Gli Usa tutt’ora rappresentano un modello per il mondo del lavoro occidentale, per tanto potrebbe essere utile capire cos’è il punteggio di produttività e quali sono i contro di questa nuova misura. Ecco tutto quello che c’è da sapere.

Licenziare chi lavora di meno: ecco come con il punteggio di produttività

Licenziare un dipendente che lavora poco o di meno rispetto ai colleghi rientra assolutamente nell’interesse di un’azienda, e sempre più datori di lavoro statunitensi hanno deciso di adottare il punteggio di produttività, un monitoraggio in tempo reale di ciò che ogni dipendete fa dalla propria postazione di lavoro. Sempre più lavoratori sono quindi soggetti a tracker e punteggi.

Ciò comporta che ogni pausa - da quella per andare in bagno ai momenti passati immersi nello scrolling nella home di Instagram o Facebook - possono portare a diverse sanzioni, dalla perdita di un mese di stipendio fino alla perdita del lavoro. Alcuni medici vedono sul tabellone il loro tempo di “inattività” e quanto “producono” a confronto con i loro colleghi. Ancora, all’UnitedHealth Group, una esigua attività al computer può influire sulla retribuzione e danneggiare i bonus di fine anno.

Questo monitoraggio però non riguarda solo i dipendenti delle aziende private; la Metropolitan Transportation Authority di New York ha comunicato ai propri ingegneri e dipendenti che avrebbero potuto lavorare in remoto un giorno alla settimana se avessero accettato un monitoraggio a tempo pieno della produttività. Un controllo continuo che di certo potrebbe far sentire alcuni dipendenti come sotto l’occhio del Grande Fratello del romanzo di George Orwell: 1984.

Punteggio di produttività per licenziare chi lavora meno: quali sono i contro

E se per le aziende monitorare la produttività di ogni dipendente sembra sia quanto mai necessario, è pur vero che questa modalità di controllo può avere dei risvolti molto negativi. Secondo i giornalisti del New York Times, architetti, amministratori di università, medici, operatori di case di cura e avvocati hanno descritto una crescente sorveglianza elettronica su ogni minuto della loro giornata lavorativa.

Basti pensare che presso l’ESW Capital, gruppo di aziende specializzate in software aziendali, i dipendenti possono fare pause in qualsiasi momento, purché raggiungano le 40 ore settimanali, che l’azienda registra ogni 10 minuti, scattando foto ai volti e ai loro schermi per verificare se stiano lavorando o meno. Ogni scatto in cui un dipendente fa una pausa può costargli ben 10 minuti di retribuzione.

A queste condizioni il lavoro diventa incessante e, in alcuni casi, umiliante: i dipendenti lamentano di non avere nemmeno il tempo di andare in bagno. Dall’inchiesta del New York Times emerge anche una denuncia di alcuni dipendenti per i problemi strutturali del punteggio di produttività.

Questo sistema sarebbe incapace di registrare l’attività offline e di quantificare compiti difficili. Come riportato anche dal Corriere della Sera, stando a quanto raccontato da un ex supervisore, gli assistenti sociali di UnitedHealth sono stati segnati come inattivi per la mancata attività al computer, quando in realtà seguivano pazienti nelle strutture di trattamento delle tossicodipendenze.

Essere costantemente monitorati sul lavoro ha anche dei risvolti psicologici negativi, accrescendo lo stress dei dipendenti, che inficia molto sulla qualità del lavoro. Eppure, molti datori di lavoro sostengono che la pratica sia diventata preziosa, benché debba essere perfezionata in quanto responsabilizza maggiormente i lavoratori, diventando dei veri stacanovisti - lavoratori modello che non si concedono nemmeno una pausa - mentre i dipendenti che lavorano di meno possono essere licenziati.

Impossibile però non notare come il monitoraggio costante sia frutto di un mondo del lavoro che premia la quantità e non la qualità del lavoro, con il rischio di sovraccaricare i dipendenti, non pensando al loro benessere psicologico e favorendo un modello di lavoro alienante.

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