Come opporsi a un trasferimento senza perdere il lavoro

Ilena D’Errico

11 Gennaio 2023 - 21:04

Ecco quando ci si può opporre a un trasferimento senza perdere il lavoro e, soprattutto, come agire per evitare spiacevoli ripercussioni.

Come opporsi a un trasferimento senza perdere il lavoro

In caso di trasferimento, soprattutto se risulta poco congeniale, spesso i lavoratori si chiedono come opporsi senza essere licenziati. In linea generale, infatti, il trasferimento deciso dal datore di lavoro non può essere contestato, ma esistono comunque dei casi particolari in cui è possibile opporsi. In ogni caso, anche in caso di trasferimento ingiusto, il dipendente non deve rifiutarsi di svolgere le sue mansioni se non vuole perdere il lavoro. Esiste, infatti, una specifica procedura da adottare per evitare conseguenze spiacevoli.

È quindi molto importante capire quali sono i diritti dei lavoratori in merito al trasferimento e le azioni in loro disponibilità secondo la legge. Il trasferimento illegittimo può essere sempre contestato dal lavoratore, ma soltanto tramite la promozione di un giudizio di impugnazione. Il dipendente può quindi ottenere la revoca del trasferimento esclusivamente con la sentenza del giudice, a meno che lo stesso datore di lavoro modifichi il provvedimento nel frattempo. La Corte di cassazione conferma infatti che in qualsiasi caso il dipendente trasferito non può rifiutarsi di recarsi nella nuova sede fino alla revoca, altrimenti può essere licenziato giustamente.

Come opporsi a un trasferimento

L’unica procedura per opporsi al trasferimento senza rischiare il licenziamento è la seguente:

  • Invio di un atto scritto (Pec o raccomandata) al datore di lavoro entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione di trasferimento.
  • Entro 180 giorni dall’invio dello scritto, comunicazione al datore di lavoro dell’eventuale tentativo di conciliazione o arbitrato.
  • In alternativa alla conciliazione e all’arbitrato, deposito in tribunale del ricorso, sempre entro 180 giorni.

Il mancato rispetto dei termini pregiudica la possibilità di contestare il trasferimento, anche se illegittimo.

Il primo passo da compiere in caso di trasferimento non voluto deve essere dunque l’avvio di una causa civile in proposito, magari dopo aver tentato un colloquio con il datore di lavoro. In sede giudiziaria il dipendente dovrà necessariamente provare l’illegittimità del trasferimento, ossia il danno che gli arreca, ricordandosi di continuare l’attività lavorativa in modo ineccepibile fino alla decisione del giudice.

Ciò comporta sicuramente dei disagi, ma è l’unico modo consentito dalla legge per ottenere un risultato efficiente. Allo stesso tempo, se la questione sulla legittimità è fondata, è molto probabile che il datore di lavoro decida di risolvere il problema autonomamente, permettendo a tutti un notevole risparmio di tempo. In ogni caso, è il dipendente che promuove il giudizio a dover provare l’illegittimità del trasferimento. Quest’operazione è notevolmente semplificata dalla normativa a riguardo.

L’articolo 2103 del Codice civile, in particolare, definisce proprio i casi di trasferimento illegittimo, perciò è più semplice anche fornire dei mezzi di prova. L’unica problematica che potrebbe trarre in inganno il lavoratore a tal proposito è la definizione di trasferimento. Quest’ultima parola, infatti, viene usata nel parlato quotidiano per definire molte situazioni, alle quali invece il Codice civile attribuisce definizioni molto più precise.

Cos’è un trasferimento

Il trasferimento menzionato dall’articolo 2103, in merito al quale è possibile individuare l’illegittimità, è considerato tale solo quando prevede lo spostamento fra diverse unità produttive. Quando, ad esempio, l’unità produttiva resta la stessa ma cambia il luogo non si può dunque parlare propriamente di trasferimento. Lo spostamento fra sedi produttive, quindi, non può essere contestato.

L’unità produttiva è un’articolazione autonoma dell’azienda che può coincidere o meno con:

  • Una sede;
  • una filiale;
  • un ufficio;
  • un reparto autonomo.

Cos’è un’unità produttiva

L’unità produttiva si distingue per:

  • Idoneità funzionale a svolgere l’attività aziendale o una sua parte.
  • Indipendenza tecnica e amministrativa dal punto di vista organizzativo, grazie alla quale l’unità garantisce la conclusione di una frazione produttiva.
  • Gli scopi della struttura non sono puramente strumentali o ausiliari.

Di conseguenza il “trasferimento” geografico, in cui non varia l’unità produttiva, non può essere contestato a meno di specifiche previsioni contrattuali. Il trasferimento tra unità produttive può invece essere illegittimo, cioè in assenza di:

  • Ragioni tecniche;
  • ragioni amministrative;
  • ragioni produttive.

Al sussistere di queste ragioni il trasferimento deve essere considerato legittimo, in assenza di eccezioni, perché il datore di lavoro può scegliere liberamente anche in presenza di soluzioni diverse.

Quando il trasferimento è illegittimo

Per impugnare efficacemente il trasferimento, il lavoratore perciò deve provare:

  • L’assenza di ragioni al momento della decisione di trasferimento.
  • La presenza di ragioni non oggettive (come il parere soggettivo del datore di lavoro).

In tal proposito, bisogna ricordare che tra le cause legittime rientra la condotta, disciplinarmente rilevante, del lavoratore.

Il principio per cui il lavoratore deve continuare l’attività e quello della buona fede, al quale tuttavia devono sottostare anche i datori di lavoro. Per questo motivo è illegittimo anche il trasferimento di un lavoratore disabile idoneo per alcune mansioni, a meno che il datore possa dimostrare l’impossibilità oggettiva di organizzare diversamente il lavoro. Parimenti, è illegittimo anche il trasferimento del lavoratore che accudisce un parente disabile, per l’impossibilità di allontanarsi dal luogo di residenza.

Altri punti di illegittimità possono essere contenuti nei contratti collettivi, i quali possono limitare i trasferimenti a un determinato territorio. Si tratta della cosiddetta mobilità su piazza: il lavoratore può essere trasferito ma soltanto entro una specifica area, a prescindere dalle unità produttive. La contrattazione collettiva, peraltro, può stabilire anche l’obbligo di motivazione del trasferimento.

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