Per innovare e fare impresa oggi non bastano più solo soldi e tecnologia. Occorre il capitale relazionale in grado di connettere risorse e creare valore collettivo.
Quando parliamo di sviluppo aziendale, oggi, immediatamente pensiamo alla sua capacità di fare innovazione e attrarre capitali. L’adozione sempre più persistente di tecnologie quali ad esempio l’intelligenza artificiale, legate ad automatizzare certi processi sta generando grandi cambiamenti e altrettante riflessioni.
Se è vero che qualsiasi evoluzione porta a una “strozzatura” storica (vedi per esempio la rivoluzione della stampa), con conseguenze sociali ed economiche da affrontare, è altrettanto corretto ragionare sulle nuove opportunità o su come potenziare e massimizzare le risorse di cui si dispone.
E’ in un contesto evolutivo del genere che ben si integra il nuovo libro di Benedetto Buono scritto a quattro mani con Federico Frattini dal titolo Innovationship: L’innovazione guidata dal capitale ed edito da Egea. I due autori sin dalle prime battute pongono immediatamente l’accento non solo sull’importanza del capitale relazionale ma su come quest’ultimo debba essere considerato un vero asset al pari di quello tecnologico e finanziario.
Siamo in periodo storico dove fare innovazione per le aziende è diventato vitale per restare competitivi e con una prospettiva a lungo termine. A fare la differenza, però, qui non è la disponibilità di tecnologia che è divenuta sempre più “aperta e accessibile”: sono le relazioni la vera chiave di volta che possono creare quel giusto mix e facilitare il dialogo e il confronto fra risorse diverse che abbiano un comune obiettivo.
Ovviamente non è così semplice e lineare così come non lo sono le persone e le relazioni che tra esse si instaurano. Proprio perché abbiamo parlato di capitale proprio in questo modo deve essere gestito quello relazione, avendo ben chiaro che la finalità è quella di produrre non solo il vantaggio individuale ma anche quello collettivo. Questo deve essere un assunto fondamentale da interiorizzare aprioristicamente se non si vuole ottenere l’effetto boomerang e negativo di un uso improprio del capitale relazionale.
Il capitale relazionale è una novità o una moda?
Di capitale relazionale se ne parla già da metà Ottocento ma è dagli anni ‘80 del secolo scorso che ha iniziato a entrare in modo più concreto nei confronti manageriali e nei trattati di economia e sociologia. Uno degli autori che ha maggiormente contribuito a sdoganare l’importanza del capitale relazionale è stato Robert Putnam definendolo come:
"l’insieme delle caratteristiche dell’organizzazione sociale, come la fiducia, le norme e le reti che possono migliorare l’efficienza della società facilitando le azioni coordinate.”
Non è l’unico modo per descrivere questo importante asset e sebbene una definizione precisa e univoca non esista, tutte concordano sul fatto che debba basarsi su legami sociali forti che possano fornire vantaggi individuali e collettivi.
Chiaramente non tutti i legami hanno la stessa intensità e forza ma l’aspetto fondamentale è averne coscienza e consapevolezza e saperne fare buon uso nel momento opportuno. La costruzione di una rete di relazioni è un processo che richiede tempo e cura e, soprattutto, deve basarsi su un rapporto di scambio e fiducia reciproca.
Parliamo di persone, di esseri umani e della loro capacità di fare sistema e costruire grandi cose in un processo di innovazione continua al servizio dell’uomo e della sua capacità di restare umano. Le relazioni e il proprio mantenimento sono il primo e fondamentale tassello, la conditio sine qua non per continuare a fare grandi cose.
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