Personale in esubero, chi deve essere licenziato?

Ilena D’Errico

11 Aprile 2023 - 22:20

Ecco chi deve essere licenziato se il personale è in esubero affinché il licenziamento sia legittimo.

Personale in esubero, chi deve essere licenziato?

L’esubero di personale rientra fra i motivi del cosiddetto licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Si tratta sommariamente di un tipo di licenziamento che ha a che fare con cause esterne rispetto al lavoratore e alla sua attività, proprio come nel caso in cui il personale sia troppo rispetto alle necessità aziendali. Per poter essere considerato legittimo, il licenziamento per esubero di personale deve corrispondere a specifici criteri, anche per quanto riguarda chi deve essere licenziato. Il datore di lavoro, infatti, deve seguire alcune linee guida anche nella scelta dei lavoratori da licenziare.

Chi deve essere licenziato per esubero del personale?

Ai fini del licenziamento per esubero di personale viene soppressa la posizione lavorativa fungibile; perciò, nel caso in cui ci siano più posizioni lavorative idonee allo scopo perché i lavoratori che le occupano compiono mansioni omogenee è necessario compiere una scelta, a seconda del numero di posizioni da liberare.

Nel compiere questa scelta, il datore di lavoro deve avere innanzitutto cura di non operare atti discriminatori. Per questa ragione, un lavoratore non può essere licenziato per motivi di etnia o sesso, per esempio. Nel dettaglio, sono considerati fattori di discriminazione che non possono quindi motivare la scelta del dipendente da licenziare:

  • Religione;
  • convenzioni e ideologie personali;
  • handicap;
  • età;
  • orientamento sessuale;
  • etnia e origine etnica;
  • sesso.

In particolare, il datore di lavoro deve scegliere il dipendente da licenziare applicando i principi di correttezza e buona fede. Come ricordato dalla Corte di cassazione, si ha il rispetto di questi principi quando il datore di lavoro opera il licenziamento tenendo conto dei criteri di scelta individuati dall’accordo sindacale, in mancanza dei quali devono essere seguiti i medesimi criteri validi per quanto riguarda il licenziamento, ossia:

-* Carichi di famiglia;

  • anzianità.

Questo significa che a parità di condizioni deve essere licenziato il lavoratore che ha meno anni di servizio e meno familiari a carico.

Correttezza e buona fede del datore di lavoro, cosa significa

I concetti di correttezza e buona fede possono apparire astratti, difficili da definire con precisione negli aspetti giuridici, ma in realtà si tratta di criteri che permeano tutta la normativa contrattuale. Si può parlare di correttezza e buona fede quando la parte rispetta le regole senza danneggiare l’altra e senza, viceversa, sottoporsi a sacrifici gravosi.

Il criterio della buona fede serve quindi a garantire il corretto esercizio non solo dei propri doveri, ma anche dei propri diritti. Per questa ragione, il datore di lavoro è tenuto a rispettare la legge, ma non può sfruttare un proprio diritto soltanto per danneggiare il lavoratore (si contrasta così l’abuso di diritto). Questi criteri sono delle linee guida per il datore di lavoro, ma possono essere sostituiti da altri parametri non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati. Il licenziamento per esubero di personale che non rispetta queste caratteristiche può essere impugnato dal lavoratore,

Impugnare il licenziamento per esubero di personale

Il licenziamento per esubero di personale è da considerarsi illegittimo se il datore di lavoro non ha seguito i criteri di scelta previsti oppure se non sussistono le condizioni alla base del giustificato motivo oggettivo. In particolare, le motivazioni alla base del licenziamento devono essere vere e dimostrare la necessità di ridurre il personale (non necessariamente motivata da una crisi aziendale).

Il datore di lavoro è infatti libero di esercitare l’iniziativa economica garantita costituzionalmente; perciò, la riduzione del personale può essere dovuta a diverse ragioni, come la scelta di esternalizzare alcune mansioni. Ai fini della legittimità del licenziamento, comunque, non è sufficiente la soppressione della mansione lavorativa, bensì è necessario che il lavoratore non potesse essere occupato diversamente per il cosiddetto obbligo di repêchage.

In mancanza di questi requisiti, il lavoratore può impugnare il licenziamento entro 60 giorni dalla comunicazione con qualsiasi atto idoneo a comunicare il proprio dissenso (come una lettera in cui si contestano le motivazioni). Dopo aver comunicato la decisione al datore di lavoro bisogna poi proporre la conciliazione oppure il ricorso giudiziale entro 180 giorni. Nel caso in cui il tentativo di arbitrato o conciliazione non andasse a buon fine, il lavoratore ha poi ulteriori 60 giorni dal rifiuto dell’accordo per proporre il ricorso in tribunale. Se il processo riconosce la mancanza di motivi, il lavoratore può poi scegliere fra la reintegra del posto di lavoro oppure un’indennità risarcitoria.

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