Così la geopolitica cambia le rotte commerciali, 3 esempi

Violetta Silvestri

16 Maggio 2024 - 15:13

Per capire come sta cambiando il commercio globale in nome di fattori geopolitici sempre più influenti, basta soffermarsi su 3 punti chiave. I riflettori si accendono su Usa, Cina, Taiwan e Russia.

Così la geopolitica cambia le rotte commerciali, 3 esempi

Gli analisti attenti agli eventi economici e politici recenti segnalano almeno 3 esempi per capire come la geopolitica stia realmente influenzando le rotte commerciali globali.

Il motore di questo mutamento negli scambi di beni e nelle relazioni tra Paesi risiede nella tensione Usa-Cina, che ormai influenza ogni altro Stato del mondo, costringendolo a schierarsi tra le fila di amici di Washington o di Pechino. Il risultato sono accordi commerciali nuovi o rinnovati e rotte che si re-inventono sulla scia di guerre, politiche protezionistiche, necessità di materie prime, rivalità in settori cruciali quali tecnologia e transizione green.

Il cuore geografico di questa rivoluzione sembra essere in Asia, come testimoniano dati e fatti di cronaca dall’economia mondiale degli ultimi giorni. In 3 punti, ecco come la geopolitica sta plasmando un nuovo mondo.

1. Taiwan verso gli Usa

Il boom delle esportazioni di Taiwan verso le coste americane è un esempio di come le tensioni tra le grandi potenze stiano rimodellando il commercio globale – e di come la Cina sembri essere in svantaggio.

Le vendite dell’isola sui mercati statunitensi sono aumentate di oltre l’80% in aprile rispetto all’anno precedente, raggiungendo un livello record, secondo i dati pubblicati venerdì scorso. Nei primi quattro mesi del 2024, le spedizioni verso gli Stati Uniti hanno superato quelle inviate verso la Cina, che hanno continuato a diminuire. Anche includendo Hong Kong, la quota cinese del commercio dell’isola sta diminuendo.

Non è solo il flusso delle merci a cambiare. Anche i nuovi investimenti taiwanesi nel dragone sono diminuiti drasticamente, a soli 3 miliardi di dollari l’anno scorso da un picco di 14,6 miliardi di dollari nel 2010, anche se le aziende con sede sull’isola hanno investito importi record altrove.

2. Dazi Usa sui beni cinesi

L’annuncio di Biden dei nuovi dazi sui beni cinesi importati è stata una novità non sorprendente, ma emblematica per capire il livello di tensione tra le due potenze.

Si prevede che le tariffe, che entreranno in vigore nei prossimi due anni, raggiungeranno circa 18 miliardi di dollari nelle attuali importazioni annuali, ha affermato la Casa Bianca. Se la Cina reagisse in modo proporzionato, ciò influenzerebbe circa 6,2 miliardi di dollari nelle importazioni di beni statunitensi, secondo Scott Kennedy del CSIS.

La mossa di Biden fa parte di una più ampia revisione commerciale per gli alleati degli Stati Uniti in Asia, comprese le principali economie come la Corea del Sud e il Giappone. Entrambi vedono una quota maggiore di esportazioni diretta verso gli Stati Uniti, a scapito della Cina.

La campagna statunitense volta a escludere la Cina dalle sue catene di approvvigionamento, in particolare per i prodotti tecnologici sensibili e di fascia alta, sta guidando il cambiamento. I flussi di investimento si stanno spostando insieme al commercio, con aziende globali che investono nel Sud-Est asiatico per evitare le tariffe statunitensi sulla Cina, e aziende di Taiwan, Corea del Sud e Giappone che costruiscono fabbriche negli Stati Uniti per trarre vantaggio dai sussidi per l’industria high-tech.

3. Russia e Cina si incontrano

Xi e Putin si sono incontrati in una visita del presidente russo in Cina, che sta consolidando i già stretti legami commerciali tra le due nazioni. Parlando giovedì 16 maggio, seduto accanto al presidente cinese Xi Jinping, il leader russo Vladimir Putin ha osservato che il 90% degli scambi commerciali veniva regolato in yuan e rubli.

“Ciò significa che possiamo dire che il nostro commercio e i nostri investimenti sono effettivamente salvaguardati dall’influenza di Paesi terzi”, ha detto Putin, con un evidente riferimento agli Stati Uniti e al ruolo dominante del dollaro a livello globale.

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