Finanza Sostenibile

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di Giuseppe Montalbano

La banca europea per il clima? La Bei e gli impegni non mantenuti per la neutralità climatica

La Banca europea per gli investimenti non rispetta le promesse di mettere fine agli investimenti sui combustibili fossili

La banca europea per il clima? La Bei e gli impegni non mantenuti per la neutralità climatica

La Bei non chiude il gas naturale in Europa

Sei progetti legati a impianti che sfruttano il gas naturale in cinque Paesi dell’Unione, finanziati per un valore di 890 milioni di euro: questa la denuncia pubblica della ONG europea Counter Balance, ripresa daEurActiv. Nulla di strano, se non fosse che dal novembre 2019 la Banca europea per gli investimenti (Bei) ha inaugurato una nuova e ambiziosa politicaper gli investimenti nel settore dell’energia finalizzata ad “allineare tutte le sue attività di finanziamento agli obiettivi dell’accordo di Parigi dalla fine del 2020” e in questo quadro “mettere fine a tutti gli investimenti in progetti basati sui combustibili fossili dalla fine del 2021”.

Promesse che appaiono essere di fatto disattese con questo programma di investimenti in infrastrutture a gas da fonti fossili che contribuiranno a mantenere i cinque stati membri coinvolti largamente dipendenti da queste fonti energetiche inquinanti, rallentando o rinviando a un futuro sempre più lontano la transizione europea verso la neutralità climatica, da raggiungere sulla carta entro il 2050.

Nelle dichiarazioni rilasciate dalla Bei, gli investimenti nei sei progetti di sfruttamento del gas naturale sono stati valutati proprio nel period in cui veniva approvata la nuova policy per gli investimenti “green” e che in ogni caso sono risultati pienamente ammissibili secondo il periodo di transizione fissato fino alla fine del 2021. Una giustificazione fondata sul rispetto formale dei termini e scadenze indicate che fa a pugni con la sostanza e il merito della volontà espressa di “agire con urgenza per contrastare il trend” delle emissioni di carbone, come aveva dichiarato Andrew McDowell, il vice-presidente della Bei con delega al settore energetico.

Non ci vuole un ingegnere o un economista per capire che gli impianti a gas naturale che si realizzeranno grazie agli investimenti della Bei avranno un impatto che andrà ben oltre il 2021, la fine del periodo di “transizione”, rafforzando la dipendenza dei governi coinvolti da fonti altamente inquinanti e dall’industria europea dei combustibili fossili.

In alcuni contesti questo contribuirà in maniera decisiva a legare le sorti di un intero Paese all’industria del gas. Questo è il caso ad esempio di Cipro, destinataria di due dei sei progetti finanziati dalla Bei, finalizzati alla realizzazione di un impianto di estrazione e sfruttamento di gas naturale liquefatto in prossimità al porti di Vassiliko.

Ma il rischio ambientale si lega a quello finanziario, dal momento che simili investimenti in impianti a combustibili fossili saranno sempre più esposti in futuro all’aumento dei prezzi del carbone, e quindi a costi sempre maggiori che li renderanno nel medio-lungo periodo non remunerativi.

Gli sforzi e le ambiguità della Bei

Negli ultimi cinque anni la Bei ha fatto in effetti uno sforzo considerevole nel riorientare le proprie strategie di investimento al di fuori dei settori legati ai combustibili fossili. Su 60 milioni di euro in investimenti nel settore energetico, il 90% è andato a finanziare fonti energetiche rinnovabili e all’efficientamento energetico, impegnandosi inoltre a investire almeno mille miliardi euro nella transizione climatica nei prossimi dieci anni.

Lo scorso novembre 2020 gli Stati membri hanno approvato la roadmap della Bei per la “transizione verso progetti sostenibili” che da quel momento si applica a tutti i nuovi investimenti.

Ma a ben vedere quella roadmap non esclude del tutto il finanziamento a progetti basati sul gas fossile: semplicemente li vincola al rispetto di alcuni più stringenti criteri. Ad esempio al Bei potrà continuare a investire nel gas naturale a patto che gli impianti rispettino lo standard di emissione “per la transizione” pari alla produzione di 250g di CO2 equivalente per kWh. Un simile vincolo esclude gli impianti che funzionano interamente a gas naturale, ma consente il finanziamento per quelle infrastrutture che sfruttano la cattura del carbone o che si basano sull’apporto di combustibili “a basso contenuto di carbone”.

La stessa definizione di combustibili “a basso contenuto di carbone” appare volutamente vaga e tale da aprire le porte a finanziamenti nel settore dello sfruttamento dell’idrogeno, come fonte energetica che prevede un «basso consumo» (ma continuo!) di gas naturale: non a caso un settore su cui si sta concentrando con forza l’industria del gas.

Dall’ambizione di essere la Banca del clima, la Bei rischia così di rivestire i panni della futura banca del gas e dell’idrogeno.