Space Economy: la nuova corsa allo spazio, tra innovazione ed etica
Jacopo Paoletti
24 febbraio 2022
Dalla prima regolamentazione internazionale dei diritti e doveri nello spazio, firmata nel 1967, a oggi: come è cambiato il nostro modo di relazionarci con lo spazio?
Si chiama linea di Karman l’uscio dell’immensità siderale, il confine tra l’atmosfera terrestre e il cosmo, posto - per convenzione - a 100 chilometri sopra il livello del mare. Superata questa linea si sperimenta l’assenza di gravità e si entra nello spazio. Oltre questo limite entrano in scena tematiche militari, geopolitiche, commerciali e tecnologiche che affondano le proprie radici all’epoca della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
La prima regolamentazione dei diritti e doveri spaziali è stata infatti firmata nel 1967, la cosiddetta “Magna Charta dello spazio”: l’Outer Space Treaty delle Nazioni Unite.
Un vero e proprio trattato il cui scopo principale era quello di proibire il posizionamento e l’utilizzo di armi nucleari nello spazio e assicurare un regime di responsabilità in caso di danno procurato da un oggetto precipitato sul pianeta o un lancio fallito.
È questo il fondamento del diritto internazionale dello spazio, cui hanno fatto seguito altri quattro trattati: l’Accordo sul salvataggio e recupero degli astronauti e degli oggetti spaziali (1967), la Convenzione per la responsabilità internazionale su danni causati da oggetti spaziali (1972), la Convenzione sull’immatricolazione degli oggetti lanciati nello spazio (1974), l’Accordo sulle attività degli Stati sulla Luna (1978).
Da allora, non sono stati firmati altri accordi, ma l’interesse dell’uomo per lo spazio non si è fermato. Dal posizionamento di satelliti per scopi militari e commerciali al turismo cosmico, dallo sfruttamento delle risorse presenti su altri pianeti alla rete di connessione satellitare: lo spazio è diventato strategico.
Le nostre vite, consapevolmente o meno, sono sempre più space-based. Si parla di space weaponization, si difende il diritto alla new space economy, si organizzano lanci spaziali.
E assume, quindi, un ruolo simbolico e propagandistico il lancio del razzo Falcon Heavy di SpaceX (la compagnia di Elon Musk) che ha portato, al volante di una Tesla Roadster, un manichino a guidare nello spazio. Una immagine che ha reso lo spazio più estremo vicino alla nostra quotidianità: non più solo visibile dall’oblò di uno Shuttle, ma percepibile dallo specchietto della nostre auto.
E così gli uomini quasi comuni - intendendo con ciò i miliardari come Jared Isaacman, Richard Branson o Jeff Bezos - possono muovere i propri passi nello spazio come turisti del cosmo che lasciano le proprie impronte non più sulla superficie lunare, ma nella storia orbitale.
Una storia che si sta scrivendo in fretta e che lascia in sospeso molte domande. È il 4 febbraio 2022 e tutto il mondo, almeno quello all’interno della linea di Karman, parla di Starlink e delle implicazioni della connettività satellitare.
Fino a quel giorno, i problemi legati alla deturpazione del cielo per gli astronomi, all’affollamento di massa dell’orbita e alla gestione totale di Elon Musk di questa industria, non erano argomento di dibattito su testate internazionali.
Il 4 febbraio, però, ha segnato il cambiamento: una tempesta geomagnetica ha condannato alla distruzione 40 satelliti del progetto Starlink di SpaceX, che ha l’obiettivo di diffondere Internet sull’intero globo grazie a una costellazione di decine di migliaia di questi dispositivi.
I 40 satelliti distrutti sono stati programmati per autodistruggersi senza provocare alcun detrito spaziale, e così al loro rientro si sono dissolti nella volta celeste lasciando solo una breve scia luminosa.
Differente è invece l’entità della scia lasciata nel dibattito internazionale.
La Nasa è entrata in scena sottolineando come i piani di SpaceX nel tempo possano portare a un aumento significativo delle potenziali collisioni nell’orbita terrestre bassa, oltre a interferire con le loro missioni scientifiche e di volo spaziale umano.
Connettività in tutte le aree del mondo o bisogno di lasciare intatto l’ecosistema spaziale?
Raffaele Barone, Co-Founder e CTO di CreationDose sostiene che: “Si sta diffondendo un nuovo concetto di rete Internet satellitare, potenzialmente alla portata di tutti. Poter offrire una connessione stabile e duratura in quelle parti del pianeta dove mancano le infrastrutture per le normali connessioni cablate, annullerebbe il digital divide, garantendo a tutti completa accessibilità. In ogni sperimentazione è necessario valutare le implicazioni, ma il sistema così progettato vuole limitare al massimo i rischi per il pianeta, mettendo in scena il libero potere della connettività raggiungibile”
A rafforzare il dibattito relativo ai piani di Elon Musk sulle fasce orbitali anche l’Unione Europea che ha dichiarato le proprie ambizioni spaziali, varando un proprio piano per la connettività satellitare di circa 6 miliardi di euro.
Due i punti principali del progetto: la copertura mondiale di servizi di comunicazione via satellite sicuri ed efficaci sotto il profilo dei costi e la possibilità di erogazione da parte del settore privato di servizi commerciali in grado di offrire ai cittadini e alle imprese accesso a connessioni avanzate, affidabili e veloci.
A oggi, con quasi 30.000 satelliti e altri detriti che orbitano intorno al pianeta, le perplessità sembrano aumentare: le scelte che prendiamo oggi, in nome di concetti etici o interessi geopolitici, possono davvero essere prive di conseguenze future imprevedibili?
Con la cooperazione della concorrenza tra le compagnie satellitari, modificando il design dei satelliti, rendendo pubblici gli studi effettuati e limitando i costi di accesso, forse, non dovremmo fare una scelta tra l’astronomia e i nostri diritti.
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