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di Mauro Finiguerra e Lara Zampini e Alberto Michelis e BCFormula

Accertamenti fiscali: perché il regime premiale non sempre premia

Mauro Finiguerra

21 aprile 2023

La storia del regime premiale ci insegna che gli accertamenti fiscali non finiscono mai, nemmeno per i bravi contribuenti.

Accertamenti fiscali: perché il regime premiale non sempre premia

Facciamo un salto indietro nel tempo e torniamo al 2011, uno dei tanti anni di crisi per il nostro paese (ricordate il “commissariamento” del Governo Berlusconi da parte dell’UE, la paura per i conti pubblici, lo spread) e rispolveriamo un concetto che fu introdotto da un decreto legge per mettere a posto i conti pubblici: il regime premiale.

Torniamo a quello che fu definito Decreto Salva Italia, il Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 6/12/2011.

Regime premiale, la storia

Varato dal Governo Monti, che subentrò dopo l’estate al Governo Berlusconi, il decreto legge recava “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici“.

Serviva a dare il via alla cosiddetta Manovra Monti, che varava un pacchetto di misure urgenti per assicurare la stabilità finanziaria, la crescita e l’equità.

Tra le varie misure erano presenti dispositivi per strutturare un cosiddetto regime premiale per quei contribuenti connotati da comportamenti trasparenti dell’Amministrazione finanziaria.

Il regime premiale consisteva in adempimenti ridotti e semplificati, assistenza diretta da parte dell’amministrazione finanziaria per l’esecuzione dei singoli adempimenti, un più celere rimborso o compensazione dei crediti Iva e la riduzione dei poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria.

Regime premiale: gli articoli di legge

Un punto particolare all’art.10 – punto 9 riguardava i contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore.

Nel testo si legge:

“Nei confronti dei contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore, ai sensi dell’articolo 10, della legge 8 maggio 1998, n. 146, che dichiarano, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dell’applicazione degli studi medesimi:
a) sono preclusi gli accertamenti basati sulle presunzioni semplici di cui all’articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
b) sono ridotti di un anno i termini di decadenza per l’attività di accertamento previsti dall’articolo 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall’articolo 57, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633; la disposizione non si applica in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74;
c) la determinazione sintetica del reddito complessivo di cui all’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e’ ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un terzo quello dichiarato. 10. La disposizione di cui al comma 9 si applica a condizione che:
a) il contribuente abbia regolarmente assolto gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, indicando fedelmente tutti i dati previsti;
b) sulla base dei dati di cui alla precedente lettera a), la posizione del contribuente risulti coerente con gli specifici indicatori previsti dai decreti di approvazione dello studio di settore o degli studi di settore applicabili.«Il successivo art. 11 prevedeva, poi, una particolare “attenzione” l’Agenzia delle entrate e la Guardia di Finanza nei confronti di quei contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore, per i quali non si rendeva applicabile le disposizioni.»

Quindi di primo impatto può apparire come una norma atta a salvaguardare i contribuenti virtuosi dalla scure dell’accertamento, sia perché le risorse degli organi di controllo sarebbero state destinate in maggior parte a quei contribuenti “non in linea”, sia per un ridotto periodo di possibile accertamento.

Regime premiale: un caso pratico che fa dubitare

Un regime premiale ben concepito, dunque. Ma non sempre funziona come è stato immaginato. Quando?

Lo spieghiamo con un caso concreto.

Un’impresa che rientrerebbe tra quelle destinatarie del regime premiale riceve comunque una verifica da parte della Guardia di Finanza che riguarda ben 5 periodi d’imposta dal 2014 al 2018 oltre che la parte di periodo di esecuzione della verifica.

L’Agenzia delle Entrate emette contemporaneamente gli avvisi di accertamento per le prime due annualità sia nei confronti della società che nei confronti dei soci che sono chiamati a rispondere dell’esito di indagini finanziarie che non possono essere imputate alla società stessa.

Gli atti riguardanti la società vengono annullati in autotutela mentre restano contestazioni definite in adesione per la parte persone fisiche

Trascorso il periodo della pandemia nel settembre del 2022 viene attivato l’accertamento per l’annualità 2016 sia società che soci

Ma ecco che alla fine di dicembre viene notificato anche l’invito per l’annualità 2017 perché come spiegato “… il contribuente rientra nel regime premiale….”

Ma il contribuente che già sostiene gli oneri dei precedenti accertamenti forse avrebbe preferito diluire nel tempo ulteriori aggravi di imposte, sanzioni e spese di difesa. Invece ha diritto al premio.
E non può rifiutarlo.

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