Bond oggi, Btp Italia e se dall’inflazione si passasse alla deflazione?
Lorenzo Raffo
16 novembre 2022
Ipotesi estrema, che giustifica però un’analisi di casistiche più ampie. Dalle quali proteggersi con un’abbinata inflation-tasso fisso, cogliendo l’anomalia della situazione in corso.
Dietro ai facili entusiasmi ci sono le preoccupazioni per il futuro. Il Btp Italia non ha fatto scintille nella raccolta delle prime due sedute di collocamento ma non ha nemmeno deluso. Uno dei motivi può riguardare l’incertezza sull’andamento dell’inflazione in futuro. Oggi conferma dati preoccupanti in Europa ma fra un anno? E se di colpo si scivolasse da una fase di rialzo del costo della vita a una di andamento inverso, ovvero di forte riduzione o addirittura di deflazione? In tal caso avrebbe poco senso collocarsi su un “inflation”. È evidente, seppur…
Il meccanismo
La cedola reale annua base, stabilita all’1,6% per la diciottesima edizione del Btp Italia verrebbe in ogni caso pagata in qualsiasi contesto: con l’inflazione galoppante, in presenza di prezzi che calassero e perfino un quadro di deflazione. Allo stesso tempo quest’ultima non determinerebbe però un impatto negativo sul capitale, come avviene invece per gli altri “inflation”, quali per esempio i Btp€i.
È pur vero che logicamente non scatterebbe la rivalutazione della cedola legata all’aumento dei prezzi, perché il cosiddetto il numero indice correlato all’Istat di fine semestre deve essere sempre superiore a quello di riferimento, fissato all’inizio dello stesso semestre. Perfino se, dopo magari una fase corta di deflazione, l’inflazione ripartisse occorrerebbe che il numero indice fosse superiore a quello cui si è riferita l’ultima cedola: in caso contrario si continuerebbe a percepire solo il tasso reale dell’1,6%. In altre parole è necessario che i prezzi non solo tornino a salire ma che raggiungano il livello che avevano prima di cominciare a scendere.
L’imprevisto
Lo stesso ministero dell’Economia e delle Finanze in un suo studio esplicita un esempio concreto. Se il Btp Italia staccasse una cedola a quota 109 del numero indice Istat e si registrasse successivamente una discesa dell’indice a 105, in presenza di un ulteriore seguente ritorno inflattivo, tale da portare il numero indice a quota 108, in crescita rispetto al semestre precedente ma non rispetto ai 109 dell’ultima rilevazione, si incasserebbe solo la cedola base dell’1,6%. Questo va detto perché in un passato nemmeno troppo lontano gli investitori si ritrovarono a percepire unicamente il tasso reale minimo, sebbene in presenza di un lento surriscaldamento dei prezzi, e rimasero delusi di questa situazione.
E allora che si fa?
Il timore della deflazione non si giustifica nella fase in corso ma quello invece di una situazione di alti e bassi inflattivi è legittimo, aprendo il dubbio che il Btp Italia si dimostri meno efficiente rispetto a quanto avvenuto negli ultimi due semestri. In tal caso si può trovare la risposta in un compromesso: parte di quanto si vuole investire va all’“inflation” di casa nostra e parte a un tasso fisso governativo su identica scadenza. Ipotizziamo allora di aver aderito al collocamento della nuova emissione scadenza Nv2028: si costruisce dunque una posizione per un importo equivalente su per esempio il Btp 2,80% Dc28 (Isin IT0005340929), che attualmente quota sui 96,8 euro, con rendimento al 3,4%.
L’abbinata ridurrebbe il rischio deflazione, anche perché in tal caso il tasso fisso certamente tornerebbe sopra 100, garantendo un’ottima plusvalenza. Insomma niente è certo perfino per titoli a bassa volatilità e strutturalmente protettivi come i Btp Italia. Con un po’ di diversificazione è tuttavia possibile ridurre gli effetti negativi che una situazione estrema potrebbe comportare.
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