Dubbi sulla rilevanza in dogana del transfer pricing: cosa succederà?
Una recente pronuncia della giurisprudenza tedesca in materia di relazione tra valore in dogana e transfer pricing sembra aver aperto nuovi orizzonti. Ecco cosa potrebbe cambiare.
Una corretta politica di gestione del rischio doganale non può prescindere da un esame puntuale delle prassi aziendali di determinazione del valore. Ma una recente pronuncia della giurisprudenza tedesca in materia di relazione tra valore in dogana e transfer pricing sembra poter aprire nuovi orizzonti alla disciplina di un istituto così diffuso, eppure così controverso.
Abbiamo già parlato di come determinare il valore di un prodotto in dogana e di quale sia l’importanza di una corretta attribuzione del valore per l’intero processo doganale in un articolo pubblicato qualche mese fa su questo blog. Gestire una politica di transfer pricing non è semplice, l’abbiamo già scritto, poiché gli interessi reddituali si scontrano inevitabilmente con gli interessi daziari e di dichiarazione di valori alla base della normativa doganale mondiale.
Se, infatti, l’autorità fiscale cerca di determinare in un importo minimo l’ammontare dei costi deducibili, l’autorità doganale tende a incrementare, ove possibile, il valore dei beni importati. Nonostante ciò, negli ultimi anni, si deve considerare l’interpretazione in chiave moderna dei rapporti tra transfer pricing e valore in dogana fornita dall’edizione 2018 in poi della “WCO Guide to Customs Valuation and Transfer Pricing”, la quale ammette, ufficialmente e per la prima volta, la possibilità di tenere in conto gli adjustments dei metodi reddituali quali elemento di base per eseguire le variazioni di prezzo valide in ambito doganale, possibilità fino all’edizione precedente nemmeno contemplata.
Cambio di rotta nella determinazione del valore: il parere degli organi di settore
La stessa guida ha recepito tutti i commenti ed i pareri dell’International Chamber of Commerce (ICC), che si è fatta portavoce delle esigenze economiche e gestionali delle imprese mondiali.
In materia, in più occasioni, è intervenuta anche Assonime, attestando proprio come tra la disciplina sul valore in dogana e la normativa sui prezzi di trasferimento non si registri una perfetta coincidenza, con il rischio di creare un sistema “a doppio binario”, che complica l’operatività delle aziende.
Ciò si verifica soprattutto in relazione alle regole sul valore, che, ai fini doganali, “deve riflettere il valore economico reale di una merce importata e tenere conto di tutti gli elementi di tale merce che presentano un valore economico” (Corte di Giustizia Ue, sentenza 20 dicembre 2017, causa n. C-529/16).
Inoltre, laddove la dogana ritenga che il legame tra le parti abbia influenzato il valore, quest’ultimo deve essere individuato secondo i metodi secondari, da applicare tassativamente “a cascata” secondo il loro ordine (art. 74, Reg.to (Ue) n. 952/13 e art. 134, Reg.to (Ue) n. 2447/15). Diversamente, in materia di prezzi di trasferimento, il contribuente può scegliere, tra metodi tradizionali e metodi reddituali, la tecnica di determinazione del valore, nel rispetto del principio del prezzo di libera concorrenza delle merci (arm’s length principle).
La pertinente osservazione di Assonime dovrebbe, tuttavia, considerarsi superata se si osserva come la l’Agenzia delle Dogane abbia confermato che i metodi tradizionali Ocse di determinazione del prezzo di trasferimento infragruppo possono essere accettati, con un diverso grado di affidabilità, anche dalle dogane.
Nonostante ciò, in effetti, se si pensa ai metodi “reddituali” di determinazione dei prezzi di trasferimento, è evidente la difficoltà di conciliarli con le regole doganali di determinazione del valore, fermo restando come, anche in questo caso, l’Agenzia delle Dogane abbia riconosciuto la possibilità di rendere nota preventivamente agli Uffici doganali la policy di gruppo relativa ai prezzi di trasferimento.
Come l’Agenzia delle Dogane ha declinato le disposizioni Ocse
Due sono state le pronunce dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in materia, ovvero le circolari 6 novembre 2015, n. 16 e, soprattutto, 21 aprile 2017, n. 5. Nell’analizzare i diversi metodi di determinazione del prezzo di trasferimento, al fine di valutarne il possibile rilievo per l’esame delle circostanze della vendita di cui all’art. 29, § 2, lett. a) e b), Reg.to (Ue) n. 952/13 e al commento 23.1 del Comitato tecnico sul valore in dogana della WCO, l’Agenzia è arrivata alla conclusione che i metodi tradizionali Ocse di determinazione del prezzo di trasferimento infragruppo possono essere accettati, con un diverso grado di affidabilità, anche dalle dogane.
In particolare, il Transactional Net Margin Method (TNMM, metodo del margine netto transazionale) esamina il margine operativo rapportato a un’appropriata base di riferimento (ad es., vendite, costi o beni e risorse impiegati) emergente in transazioni tra imprese associate e confrontato con quello ritraibile in transazioni tra imprese indipendenti. Il metodo può risultare utilizzabile anche in dogana al ricorrere di specifiche condizioni, allorquando gli indici netti di rendimento (margini netti, extra costi, dati di profitto riferiti al capitale ed alle attività economiche intraprese, costi operativi, cifre d’affari, etc.) di imprese comparabili siano utilizzabili per singole tipologie di transazioni imprenditoriali.
In linea generale, l’Agenzia delle Dogane, al fine di regolarizzare la propria posizione in termini di determinazione del valore in dogana in presenza di adjustments a posteriori, ha suggerito:
- l’utilizzo dell’istituto della dichiarazione semplificata in esportazione;
- l’utilizzo della semplificazione sul valore (determinazione concordata del valore in dogana) in importazione.
Cos’è, dunque, che ci porta a scrivere di un cambio di rotta rispetto a quanto affermato fino a questo momento?
Il precedente Hamamatsu
Il Tribunale Tributario di Monaco di Baviera si è rivolto a Bruxelles per ottenere risposta a una domanda: le disposizioni che disciplinano il valore in dogana consentono di indicare come tale un prezzo di trasferimento concordato costituito da un importo inizialmente fatturato e dichiarato, nonché da un adeguamento forfettario compiuto dopo la fine del periodo di fatturazione, a prescindere dalla questione se, al termine di tale periodo, venga emessa, nei confronti dell’interessato, una nota di addebito o di accredito?
Troviamo la risposta nella sentenza 20 dicembre 2017, causa n. C-529/16, chiamata «sentenza Hamamatsu» proprio dal nome della società che ha effettuato l’adeguamento ex post al centro della vicenda. La Corte di Giustizia UE ha riconosciuto che il valore in dogana deve riflettere l’effettivo valore economico delle merci al momento della loro importazione e, quindi, deve considerare tutti gli elementi che presentino un valore economico; e deve essere determinato applicando il metodo del valore della transazione, ovvero il prezzo effettivamente pagato o da pagare.
Prezzo che può, se necessario, essere adeguato, in un secondo momento, al fine di evitare la dichiarazione di valori arbitrari o fittizi.
Tuttavia, occorre ricordare come i casi in cui la Corte ha ammesso un adeguamento ex post del valore di transazione siano limitati a situazioni specifiche riguardanti, in particolare, un difetto di qualità del prodotto o vizi rilevati successivamente alla sua immissione in libera pratica.
Il Codice doganale (i fatti di causa sono avvenuti in vigenza del precedente Codice comunitario, ma i principi possono estendersi all’attuale Codice doganale unionale) non impone alcun obbligo agli importatori di sollecitare adeguamenti del valore di transazione, laddove quest’ultimo sia corretto ex post in aumento, né stabilisce alcuna disposizione che consenta all’autorità doganale di tutelarsi dal rischio che gli importatori medesimi richiedano unicamente adeguamenti in diminuzione.
In ragione di ciò, i giudici unionali hanno ritenuto che un adeguamento del prezzo successivo alle operazioni di importazione dell’operazione, come quello operato dalla società Hamamatsu Photonics Deutschland GmbH, non potesse essere preso in considerazione ai fini della valutazione in dogana.
E ha quindi stabilito che la dogana non può accettare un valore di transazione concordato costituito, in parte, da un importo inizialmente fatturato e dichiarato e, in parte, da un adeguamento forfettario operato dopo la fine del periodo di fatturazione, senza che sia possibile sapere se, al termine del periodo di fatturazione stesso, tale adeguamento sarà operato in aumento o in diminuzione.
La sentenza, dunque, rivoluziona quanto affermato fino a quel momento: gli adjustments definiti posteriormente alle operazioni di importazione e dovuti a una politica di transfer pricing sono irrilevanti ai fini della determinazione del valore in dogana.
L’interpretazione tedesca della sentenza Hamamatsu
In realtà, nessuna autorità doganale, né nessun giudice nazionale ha fatto propria la posizione della Corte di Giustizia.
Almeno fino all’autunno scorso; quando è stata pubblicata la sentenza del Bundesfinanzhof (BFH), il Tribunale Fiscale Federale tedesco, che ha deciso proprio il caso Hamamatsu, oggetto del rinvio da parte del Tribunale Tributario di Monaco di Baviera e della appena commentata decisione dei giudici di Bruxelles, recependo la prospettazione di questi ultimi e negando un rimborso alla società ricorrente.
Sebbene la società avesse chiesto un rimborso del dazio basato su adeguamenti retroattivi del prezzo di trasferimento mediante una nota di credito, il BFH ha sottolineato che sia per gli adeguamenti in aumento che per quelli in diminuzione, non era noto al momento dell’accettazione della dichiarazione di importazione se il prezzo di trasferimento (che è stato dichiarato come definitivo dalla società, considerandolo quale prezzo effettivamente pagato o da pagare) dovesse essere adeguato e, in caso affermativo, se l’adeguamento sarebbe stato in aumento o in diminuzione; il che determina l’irrilevanza di tali adeguamenti ai fini della determinazione del valore in dogana.
Infatti, se e in che misura determinare gli adeguamenti è attività successiva all’importazione dei beni e, quindi, non in grado di influenzare il processo di fissazione del valore in dogana, che deve riflettere solo il «valore economico reale» al momento dell’importazione.
Principio, questo, valido per tutti i metodi di valutazione in dogana, che si tratti della metodologia del valore di transazione o di qualsiasi metodo di valutazione alternativo.
La sentenza del BFH è, ovviamente, applicabile solo in Germania, ma la Commissione europea attendeva l’esito di questo caso nell’ottica di sviluppare un approccio Ue allineato sul trattamento degli adeguamenti retroattivi dei prezzi di trasferimento dal punto di vista del valore in dogana. Quello che accadrà a Bruxelles, ma anche nel nostro Paese, dopo questo importante precedente, è ancora da definire. Ma possiamo già immaginare degli scenari, e studiare come le aziende dovrebbero comportarsi per evitare rischi nell’attribuzione del valore in dogana nel corso del webinar gratuito che terremo il 22 marzo proprio sul tema del Valore e transfer pricing in dogana. Prenotazione obbligatoria a questo link.
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