Due diligence, la via unionale alla sostenibilità
Il legislatore unionale abbina un obbligo legale a quello morale della sostenibilità richiamato dall’Onu. Di cosa parliamo quando ci riferiamo alla due diligence di sostenibilità?
All’obbligo morale della sostenibilità, cui ci richiama l’Onu, il legislatore unionale abbina un obbligo legale, che introduce nella vita aziendale la due diligence di sostenibilità; alla quale non si sottrae neppure la dogana.
Quando, con scarsa concentrazione, sfogliamo un giornale o ascoltiamo un programma radiofonico o televisivo, la nostra attenzione viene invariabilmente attratta solo dalle notizie che più da vicino riguardano la nostra vita, professionale o personale che sia.
Una mirabile selezione naturale la quale, tuttavia, al di là della nostra volontà, ci distoglie da notizie solo apparentemente lontane.
Eccone un esempio.
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, che prevede 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile in un grande programma d’azione, per un totale di 169 “target” o traguardi, da raggiungere, appunto, entro il 2030.
Gli Obiettivi per lo Sviluppo costituiscono il seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti e rappresentano obiettivi comuni applicati ad una serie di questioni di estrema importanza, in ottica Onu (e non solo): la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame, il contrasto al cambiamento climatico, ad esempio; comuni perché riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui.
Insomma, l’Agenda 2030 delinea un percorso “moralmente” vincolante, al quale nessuno, istituzioni, organizzazioni, individui e anche aziende, può sottrarsi.
La sostenibilità aziendale e il programma Dogana 2040
Un modello di business orientato ad una particolare attenzione per l’ambiente, per il benessere sociale, per l’equità e la misura nella governance dell’azienda: così, sinteticamente, potremmo definire la sostenibilità aziendale, che la Commissione Ue identifica nella Corporate Social Responsibility (CSR), intesa quale integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.
Sostenibilità, dunque, non più come monolitico concetto unitario, ma come esemplificazione di diverse situazioni, tutte degne e meritevoli di tutela, che potremmo scomporre in sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale, sostenibilità economica.
Rispetto dell’ambiente, contrasto al cambiamento climatico, considerazione delle questioni ambientali quale linea guida del proprio business, nel primo caso; impatto positivo di ogni azione sulla collettività, benessere e inclusione dei dipendenti, attenzione a tutti gli aspetti di sicurezza sul luogo di lavoro, nel secondo caso; innovazione ed etica del profitto, attenzione alle politiche di approvvigionamento e di vendita, partecipazione attiva al tessuto economico sociale, nel terzo caso.
Anche il programma Dogana 2040 non sfugge alla tentazione sostenibile: in uno scenario 2040 in cui l’economia sarà più circolare, ci sarà una maggiore preferenza per modelli di business economici circolari, consumi e produzioni locali. Per questo motivo, saranno movimentate più materie prime che prodotti finiti. Ciò avrà inevitabili implicazioni doganali, il monitoraggio dei flussi di materie prime richiede la conoscenza dell’intero ciclo di vita di un prodotto. Inoltre, un’economia circolare richiede un panorama tariffario molto complesso, ad es. per l’inclusione di dazi ambientali.
Attività meno tradizionali richiederanno conoscenze meno tradizionali: la Commissione Ue prefigura un cambiamento dell’identità organizzativa e della mentalità delle autorità doganali: la transizione ambientale diviene transizione socio-ambientale, il ruolo di controllo e sviluppo delle dogane sarà essenziale.
Ma la Commissione Ue va ben oltre.
La due diligence in materia di sostenibilità ambientale
Il 23 febbraio 2022 ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio una proposta di direttiva per disciplinare l’obbligo di due diligence in materia di sostenibilità aziendale; la quale stabilisce norme in materia di obblighi per le aziende in merito agli impatti negativi, effettivi e potenziali, sui diritti umani e sull’ambiente, delle operazioni rientranti nel concetto di “catena del valore” proprie, delle società controllate e dei soggetti con i quali la società ha una relazione d’affari consolidata, individuando profili di responsabilità per le violazioni degli obblighi previsti. Direttiva presto rinominata direttiva ESG (Environmental, Social, Governance).
La proposta di direttiva mira a definire un quadro orizzontale per promuovere il contributo delle imprese che operano nel mercato unico al conseguimento della transizione dell’Unione verso un’economia climaticamente neutra e verde, in linea con il Green Deal europeo e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Anche la dogana nella due diligence di sostenibilità.
Insomma, un vero e proprio obbligo, la due diligence aziendale, cui gli Stati membri saranno chiamati a dare attuazione, rendendo, altresì, effettivi i principi sanzionatori individuati dal legislatore unionale.
Obbligo per tutte le aziende?
Le piccole e medie imprese tirino un sospiro di sollievo: salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, saranno esentate da tale incombenza. Chi non potrà sottrarvisi, al contrario, sono le imprese unionali con, in media, più di 500 dipendenti e un fatturato mondiale netto superiore a 150 milioni di euro, registrato nell’ultimo esercizio finanziario per il quale è stato o avrebbe dovuto essere adottato il bilancio d’esercizio; nonché le imprese unionali che, pur non rispettando le predette soglie, abbiano in media più di 250 dipendenti e un fatturato mondiale netto superiore a 40 milioni di euro, realizzato nell’ultimo esercizio finanziario per il quale i bilanci annuali sono stati o dovrebbero esser stati adottati, a condizione che almeno 20 milioni di euro siano stati generati nei settori della fabbricazione di prodotti tessili, di cuoio e di prodotti correlati (comprese le calzature) e del loro commercio all’ingrosso, dell’agricoltura, silvicoltura, pesca (compresa l’acquacoltura), della produzione di prodotti alimentari e bevande e del commercio all’ingrosso di materie prime agricole, animali vivi, legno, alimenti e bevande, dell’estrazione di risorse minerarie, della fabbricazione di prodotti metallici di base, di altri prodotti minerali non metallici e prodotti fabbricati in metallo (eccetto macchinari e attrezzature) e del commercio all’ingrosso di risorse minerarie, prodotti minerali di base e intermedi.
Anche le società di Paesi terzi non possono stare tranquille, se nell’esercizio precedente l’ultimo esercizio finanziario abbiano realizzato un fatturato netto superiore a 150 milioni di euro oppure, nel medesimo esercizio, abbiano realizzato un fatturato compreso tra 40 e 150 milioni di euro, a patto che almeno 20 milioni siano conseguenza delle attività descritte nel precedente capoverso.
Nemmeno tutte le operazioni sono soggette a due diligence, bensì unicamente quelle che rientrano nel concetto di catena del valore. Cosa sia, ce lo spiega lo stesso legislatore:
- attività dei partner commerciali a monte di un’azienda, relative alla produzione di beni o alla fornitura di servizi da parte di quest’ultima, compresa la progettazione, l’estrazione, la fabbricazione, il trasporto, lo stoccaggio e la fornitura di materie prime, prodotti o parti dei prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio;
- attività dei partner commerciali a valle di un’azienda, relative alla distribuzione, al trasporto, allo stoccaggio e allo smaltimento del prodotto, compresi lo smantellamento, il riciclaggio, il compostaggio o lo smaltimento in discarica, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per l’azienda o per conto dell’azienda, escluse lo smaltimento del prodotto da parte dei consumatori e la distribuzione; il trasporto, lo stoccaggio e lo smaltimento del prodotto sono soggetti al controllo delle esportazioni ai sensi della normativa in materia di duplice uso (Reg.to (UE) n. 821/21).
Ecco che ritornano temi a noi cari, quali export control, duplice uso, controllo delle esportazioni; insomma, la materia doganale (non solo il duplice uso) non è estranea all’ambito di applicazione della due diligence di sostenibilità.
Come rendere sostenibile la supply chain della propria azienda
Un concetto apparentemente lontano ed estraneo al nostro ambito di interesse professionale (non personale) come l’Agenda Onu 2030 si trasforma, nell’interpretazione unionale, in un obbligo per le aziende, che coinvolge anche l’aspetto doganale.
Non è una sorpresa, non deve essere una sorpresa; il processo doganale è, a tutti gli effetti, nella visione di un approccio moderno e olistico alla materia, un processo aziendale.
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Ricomporre dalle singole tessere la visione d’insieme di un mosaico, che riveli i pregi e i difetti dei processi doganali e dei processi aziendali correlati, che consenta l’evidenza delle aree nere di rischio e delle aree grigie di miglioramento, una perfetta compliance anche in termini di opportunità delle scelte doganali; lo scopo della due diligence doganale ben si sposa, a maggior ragione in ottica futura, con i temi della sostenibilità e della transizione sociale ed economica prefigurata dalla Commissione Ue.
Un colloquio diretto con le funzioni aziendali interessate dai processi doganali, logistici, informatici, amministrativi per ricondurre a unità informazioni spesso frammentate e non sempre organizzate. Uno strumento diretto non solo a reperire informazioni, ma a entrare nella vita della società, per comprenderne le logiche gestionali e tutelare al meglio i suoi interessi.
La due diligence è essenziale, che lo dica il legislatore unionale è una conferma; lo sappiamo bene noi, che abbiamo fatto di questo istituto la chiave per diventare partner delle aziende.
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