Origine non preferenziale: cos’è e come stabilirla
Facciamo chiarezza sul concetto di origine non preferenziale, fondamentale per chi opera in dogana, e su altri concetti che ne derivano, provando ad individuare un metodo di lavoro.
L’origine non preferenziale è (o dovrebbe essere…) un concetto familiare per tutti coloro che correntemente operano in dogana; forse di non agevole interpretazione, ma familiare.
Misure restrittive di natura economica, quali dazi antidumping o compensativi o di politica più strettamente commerciale, come contingenti tariffari o economici, sono disposte dall’Unione europea proprio in ragione dell’origine non preferenziale dei beni.
Nel linguaggio comune, per differenziarla dall’origine preferenziale, spesso identifichiamo l’origine non preferenziale con il “made in”, istituto diverso e separato, con differenti fini e disciplina. Nessun problema se abbiamo ben presente che, nella presente ipotesi, “made in” non si traduce in “prodotto in”, bensì in “rispondente alle regole dettate dal legislatore unionale”, come abbiamo illustrato in un precedente intervento.
Regola fondamentale, da imparare a memoria: l’origine non si modifica, a meno che non intervengano circostanze specifiche che comportino un cambiamento dello stato dei beni.
Se un prodotto è qualificato di origine non preferenziale Italia, manterrà tale origine per quante volte venga scambiato, così com’è, sui mercati internazionali. Solo nell’ipotesi in cui venga utilizzato in un processo produttivo, acquisirà una diversa origine, quella del prodotto finito. Ad esempio: una barra di acciaio di origine Cina rimarrà tale fino a quando verrà scambiata come barra di acciaio e solo qualora dovesse essere impiegata nella produzione, ad esempio, di un serbatoio, perderà la sua individualità contribuendo a determinare l’origine non preferenziale di quest’ultimo; mentre, invece, un capo di abbigliamento di origine Italia conserverà tale titolo in tutte le transazioni estere che dovessero riguardarlo, perdendolo solo laddove perda la natura di vestiario.
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Come si determina l’origine non preferenziale
La regola della immutabilità dell’origine ci aiuta a comprenderne un’altra, fondamentale nell’attività quotidiana: i beni commercializzati, cioè acquistati e rivenduti così come sono, in assenza di lavorazioni o trasformazioni, mantengono l’origine che avevano al momento dell’acquisto. Origine che solo il fornitore è in grado di determinare.
È dunque obbligato a fornirci tale informazione? No, la normativa doganale unionale rende obbligatoria (benché non sanzionata) solo l’attestazione dell’origine preferenziale; quindi, l’inadempienza del fornitore potrà essere combattuta con strumenti commerciali, di natura contrattuale dal momento che un’origine non preferenziale ai nostri beni, in dogana o nei modelli Intrastat o laddove ci venga richiesta, dobbiamo pur attribuirla.
Cosa succede quando i beni sono prodotti in Italia utilizzando materie prime e componenti di diversa origine?
Punto di partenza è la corretta classificazione doganale dei beni. Le regole di origine (sia preferenziale che non preferenziale) sono attribuite in base alla voce doganale: di conseguenza, una classificazione errata comporterà una regola di origine errata.
Dove troviamo l’indicazione delle regole da applicare ai nostri beni?
Il primo passo è consultare l’Allegato 22-01 al Reg.to (UE) n. 2446/15, che indica le operazioni di lavorazione o trasformazione in grado di attribuire un’origine non preferenziale.
Produciamo utensili come rastrelli, pale e picconi (voce doganale 8201)? L’Allegato 22-01 attribuisce a tale voce doganale la regola CTH (Change in Tariff Heading), ovvero cambio di voce doganale: l’origine non preferenziale è riconosciuta agli utensili se tutti i componenti utilizzati nel processo produttivo sono classificati a una voce doganale diversa da 8201; se anche uno soltanto ricadesse in tale voce, l’origine non potrebbe essere riconosciuta.
In linea generale, le regole previste dalla normativa sono quelle del cambio di voce doganale (CTH o CTHS), del cambio di sottovoce doganale (CTSH o CTSHS) o del valore aggiunto: il valore acquisito grazie alla lavorazione e alla trasformazione, nonché eventualmente all’incorporazione di pezzi originari del Paese di fabbricazione deve rappresentare almeno l’X% del prezzo franco fabbrica del prodotto, dove «X» rappresenta la percentuale indicata per ciascuna voce doganale.
Ovviamente, le regole possono combinarsi tra loro.
E se il bene non rispettasse la regola di origine prevista? O se non fosse previsto nell’Allegato 22-01 (se produco coltelli o forbici, v.d. 8208, 8211, 8213, avrei senz’altro questo problema)?
Devo rivolgermi alla regola residuale di capitolo la quale, nel caso del capitolo 82 della Tariffa doganale, è la seguente: “Se il Paese di origine non può essere stabilito applicando le regole primarie, il Paese di origine delle merci è quello in cui ha origine la maggior parte dei materiali, come stabilito in base al valore dei materiali”.
Quindi: devo ordinare in base al valore i materiali utilizzati nel processo produttivo e indicati nella bill of material (BOM); il Paese dal quale provengono i materiali che hanno complessivamente il valore più elevato attribuirà l’origine non preferenziale al prodotto finito.
E se produco autovetture per il trasporto di persone (v.d. 8703)? Il capitolo 87 non è previsto dall’Allegato 22-01, che passa direttamente dal capitolo 85 al capitolo 90; quale regola devo applicare?
Come funziona la trasformazione sostanziale
Ci viene in soccorso la Guidance on non-preferential rules of origin, pubblicata dalla Commissione europea nel 2018 ed aggiornata la scorsa primavera, la quale, trattando dei prodotti non elencati nell’Allegato 22-01, afferma che l’origine deve essere stabilita caso per caso, valutando il processo produttivo in ragione del concetto di “ultima trasformazione sostanziale”; e ciò in quanto, per la presente ipotesi, non esistono regole legalmente vincolanti.
Torniamo alla fonte, dunque, al Codice doganale unionale, all’art. 60, § 2, Reg.to (UE) n. 952/13: se la lavorazione è stata sostanziale, ovvero tale da comportare una modifica della natura del bene; ha una giustificazione economica, ovvero non è stata posta in essere solo per attribuire una particolare origine al bene, eludendo la normativa generale; è stata realizzata da un’impresa attrezzata, cioè da un soggetto economico che normalmente e per attività propria effettua quel particolare tipo di operazioni, se tutte queste condizioni convivono, allora il prodotto finito avrà l’origine non preferenziale del Paese dove tale lavorazione si è svolta.
Ma cosa intende la Commissione Ue per “trasformazione sostanziale”?
L’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale è quella che determina la fabbricazione di un nuovo prodotto o rappresenta una fase importante della sua fabbricazione.
Per poterla individuare, occorre avere informazioni di tutti i materiali utilizzati nel processo produttivo e si devono identificare i materiali non originari utilizzati nel precedente stadio di produzione, avvenuto anche in un Paese diverso; infatti, i materiali non originari devono essere sostanzialmente trasformati o lavorati, al fine di conferire al prodotto finale l’origine non preferenziale dell’ultimo Paese di produzione.
Attenzione: le trasformazioni minime, enunciate dal Codice doganale, non possono mai conferire l’origine non preferenziale; laddove per operazioni minime il legislatore intende le manipolazioni destinate ad assicurare la conservazione in buone condizioni dei prodotti durante il loro trasporto e magazzinaggio o volte a facilitare la spedizione o il trasporto; le semplici operazioni di spolveratura, vagliatura o cernita, selezione, classificazione, assortimento, lavatura, riduzione in pezzi; i cambiamenti d’imballaggio e le divisioni e riunioni di partite, le semplici operazioni di riempimento di bottiglie, lattine, boccette, borse, casse o scatole, o di fissaggio a supporti di cartone o tavolette e ogni altra semplice operazione di condizionamento; la presentazione delle merci in serie o insiemi o la loro messa in vendita; l’apposizione sui prodotti e sul loro imballaggio di marchi, etichette o altri segni distintivi; la semplice riunione di parti di prodotti allo scopo di formare un prodotto completo; lo smontaggio o il cambiamento di uso; il cumulo di due o più di tali operazioni.
Occorre, poi, che la trasformazione sostanziale sia economicamente giustificata, ovvero che non sia stata posta in essere solo per eludere le disposizioni dettate dal Codice in materia di determinazione dell’origine non preferenziale, ad esempio per evitare l’applicazione di misure restrittive come i dazi antidumping.
Quindi, così come per la sostanzialità, anche la giustificazione economica andrà valutata, come dice la Guida, “on a case-by-case basis”. Guida che riporta anche un’ interessante annotazione sulla applicabilità delle cosiddette “regole di lista” reperibili sul sito Internet della Commissione Ue, rimandando, di fatto, al consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia Ue.
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La quale ha riconosciuto come le predette “regole di lista” possano contribuire alla determinazione dell’origine non preferenziale dei beni, facilitando un’interpretazione armonizzata all’interno della Ue; tuttavia, tali regole non hanno efficacia giuridicamente vincolante e, in ogni caso, non possono comunque contraddire il principio della trasformazione sostanziale economicamente giustificata, sancito dall’art. 60, § 2, del Codice doganale (sentenza 11 febbraio 2010, causa n. C-373/08, punti 39 e 41; sentenza 10 dicembre 2009, causa n. C-260/08, punti 20, 21,23).
Laddove, dunque, sia provata la trasformazione sostanziale, questa prevale su qualunque altra regola non scritta nel Codice doganale; è essenziale possedere tutte le informazioni e tutti gli strumenti necessari per individuare la corretta origine non preferenziale. E, naturalmente, la giusta competenza: puoi contattarci per studiare insieme il tuo caso e stabilire la corretta origine dei beni di cui usufruisci o che commerci visitando il nostro sito overyitalia.com
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