Origine preferenziale: i vantaggi da cogliere ed i rischi da evitare
L’origine preferenziale è tra gli argomenti che riscuotono maggiormente successo nel diritto doganale.
Nel diritto doganale, forse, nessun altro argomento ha riscosso tanta attenzione quanto quello dell’origine preferenziale. Eppure ancora oggi albergano mille incertezze nelle aziende che operano con l’estero: cerchiamo di fare un po’ di luce sul tema.
Partiamo da un concetto, ovvio, banale, ma sovente dimenticato: l’origine non si modifica, a meno che non intervengano circostanze specifiche che comportino un cambiamento dello stato delle merci.
Già alla fine dell’Ottocento si iniziò a parlare di origine intesa come l’individuazione geografica del prodotto, con il fine di tutelare i produttori dal rischio di concorrenza sleale e pertanto come protezione della sola proprietà intellettuale e non come origine “commerciale”, necessità che si manifestò con il passare del tempo e che oggi è di fondamentale importanza non solo per il commercio ma soprattutto per la tutela dei consumatori. In realtà fu necessario attendere, nel 1958, la sottoscrizione dell’accordo di Lisbona per avere una nozione, a livello di diritto internazionale, di origine legata proprio alla qualità del prodotto.
L’art. 1 dell’Agreement on rules of origin del WTO recita: “con l’espressione regole in materia di origine si intendono le leggi, i regolamenti e le norme amministrative di ambito generale applicate dai membri per determinare il paese di origine delle merci purché tali regole in materia di origine non siano connesse a disposizione contrattuali o regimi commerciali autonomi che comportano la connessione di tariffe preferenziali al di là dell’applicazione dell’art. 1 par, 1 del GATT del 1994”.
A livello internazionale, dunque, il criterio che ha sempre guidato la mano degli estensori degli accordi tra Stati è stato quello dell’individuazione del luogo di produzione di un bene, laddove tale luogo non ha una identificazione geografica, ma di rispondenza ad una serie determinata di regole: l’origine non preferenziale, per intenderci.
La ragione è presto detta: le misure di politica commerciale e le restrizioni internazionali (dazi protezionistici, contingenti, sanzioni) hanno quale fondamento proprio l’origine non preferenziale, amichevolmente e non sempre correttamente chiamata “Made in”.
Altro è la politica commerciale dei singoli Stati o dei gruppi di Stati (come la UE), diretta a tessere una serie di rapporti in grado di agevolare e semplificare le attività economiche delle proprie aziende (in un precedente articolo abbiamo visto proprio come la politica commerciale sia una competenza esclusiva dell’Unione europea - artt. 3 e 206, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - esattamente come la politica doganale).
Riuscire ad introdurre nel territorio doganale unionale beni ad aliquota daziaria agevolata o nulla (origine preferenziale) o non soggetti a limitazioni o a restrizioni quantitative, permette di proporre sul mercato beni ad un prezzo certamente inferiore rispetto a quelli assoggettati ad un regime daziario comune all’atto dell’immissione in libera pratica, ovvio e giustificato l’interesse delle aziende sempre attente al controllo dei costi.
E non parliamo semplicemente in termini di costi diretti di acquisto, riferendoci anche e, forse, soprattutto, alle implicazioni che la scelta di un fornitore può riverberare sulle conseguenti politiche di vendita, se solo si pone mente alla circostanza che il Paese di destinazione finale del bene potrebbe stabilire eventuali limitazioni all’importazione di beni che, pur provenendo dalla Ue, mantengano l’origine del Paese di acquisto: si pensi, ad esempio, ai dazi supplementari applicati dagli Usa alle merci cinesi, indipendentemente dal Paese di provenienza; e mai come in questo caso appare di importanza essenziale non confondere provenienza e origine!
E sì che di origine preferenziale se ne parla e se ne scrive in continuazione, ma dobbiamo riconoscere che di una pietra angolare del sapere doganale non se ne sa mai abbastanza. Qualche esempio?
Origine: alcune norme recenti
Risalendo la linea del tempo di quest’anno, in ordine sparso: dal 2 dicembre 2022 i prodotti della Costa d’Avorio possono godere di un beneficio daziario all’importazione nella Ue solo se scortati da documenti che riportino il codice REX dell’esportatore o una dichiarazione di origine, per qualsiasi spedizione, in uno o più colli, il cui valore totale non superi € 6.000,00; dal 1° gennaio 2023, in deroga a quanto disposto dal protocollo n. 2, Allegato II, APE interinale UE-ESA, per le conserve di tonno e i filetti di tonno della voce 1604, la fabbricazione in cui tutti i materiali utilizzati sono classificati in un capitolo diverso da quello del prodotto finito è in grado di conferire l’origine preferenziale ai prodotti esportati da uno Stato dell’Esa (Isole Comore, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Madagascar, Malawi, Isole Mauritius, Isole Seychelles, Sudan, Zambia, Zimbabwe) nella Ue; è stata chiarita la disciplina del cumulo nell’Accordo UE-Ghana; sono state sostituite le disposizioni che definiscono la nozione di prodotti originari negli accordi conclusi dalla Ue con la Moldova, il Kosovo, Montenegro, la Giordania, al fine di recepire la disciplina dettata dalla Convenzione Paneuromediterranea; sempre per una necessità di adeguamento alle disposizioni transitorie di tale Convenzione, nonché per migliorare il monitoraggio delle informazioni vincolanti in materia di origine rilasciate in ambito Ue, a fine novembre è stato modificato il Reg.to (UE) n. 2447/15, regolamento di esecuzione del Codice doganale unionale; con una disposizione “unica”, le note delle dichiarazioni dei fornitori per merci che non rivestono carattere originario nell’ambito di un regime preferenziale sono state modificate, con effetto retroattivo, dal 1° settembre 2021.
A tacere egli accordi in via di applicazione, al termine delle consultazioni, sottoscritti e in attesa di ratifica e pubblicazione: Australia, Nuova Zelanda, Messico, Cile, Mercosur, mercati importanti, ossigeno puro nell’asfissia creata da crisi economica, pandemia, inflazione, stagnazione, incerti equilibri geopolitici.
Prendiamo, ad esempio, proprio il Mercosur.
Il SIA è un report indipendente, commissionato dalla Commissione UE a un ente esterno (in questo caso, la London School of Economics), che tiene conto dei contributi degli stakeholders interessati e garantisce un alto grado di trasparenza. Secondo il report, l’accordo Ue-Mercosur avrà un impatto positivo sulle economie di entrambi i blocchi e potrà contribuire alla ripresa dalla crisi economica conseguente alla pandemia e consoliderà una partnership fondamentale tra le due parti, basata su valori comuni. La riduzione delle barriere non tariffarie e la protezione delle indicazioni geografiche Uenel mercato del Mercosur incrementeranno le esportazioni agricole e alimentari, ma non si nascondono preoccupazioni circa il potenziale impatto dell’accordo sull’ambiente, i diritti umani e le popolazioni indigene. Il report fornisce con raccomandazioni volte a ridurre al minimo questo impatto e la Commissione sta lavorando per cercare di compiere progressi reali sugli impegni in materia di accordo di Parigi e deforestazione, finalizzando la revisione giuridica dell’accordo e perfezionando alcuni dettagli tecnici.
Da lungo tempo, ormai, l’attività economica è sempre più caratterizzata da una ripartizione internazionale del lavoro, al punto che, materie prime di un Paese sono trasformate in prodotti semilavorati in un altro, che poi vengono incorporati in prodotti finiti in un terzo Paese, per cui l’attribuzione dell’origine del prodotto finito è operazione che richiede una conoscenza delle condizioni in base alle quali un prodotto può essere considerato originario di un determinato Paese.
E infatti, non solo gli Stati, ma anche i soggetti privati sono sempre più interessati a ciò che avviene in Paesi lontani, dove producono o hanno intenzione di vendere. E sigle come RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), ASEAN (Association of South East Asian Nations), CPTTP (Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership), AfCFTA (African Continental Free Trade Agreement) non costituiscono più solo rebus impossibili da risolvere o esercizi di spelling inglese ma sono concetti, norme, associazioni di Stati che è impossibile non conoscere se ci si affaccia al mercato internazionale.
Vantaggi dell’Origine preferenziale per le PMI Il Parlamento europeo ha analizzato come gli accordi di libero scambio possano aiutare le piccole e medie imprese, fornendo una panoramica degli accordi vigenti e individuando una classificazione delle disposizioni chiave per le piccole e medie imprese.
Gli Accordi conclusi dalla Ue creano valore grazie all’eliminazione delle barriere non tariffarie, alla liberalizzazione dei flussi commerciali di servizi e merci, alla creazione di normative competitive, all’istituzione di politiche di investimento e alla promozione del lavoro e della protezione ambientale. Le PMI rappresentano il 99% di tutte le imprese dell’Unione e la metà del suo Pil, impiegando circa 100 milioni di persone. Le piccole imprese sono definite come le aziende con un organico inferiore a 50 persone e un fatturato o un bilancio inferiore a € 10.000.000,00, mentre le medie imprese raggruppano le aziende con un organico inferiore a 250 persone e un fatturato inferiore a € 50.000.000,00 o un bilancio inferiore a € 43.000.000,00.
La Commissione Ue ha sviluppato una strategia globale per promuovere la crescita sostenibile delle PMI europee, basata su tre pilastri quali il rafforzamento delle capacità per la transizione verso la sostenibilità e la digitalizzazione, la riduzione degli oneri normativi e il miglioramento dell’accesso ai finanziamenti.
L’origine preferenziale nella gestione del rischio
Ma qual è il grado di conoscenza dei FTA e delle regole di origine preferenziale da parte delle PMI (e non solo…) e di consapevolezza dei loro potenziali vantaggi?
Una volta conosciuta e compresi i suoi non semplici meccanismi, l’origine preferenziale acquista un ruolo di primo piano nella pianificazione commerciale delle aziende, che la percepiscono come una chiave di estrema importanza, capace di garantire saving economici a sé o ai propri clienti; sempre che, queste aziende, abbiano ben presente il rischio che si cela dietro questa gallina dalle uova d’oro e le conseguenze, anche di natura penale, ad esso correlate.
Attenzione! Che la dichiarazione doganale debba essere annoverata tra gli atti pubblici, è considerazione ormai unanimemente acclarata dalla giurisprudenza di legittimità.
Che un certificato di origine Eur1 (medesima conclusione vale per una attestazione di origine su fattura) o un certificato di origine non preferenziale rilasciato dalla Camera di Commercio, indipendentemente dalla sua qualificazione di atto pubblico in sé, in quanto rilasciato da un’autorità pubblica, per il solo fatto di essere allegato ad un documento pubblico, quale la dichiarazione doganale, avente rilevanza giuridica per colui che lo emette e per colui che lo utilizza, integri la responsabilità penale connessa al reato di falso, è altrettanto cognito.
Il reato di falso può manifestarsi in una falsità materiale del certificato, che si concretizza, ad esempio nell’ipotesi in cui il documento sia contraffatto; o, più comunemente, in una falsità ideologica (art. 479 ss., c.p.), quando un documento, pur autentico, ma non possa considerarsi veritiero, in quanto attestante qualità assenti nella merce.
Anche l’origine, dunque, non sfugge ai punti chiave da gestire per ridurre il rischio doganale in azienda.
Per introdurre al concetto di origine preferenziale ed alle norme che lo regolano, abbiamo deciso di realizzare un webinar gratuito il prossimo 22 febbraio che terremo noi stessi ed a cui sarà possibile partecipare prenotandosi a questo link.
Il primo passo verso una più ampia e composita gestione del rischio ed una più ottimizzata gestione dei flussi doganali, per cui puoi considerarci sempre al fianco della tua azienda.
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