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di Jacopo Paoletti

Alec Ross, da collaboratore di Obama a consigliere della Clinton: quale futuro per innovazione e democrazia globale?

Jacopo Paoletti

10 febbraio 2025

Uno spaccato lucido e critico sull’innovazione e sulle sfide che ci attendono senza dimenticare la necessità di un nuovo contratto sociale.

Alec Ross, da collaboratore di Obama a consigliere della Clinton: quale futuro per innovazione e democrazia globale?

Alec Ross è uno di quei rari pensatori capaci di muoversi con naturalezza tra tecnologia, politica ed economia, con una visione che attraversa confini e discipline. Americano di nascita, europeo (e italiano) d’adozione, Ross vive l’innovazione come un ponte tra culture e realtà differenti, offrendo una prospettiva unica su come il mondo stia cambiando sotto la spinta della tecnologia e delle dinamiche geopolitiche.

Dalla sua esperienza come insegnante a Baltimora, quando era un giovane idealista impegnato a ridurre le disuguaglianze educative, fino al ruolo di Senior Advisor per l’Innovazione al Dipartimento di Stato per Hillary Clinton, la sua traiettoria racconta di una costante ricerca di soluzioni concrete alle grandi sfide del nostro tempo. Ross ha vissuto in prima persona il dietro le quinte del potere globale, collaborando con figure come Barack Obama e navigando la complessa intersezione tra tecnologia e diplomazia.

Autore di bestseller come The Industries of the Future e The Raging 2020s, Ross non si limita a osservare le trasformazioni del mondo, ma le anticipa, con una lucidità che combina pragmatismo e idealismo. La sua capacità di leggere i trend emergenti lo ha reso una delle voci più autorevoli nei dibattiti su intelligenza artificiale, automazione, cybersecurity e il ruolo crescente delle Big Tech nella società. Ma più di tutto, ciò che distingue Ross è la sua visione equilibrata: non si lascia trascinare dal determinismo tecnologico, ma crede ancora nel potere delle istituzioni e delle persone di governare il cambiamento.

Vivendo tra USA e Italia (fra le altre cose, oggi insegna alla Bologna Business School dell’Università di Bologna Alma Mater), Ross offre uno sguardo privilegiato sulla relazione tra Stati Uniti, Europa e Cina – un triangolo complesso in cui si giocano le sfide del futuro in termini di innovazione, democrazia e geopolitica. Mentre gli Stati Uniti e la Cina si contendono la leadership globale, l’Europa sembra arrancare, incapace di definire una propria identità digitale. Ross, con la sua esperienza che spazia dall’amministrazione pubblica al venture capital, ha una chiara visione di cosa serve per colmare questo divario.

L’intervista che segue è più di una semplice conversazione: è un’occasione per esplorare il futuro con uno dei massimi esperti al mondo, capace di unire dati, esperienza e intuizioni personali in un discorso che riguarda tutti noi. Con la sua consueta franchezza e profondità, Alec Ross ci guiderà attraverso le sfide e le opportunità che ci attendono, senza giri di parole e con uno sguardo sempre rivolto al domani.

D: Dalla scuola di Baltimora alla Casa Bianca: quali sono le lezioni più preziose che hai appreso lungo il tuo percorso, e cosa diresti oggi all’Alec Ross ventenne?

R: Identificherei tre lezioni principali.

La prima: meglio commettere errori di azione piuttosto che di omissione. Guardando indietro, rimpiango molto di più le cose che ho scelto di non fare o i rischi che non ho avuto il coraggio di prendere, rispetto ai rischi che ho corso e che magari non hanno funzionato. Si sbaglia il 100% dei colpi che non si prova a tirare. I miei più grandi successi sono stati il risultato diretto dei rischi più grandi, delle cose che agli occhi di molti sembravano le più irragionevoli.

La seconda lezione è che siamo tutti governati dagli incentivi. Incentivi per amore, denaro, potere, riconoscimento, o qualsiasi altra cosa. L’umanità si distingue dalla maggior parte delle specie perché ottimizziamo il nostro comportamento in base a una serie di incentivi. E quando i sistemi — politici o economici — ignorano questi incentivi, alla fine falliscono.

La terza lezione è che dobbiamo essere studenti per tutta la vita. Non definisco l’età in base agli anni di vita, ma in base al desiderio di continuare a imparare. Le persone che ammiro di più sono spesso molto più anziane di me, ma hanno la curiosità di un diciannovenne all’università. Allo stesso modo, le persone che mi deludono di più sono quelle che hanno smesso presto di imparare. Possono avere solo 40 o 50 anni, ma ai miei occhi sono già vecchie.

Il consiglio che darei al ventenne Alec Ross è di essere ancora più audace, di non aver paura delle critiche e di vivere una vita grande, sempre in espansione, piuttosto che una vita piccola, sempre più chiusa e limitata.

D: Hai lavorato fianco a fianco con leader globali come Barack Obama e Hillary Clinton. Qual è l’insegnamento più profondo che hai tratto dal potere, e quali consigli daresti ai leader di oggi per affrontare le sfide tecnologiche globali?

R: La lezione più importante che ho imparato sia da Barack Obama che da Hillary Clinton riguarda la disciplina. Non c’è mai stata una situazione in cui li abbia visti impreparati. Nessuna pigrizia. Nonostante le loro straordinarie capacità, non hanno mai pensato di poter raggiungere risultati solo grazie a queste, come fanno in molti — un atteggiamento che considero una forma di arroganza. Indipendentemente dal fatto che si trovassero a interagire con le persone più potenti del mondo o a tagliare un nastro, si sono sempre preparati con cura.

Per quanto riguarda i consigli che darei ai leader di oggi per affrontare le sfide tecnologiche globali, il primo è di circondarsi di persone che comprendano davvero la tecnologia. Molti errori nelle politiche, come nel caso dell’AI Act dell’Unione Europea — che considero un disastro —, derivano dal fatto che politici, burocrati, avvocati e altri scrivono leggi senza avere una reale conoscenza del funzionamento delle tecnologie di cui trattano. Credo sia necessario coinvolgere giovani e persone con maggiore alfabetizzazione tecnologica accanto ai leader che stanno progettando queste politiche.

D: In The Raging 2020s, hai parlato di un nuovo contratto sociale tra governi, aziende e cittadini. Ma con l’intelligenza artificiale che evolve a velocità esponenziale, dobbiamo riscriverlo ancora? E quali priorità dovrebbe avere?

R: Siamo già in ritardo di 25 anni nella riscrittura del contratto sociale. La combinazione di globalizzazione e progresso tecnologico ha reso obsoleto il contratto sociale sviluppato principalmente nel 1800, come conseguenza del passaggio da un’economia prevalentemente agricola a un’economia industriale. Siamo nel 2025, e le radici del nostro contratto sociale risalgono a quasi 200 anni fa.

L’urgenza di riscrivere il contratto sociale e di riequilibrare il rapporto tra stato, capitale e lavoro è oggi ulteriormente rafforzata dall’intelligenza artificiale. Tuttavia, ciò che mi preoccupa è la lentezza del processo decisionale in questo ambito. Gli stati e le società che riusciranno a riscrivere il loro contratto sociale — come alcuni hanno già fatto — non si limiteranno a sopravvivere, ma prospereranno nella prossima fase del progresso tecnologico ed economico.

D: Stati Uniti e Cina si contendono il dominio tecnologico, mentre l’Europa fatica a trovare la propria identità. Qual è l’errore più grande che stiamo commettendo nel Vecchio Continente e cosa possiamo fare per essere più competitivi?

R: È molto semplice: eccesso di regolamentazione. Dobbiamo vivere in un mondo di regole, ma il livello di regolamentazione in Europa è assurdo. È idiota. L’AI Act dell’Unione Europea è lungo quasi 400 pagine e rende lo sviluppo su larga scala dell’intelligenza artificiale praticamente impossibile. Dal punto di vista burocratico, ciò che richiede poche ore negli Stati Uniti o in Cina impiega giorni in Europa. Ciò che richiede giorni altrove, in Europa richiede settimane o un mese. Ciò che richiede settimane diventa quasi un anno, e ciò che richiede mesi si trasforma in anni.

La lentezza, i vari livelli e i costi della regolamentazione rendono inutilmente difficile innovare e fare impresa in Europa. C’è molta arroganza in questo: l’arroganza dei politici e dei burocrati che pensano di saperne più degli innovatori stessi. Il risultato è che investimenti e talenti vengono spinti verso altre parti del mondo.

Qualsiasi politica industriale in Europa deve partire dalla liberazione dei suoi talenti, affinché possano immaginare, inventare e commercializzare il futuro qui.

D: Viviamo in un’epoca di straordinari progressi tecnologici ma anche di disillusione. La tecnologia sta davvero migliorando il mondo o stiamo solo accelerando verso il caos?

R: Per ogni misura oggettiva, il mondo sta migliorando. Viviamo vite più lunghe e più sane. Nel 2024, l’aspettativa di vita media in Italia ha superato gli 83 anni. Abbiamo accesso a strumenti e risorse che un tempo erano impensabili.

Eppure, ci troviamo ad affrontare un nuovo ordine geopolitico e geoeconomico. È fondamentale non rannicchiarsi in posizione fatale, se non altro perché solo gli ottimisti cambiano il mondo. I pessimisti non contano. I pessimisti piangono nel loro caffè e si lamentano di un mondo immaginato, inventato e guidato dagli ottimisti.

Sì, le forze che stanno ridisegnando il futuro creano discontinuità. Ma la vera domanda è: vuoi lamentarti o fare qualcosa al riguardo? So che questo è il mio lato da cowboy americano, ma trovo patetico chi si lamenta in modo eccessivo. Diamo troppe cose per scontate, soprattutto in Italia.

Ci sono 196 paesi sul pianeta Terra, e la qualità della vita in Italia è tra le più alte. Dovremmo apprezzarla profondamente, lavorando al tempo stesso per migliorarla.

D: Le Big Tech stanno acquisendo un’influenza senza precedenti. Secondo te, come possiamo garantire che il loro potere non comprometta i principi democratici e i diritti fondamentali?

R: Beh, innanzitutto direi che esiste già un precedente storico per aziende private con questo tipo di potere. Pensiamo, ad esempio, alle compagnie a carta reale che hanno alimentato il colonialismo, come la British East India Company, la Dutch East India Company e la Hudson’s Bay Company. Erano aziende private, ma governavano vaste aree del pianeta e influenzavano la vita di decine di milioni di persone, con una quota del PIL globale di gran lunga superiore a quella delle grandi aziende di oggi.

Detto questo, le big tech possiedono un potere enorme, ma farei molta attenzione a non metterle tutte nello stesso calderone. Alphabet è diversa da Apple. Apple è diversa da Meta. Meta è diversa da Amazon. Amazon è diversa da NVIDIA. NVIDIA è diversa da Microsoft, e così via. Fare generalizzazioni rischia di ridurre notevolmente la comprensione della realtà.

Credo che alcune aziende rappresentino una minaccia molto più grande per i principi democratici e i diritti fondamentali. Citerei, ad esempio, Twitter di Elon Musk, che mi rifiuto di chiamare X. Allo stesso modo, Meta di Mark Zuckerberg si è dimostrata spesso un attore negativo su questi fronti.

D’altro canto, non metterei aziende come Microsoft, Apple, Google o NVIDIA nella stessa categoria. Ci sono differenze significative e sostanziali che vale la pena riconoscere.

D: L’automazione e l’intelligenza artificiale stanno ridisegnando il futuro del lavoro. Quali competenze domineranno nei prossimi dieci anni e quali potrebbero diventare obsolete prima del previsto?

R: La ricerca su questo tema è affascinante. In un mondo sempre più gestito dagli algoritmi, ciò che ci rende umani sta diventando sempre più cruciale. Le evidenze suggeriscono che tra le priorità più importanti per i prossimi cinque anni troviamo il pensiero analitico, il pensiero creativo, la leadership e l’influenza sociale, la resilienza, la flessibilità e l’agilità, la curiosità e l’apprendimento continuo, la competenza tecnologica, il design e l’esperienza utente.

Tutte queste sono abilità o tratti intrinsecamente umani, aspetti che non possono essere trasformati in software o agenti di intelligenza artificiale. In questo senso, credo che l’apprendimento interdisciplinare sia diventato ancora più importante.

D: Se fossi CEO di una delle Big Tech, qual è la prima cosa che cambieresti nel modo in cui queste aziende interagiscono con il mondo?

R: Ribadisco che credo che ciascuna di queste big tech sia molto più diversa dalle altre di quanto spesso si pensi, quindi è difficile generalizzare. Tuttavia, se dovessi individuare un elemento comune, direi che mi piacerebbe che collaborassero più ampiamente con le università a livello globale. Molte di loro collaborano con università vicine alle proprie sedi o con istituzioni che tradizionalmente formano eccellenti talenti tecnici, come il MIT o Stanford.

Penso, però, che ci sia un grande valore nel creare collaborazioni con un numero più ampio di università nel mondo. Credo che sia una situazione vantaggiosa per tutti: diversificando le fonti di talento nei loro team, queste aziende potranno sviluppare prodotti migliori e più significativi. Allo stesso tempo, le università trarrebbero enorme beneficio da un’esposizione più diretta alle tecnologie più avanzate e a come queste stanno trasformando la società.

D: Guardando al futuro, quali sono le tre tecnologie emergenti che avranno il maggiore impatto sulla nostra vita nei prossimi decenni?

R: Primo, la commercializzazione della genomica. Tecnologie come CRISPR richiedono molto tempo per svilupparsi, ma i progressi scientifici sono significativi. Credo che il progresso continuo nella genomica aggiungerà letteralmente anni alla nostra aspettativa di vita.

Secondo, l’intelligenza artificiale agentica. Attualmente viviamo in un mondo dominato dall’AI generativa, ma l’AI agentica sarà decisamente più trasformativa.

Terzo, la fusione nucleare. Anche se cerco di essere un consumatore responsabile, non credo che il cambiamento dei comportamenti umani possa davvero modificare la traiettoria del cambiamento climatico. Saranno necessari importanti progressi nelle energie pulite, e la nostra migliore speranza è la fusione nucleare.

Sono molto contento che alcuni dei più importanti investitori del mondo, come Bill Gates e Sam Altman, stiano mettendo a disposizione le loro menti e le loro risorse per favorire questi progressi, contribuendo così a un futuro energetico pulito.

D: Infine, con tutte le esperienze che hai maturato, se potessi lasciare un solo messaggio alle prossime generazioni di innovatori e leader, quale sarebbe?

R: State fuori del crepuscolo grigio. È molto meglio osare grandi imprese e conquistare trionfi gloriosi, anche se segnati da fallimenti, piuttosto che accontentarsi di una vita mediocre, senza grandi gioie né grandi dolori, come diceva Theodore Roosevelt. Mai come oggi queste parole sono vere. Molte persone vivono in questo crepuscolo grigio, senza vittorie né sconfitte. Non godono molto, ma non soffrono nemmeno molto.

Chi vuole davvero lasciare un segno nel mondo deve essere audace. Deve capire che, ogni tanto, prenderà delle botte. E quando succede, invece di lamentarsi, bisogna rialzarsi, sorridere, assaporare il sangue in bocca e tornare subito al lavoro.

Queste sono le persone che cambiano davvero le cose. Questi sono i grandi innovatori. Non è una vita per tutti, ma in quelli che ho visto emergere, questa ferocia e questo coraggio sono sia necessari che distintivi.

Jacopo Paoletti

Marketer, Manager, Entrepreneur, Advisor.

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