EXchange - La dogana semplice

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di Paolo Massari e Lucia Iannuzzi

Quando il Made in Italy non è solo una questione di origine

Come si individua un prodotto Made in Italy, cos’ha di più dell’origine non preferenziale e come il legislatore tutela questi prodotti, vanto italiano nel Mondo.

Quando il Made in Italy non è solo una questione di origine

Parola d’ordine: internazionalizzazione. Ovvero, un processo attraverso cui le imprese investono all’estero, con l’obiettivo di conquistare progressivamente quote di mercato.

Internazionalizzazione che prefigura la conquista di mercati esteri, ampliando il proprio orizzonte dalla sede nazionale a quella internazionale, non con il fine di ridurre i costi di produzione, bensì di offrire i propri prodotti a una platea maggiore di potenziali acquirenti.

Contrariamente alla delocalizzazione, che presuppone il trasferimento di unità produttive verso mercati emergenti, caratterizzati da bassi costi di produzione, con l’obiettivo di ridurre proprio tali costi e, di conseguenza, di offrire prodotti a prezzi più concorrenziali sul mercato nazionale, che continua a essere il punto di riferimento del proprio business.

La strategia di internazionalizzazione più semplice e immediata è, probabilmente, l’esportazione, che non comporta la necessità di alcuna unità produttiva nei nuovi mercati, ma il solo trasferimento del prodotto da commercializzare.
La promozione dell’attività di esportazione, in particolare per taluni prodotti e in taluni mercati, certo trae decisivo vantaggio proprio dalla possibilità di apporre il Made in Italy sui prodotti destinati ai consumatori esteri. Insomma, origine non preferenziale e Made in Italy vivono una primavera di notorietà sconosciuta nel recente passato.

Cos’è l’origine non preferenziale di un prodotto

Il legislatore unionale non ha definito il concetto di origine non preferenziale; il linguaggio comune la identifica, normalmente, con il luogo di produzione del bene, da non confondersi con il concetto di provenienza geografica, che identifica il luogo di spedizione del bene stesso.

Tutto giusto, con un’avvertenza, però. Il “luogo di produzione” di un bene non coincide, almeno non necessariamente, con la localizzazione geografica dello stabilimento di fabbricazione.

Per individuarlo, dobbiamo dimenticare la dimensione “materiale” e rivolgerci alle parole del legislatore di Bruxelles. Se un prodotto è stato fabbricato in un determinato Paese, con materie prime e componenti di quello stesso Paese, il problema non si pone nemmeno.

Ma se alla fabbricazione del prodotto hanno contribuito due o più Paesi (ad esempio, luogo di fabbricazione Italia, materia prima cinese, parti e componenti tedeschi), la questione è un po’ più complessa: il Paese di origine non preferenziale è quello in cui il prodotto ha subito l’ultima trasformazione sostanziale, economicamente giustificata, che ha dato vita a un nuovo prodotto o ha rappresentato una fase importante della lavorazione.

Così si è espresso il legislatore Ue e così ha confermato la Commissione UE nella Guida sulle regole di origine non preferenziale pubblicata per la prima volta nel dicembre 2018 e aggiornata nel mese di marzo 2022.

Quindi, ecco tre regole per la determinazione dell’origine non preferenziale:

  • il cambio di voce doganale: tutte le materie prime utilizzate in un processo produttivo, devono avere una voce doganale diversa da quella del prodotto finale.
    Può essere espressa utilizzando le abbreviazioni seguenti:
  1. CC: passaggio al capitolo in esame a partire da qualunque altro capitolo;
  2. CTH: passaggio alla voce in questione da qualunque altra voce;
  3. CTSH: passaggio alla sottovoce in questione da qualunque altra sottovoce o da qualunque altra voce;
  • il valore aggiunto: alternativa alla regola del cambio della voce doganale, prevede che l’incremento di valore derivante dalle lavorazioni debba rappresentare almeno un X% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito; laddove per prezzo franco fabbrica si intende il prezzo pagato per il prodotto al fabbricante nel cui stabilimento è stata effettuata l’ultima lavorazione o trasformazione, purché comprenda il valore di tutti i materiali utilizzati e tutti gli altri costi correlati alla fabbricazione del prodotto stesso, previa detrazione di eventuali imposte interne che siano o possano essere rimborsate al momento dell’esportazione del prodotto ottenuto;
  • una combinazione delle due regole.

Made in Italy: come identificarlo

Dunque, se l’origine non preferenziale è uguale al luogo di fabbricazione (come sopra inteso), il Made in Italy rappresenta, da sempre, più di un’indicazione di origine: è una storia di idee, un sinonimo di cura del dettaglio e di fantasia del disegno, un richiamo, semplice e diretto, a una cultura del saper vivere, prima ancora che del saper produrre.
Il Made in Italy ci identifica nel mondo, è qualcosa di più dell’esemplificazione letterale del rispetto di una norma.

Come il legislatore tutela il Made in Italy

Le disposizioni normative a tutela del Made in Italy hanno subito modifiche e integrazioni e sono state oggetto di numerosi interventi di carattere interpretativo e operativo da parte dello stesso legislatore nazionale e delle autorità pubbliche direttamente coinvolte.

E li legislatore è stato particolarmente severo:

  • «Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro» (art. 517, c.p.);
  • l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale: art. 49, legge n. 350/03.

    Un’ultima precisazione: per falsa indicazione di provenienza si intende l’apposizione di «Made in Italy» su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa comunitaria, mentre per fallace indicazione di provenienza si intende l’uso di segni, figure o altro che possano indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana.

Questo è solo l’inizio, ci sono diverse sfumature da considerare quando si vuole produrre ed esportare il Made in Italy, di cui abbiamo parlato più approfonditamente nell’ultima puntata del podcast Oltre i confini. Qui abbiamo delineato anche un quadro più generale sul Made in Italy nel Mondo - qual è il suo appeal negli altri Stati e come il legislatore lo tutela - insieme a Alessio Gambino, fondatore della piattaforma Exportiamo.it.

Basta cliccare su Play nel riquadro qui in basso.

Paolo Massari

Customs & International Trade Advisor | Co-fondatore C-TRADE e Overy

Lucia Iannuzzi

Customs & International Trade Advisor | Co-fondatrice C-TRADE e Overy

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