Queste azioni vincono con l’inflazione alle stelle
Lorenzo Raffo
1 luglio 2022
Quali le vincenti in presenza di un’inflazione ancora alta? Sono soprattutto di quattro tipologie le azioni preferibili.
Dal 70% della Turchia al 9% della Spagna: la panoramica dell’aumento del costo della vita su base annua rasenta ormai numeri drammatici. La panoramica dei Paesi salva solo la Cina, con un modesto 2,1% quasi da deflazione, il Giappone (2,4%) e la Svizzera (2,9%), sebbene ci sia chi mette in dubbio i numeri soprattutto di Pechino e dintorni, sempre poco trasparenti. Data ormai per scontata la realtà inflattiva, che potrà durare ancora per qualche tempo, c’è da chiedersi quali settori stiano soffrendone meno e quindi quali comparti azionari possano trarne vantaggio, compensando effetti alquanto contraddittori per i rendimenti reali di quasi tutti gli asset.
Loro non ne risentono
Dato che l’inflazione in corso è diversa rispetto a quella del passato, le relative dinamiche sono imprevedibili, sebbene alcuni segnali – per esempio l’aumento delle scorte delle grandi catene distributive – facciano pensare che già fra alcuni mesi i numeri potrebbero scendere. Ciò non esclude che occorra valutare le attività merceologiche capaci di reggere a un equilibrio fra domanda e offerta in piena evoluzione.
- Al primo posto si collocano due settori di estrema attualità dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina: la difesa e la sicurezza informatica, su cui si sta investendo molto, con una forte resilienza del business e quindi una capacità di tenere i prezzi, anzi di incrementarli se le tensioni geopolitiche aumentassero;
- Al secondo posto vanno in classifica le attività relative alle infrastrutture, che non solo risultano correlate all’inflazione ma rappresentano una copertura contro ogni suo andamento, anche perché spesso specifiche clausole sono previste nei contratti fra appaltatori e appaltanti. In presenza di inevitabili incrementi dei tassi di interesse le imprese infrastrutturali otterrebbero benefici positivi sui propri bilanci nell’arco di 24-36 mesi, molto più di quanto non avvenga per l’immobiliare, colpito di solito negativamente dall’aumento del costo del denaro;
- Al terzo posto entra in scena un vasto mondo di azioni riferite a imprese che riescono a determinare e imporre i prezzi ai propri clienti. Alcuni esempi? L’industria delle auto di lusso. Inoltre le aziende attive nella produzione di cosmetica, profumi e beni per la persona con marchi forti, specialmente se rivolti alla clientela femminile, sempre disposta a spendere in tale ambito, più di quanto non accada nell’abbigliamento;
- Infine – sebbene “last but non least” – il mondo della transizione energetica, dove stanno per concentrarsi investimenti enormi che il mercato ancora in buona parte sottovaluta. Le rinnovabili, le reti elettriche, lo stoccaggio di idrogeno ed energia in genere, così come la decarbonizzazione dell’economia, sono le attività più seguite in tale ambito.
Attenzione ai profitti
Un rischio che non viene ancora adeguatamente calcolato dal mondo azionario è quello del possibile calo (in certi casi crollo) dei margini. Le aspettative per il 2023 risultano finora alte ma molti settori stanno per pagare il costo di un’inflazione cresciuta senza che i processi produttivi abbiano potuto tradurla in aumento dei prezzi. È un po’ quanto si teme stia avvenendo in Cina, il che giustificherebbe il relativo dato inflattivo molto basso, come sopra evidenziato. Sotto tiro nel caso italiano quello bancario. L’intenzione della Bce di mettere sotto osservazione i dividendi degli istituti di credito riporta all’epoca Covid, sebbene in questo caso si parli più di un ricalcolo che di una sospensione, come avvenne allora. Altri settori a rischio sono l’industria automobilistica, la distribuzione energetica e i servizi in senso lato.
Un mix per salvarsi
Succede così mentre viene cancellata la storica regola che le azioni salgono quando le obbligazioni scendono, da cui dovrebbe conseguire l’effetto che i dividendi diventano meno interessanti e le cedole dei bond invece più attraenti, ora c’è il dubbio che, pur crollando il mercato azionario, la redditività dei titoli più generosi possa calare, a causa delle implicazioni economiche causate dall’inflazione. Ciò obbliga i consumatori e quindi gli investitori a modificare i consumi, facendo meno ricorso all’indebitamento. Il rischio ora è che nei Paesi occidentali i tassi di crescita del Pil nominale salgano mentre quelli reali scendono, proprio per l’effetto dell’aumento del costo della vita.
Di qui un’incertezza totale sulle evoluzioni future dei mercati, che trova riscontro nelle ultime settimane in un rendimento dei Treasuries Usa in contrazione, esattamente nel momento in cui la Fed annuncia aumenti dei tassi a manetta. In realtà si ha difficoltà a prevedere quali saranno i rendimenti reali (cioè depurati dall’inflazione) fra un anno. Ne consegue un incremento della volatilità di tutti gli asset, con una sola certezza: alcuni settori azionari reggeranno meglio degli altri. Da un mix fra questi, i bond a cedola fissa lunghi, mediante più entrate scaglionate nel tempo, e i bond “inflation” acquistati sulla debolezza, causata dall’effetto rialzo dei tassi, nasce un compromesso con cui si potrà affrontare la seconda metà del 2022 e forse buona parte del 2023, sia con un’inflazione alle stelle sia con un suo trend in progressiva contrazione.
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