Le regole UE per la finanza sostenibile prese in ostaggio dalle lobby del gas
Giuseppe Montalbano
25 gennaio 2021
Le misure attuative della tassonomia europea per gli investimenti sostenibili sono state bloccate dal veto di 10 Stati Membri, su pressione dell’industria del gas.
L’applicazione della tassonomia UE per la qualificazione delle attività economiche sostenibili è stata posticipata in seguito alle enormi pressioni dell’industria estrattiva del gas e adesso rischia di venire affossata nei suoi obiettivi essenziali.
Un blocco di dieci Stati membri, dell’est e del sud Europa, ha minacciato il veto sull’approvazione delle misure attuative della tassonomia, chiedendo alla Commissione europea di rivedere la definizione dei criteri e delle soglie per le emissioni inquinanti.
L’obiettivo è quello di garantire all’industria del gas naturale la qualifica di attività sostenibile o di “combustibile di transizione” nel processo di decarbonizzazione dell’economia, scongiurando la fuga di quegli investitori internazionali alla ricerca di investimenti “green” che la tassonomia UE provocherebbe.
L’ampia coalizione di governi e forze politiche raccolta attorno agli interessi delle lobby del gas potrebbe così compromettere a monte le ambizioni ed efficacia del sistema europeo di regole per promuovere la transizione ecologica.
Il tassello mancante della tassonomia
Il 2021 si sarebbe dovuto aprire a Bruxelles con la pubblicazione delle misure attuative della tassonomia UE, la griglia di criteri e parametri con l’Europa che stabilisce, per la prima volta, uno standard unico a livello internazionale per la qualificazione delle attività economiche sostenibili.
L’applicazione della tassonomia costituisce un essenziale pilastro dell’agenda europea per la finanza sostenibile e quindi dell’intero disegno del Green Deal europeo. Grazie ad essa, infatti, si metterà fine alla proliferazione di standard aziendali per la sostenibilità, mettendo un freno al cosiddetto “greenwashing” con cui le aziende si danno una facciata “verde” per preservare di fatto modelli produttivi e aziendali che non diminuiscono, anzi magari peggiorano, i livelli di inquinamento atmosferico.
In questo modo la tassonomia UE intende fornire una guida sicura agli investitori per dirottare capitali in settori e attività tali da contribuire, o almeno non danneggiare in modo significativo, il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050.
L’ultimo tassello per l’applicazione della tassonomia UE è stato però posticipato dalla Commissione a data da destinarsi. Come dichiarato dal portavoce della direzione generale della Commissione per i servizi finanziari, il rinvio è stato dettato dalla necessità di valutare il “volume e natura” delle risposte ricevute nel periodo di consultazione pubblica, aperto da metà novembre al 18 dicembre, sulle proposte di misure attuative della tassonomia. Una consultazione di appena un mese che ha totalizzato una cifra record di oltre 46 mila feedback, in gran parte provenienti da quelle aziende e associazioni industriali che premono per allargare le maglie della tassonomia e strappare l’etichetta di “sostenibilità” a un ampio ventaglio di attività inquinanti.
L’alleanza del gas
A finire nel mirino delle lobby industriali è il settore dell’estrazione e impiego di gas naturale, cui la Commissione aveva negato anche la qualifica di “combustibile di transizione” per la progressiva riconversione verso modelli energetici e industriali ecosostenibili. Nelle proposte di misure attuative della tassonomia, infatti, possono essere considerati “sostenibili” o “di transizione” solo quelle centrali a gas le cui emissioni non superino i 100 grammi di CO2 equivalente per chilowattora (kWh).
Una soglia tale da escludere di fatto gli impianti energetici a gas naturale dal novero delle attività sostenibili secondo Eurogas, l‘associazione europea dell’industria del gas, distogliendo così dal settore quegli investimenti internazionali orientati alle attività “green”. Per questo l’industria del gas è stata ed è fra le lobby più agguerrite contro gli standard della Commissione, nonché quella che ha presto trovato al suo fianco, come decisivi alleati, un blocco compatto di governi dell’UE e di forze politiche nel Parlamento europeo.
Sono in particolare gli Stati membri dell’est e sud Europa a fare fronte comune con le lobby del gas, proprio per via degli interessi strategici dei governi legati al settore. Come[rivelato da Euractiv, un gruppo di dieci Paesi ha sottoscritto e inviato “non-paper” alla Commissione con cui si chiede di “mantenere la possibilità di servirsi del gas naturale come combustibile di transizione” insieme alla richiesta di riconoscere come sostenibili anche le attività legate all’estrazione di idrogeno “da varie fonti energetiche”, non solo da quelle rinnovabili, come previsto dagli attuali progetti di misure attuative.
Il documento, firmato dai governi di Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Grecia, Ungheria, Malta, Polonia, Romania e Slovacchia, si basa sulle [conclusioni del Consiglio europeo dell’11 dicembre, con cui i capi di Stato e di governo dell’UE avevano esplicitamente sancito il diritto per gli Stati membri di scegliere il “mix di risorse energetiche” e le “tecnologie più appropriate” per il raggiungimento degli obiettivi europei di riduzione delle emissioni, con la decisiva inclusione del gas naturale fra i combustibili di transizione.
L’industria europea del gas e i governi più legati ad essa avevano così cementato un consenso ampio in seno all’organo di indirizzo politico dell’Unione per costringere la Commissione a fare dietrofront rispetto a un approccio bollato come eccessivamente restrittivo, penalizzante e tale da far perdere significative quote di investimento a un settore strategico per interi Stati Membri.
Al contrario, l’approccio della Commissione è stato dettato dai dati e valutazioni scientifiche avanzati dalla commissione di esperti responsabile del lavoro istruttorio che ha dato vita alla tassonomia, in base a cui i livelli di emissioni inquinanti delle centrali a gas – così come delle produzioni di idrogeno non basate su energie rinnovabili – non potrebbero in alcun modo rientrare entro i parametri richiesti per attestare il loro impatto positivo o “non dannoso in maniera significativa” per prevenire il surriscaldamento del pianeta.
Quale sostenibilità?
La tassonomia della Commissione appare quindi poco “sostenibile” per un sistema produttivo europeo che viene colto del tutto impreparato e in ritardo di fronte a una effettiva rivoluzione verde basata su rigidi criteri e soglie. Secondo uno studio commissionato dal ministero per l’ambiente tedesco, solo l’1% delle maggiori compagnie per capitalizzazione in base all’indice azionario di Francoforte DAX potrebbe rientrare nella categoria di “sostenibilità” secondo la tassonomia. Una percentuale che arriva appena al 2% per l’indice Euro Stoxx 50, comprendenti le maggiori compagnie quotate in Europa.
D’altra parte, obiettivo della tassonomia è proprio quello di incentivare le imprese europee ad adeguare i propri modelli aziendali in linea con i criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di governance (i fattori ESG), puntando - da un punto di vista macro – a una progressiva riconversione dei sistemi energetici e industriali degli Stati membri.
Non è la tassonomia che deve adeguarsi allo “stato dell’arte” dell’industria europea: la sua funzione e importanza nel quadro degli obiettivi del Green Deal sta innanzitutto nel contribuire a incanalare gli investimenti “verdi” in attività che possano effettivamente contribuire alla riduzione e neutralità delle emissioni. Al contrario, diluirne i criteri significherebbe ridurla paradossalmente a uno dispositivo di legittimazione del greenwashing aziendale. Questa è la minaccia che grava sul progetto di tassonomia UE per la finanza sostenibile, sotto la spinta di una potente coalizione di lobby industriali e governi degli Stati membri.
Quella che si sta giocando in queste settimane è quindi la partita decisiva per decidere se e in che misura la tassonomia potrà essere uno strumento chiave per guidare la transizione ecologica dell’UE o al contrario, come chiedono le lobby industriali, un formidabile pennello con cui tingersi di verde all’esterno per continuare a inquinare.
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