Champagne da €1.000 travasato con bollicine scadenti. Cosa ci insegna lo scandalo Gintoneria
Antonella Coppotelli
17 marzo 2025
Champagne costoso sostituito con bollicine scadenti. Un sommelier svela le truffe che minano il mondo del vino, tra apparenze e inganni.

Qualche giorno fa su Medium.com è uscita un’intervista a uno dei sommelier della Gintoneria di Lacerenza nella quale Riccardo (nome di fantasia dato al protagonista) svelava senza troppi scrupoli etici le pratiche oscure e truffaldine del servizio dove al posto di champagne o vini blasonati, venivano versate bollicine scadenti e rossi presumibilmente pastorizzati.
Lo ammetto, non sono un’esperta di movida né di locali à la page, personalmente trovo immorale spendere una piccola fortuna per bere un cocktail dove l’alcol è annacquato da piccoli iceberg di ghiaccio, ma leggere quelle dichiarazioni mi ha fatto male. In realtà non ferisce solo me che sono solo un’appassionata in cerca di comprendere meglio il mondo del vino e dei distillati, ma mina un sistema intero, quello dei produttori che quotidianamente affondano le mani nella terra e affrontano mille difficoltà per farci godere di un prodotto finale davvero condito di gocce di sudore.
No, non è una visione romantica la mia e quando cito i viticoltori non penso tanto a etichette costose o a vitigni che si vendono da soli, specie all’estero, e che già solo per questo godono di fama e di un marketing assicurato. Penso ai piccoli e medi, a quelli che devono farsi strada tra questi giganti e devono posizionare la propria identità e stile, raccontare un territorio, esprimere una cultura e far girare un sistema economico in modo virtuoso. In sintesi: tanta fatica dalla barbatella alla bottiglia.
Poi, però, arrivano luoghi come La Gintoneria dove tutto questo bel discorso svanisce e a farla da padrone sono portafogli gonfi da svuotare, ragazze da impressionare e comprare dinanzi a un’etichetta di Dom Pérignon (poco importa se dentro, invece, vengono travasate delle bollicine scadenti) di finto Barolo e, grazie a un bel selfie su Instagram e un “naso incipriato”, la serata è fatta, fatturato compreso. In una parola: un mondo finto fatto di apparenze, status symbol vomitati dinanzi alla telecamera di uno smartphone di ultima generazione, lusso sfrenato che, ben impacchettato sui social, diventa aspirazionale e frustrante per i più, specie per chi non si può permettere di spendere uno scontrino medio di 30.000 euro per una serata e pensa che la felicità e il successo sia tutto in quello stile di vita.
Dall’altra parte viviamo in un mondo di ipocrita plastica, filtrato dalla viralità social che ha completamente ottenebrato le nostre sinapsi e il senso critico. Il nostro Riccardo, nell’intervista senza veli, dice:
“Alla fine, il mondo del vino è fatto di illusioni e storytelling. L’unico prodotto giusto è quello che si vende. E la Gintoneria di David Lacerenza era un locale giusto”.
È vero, il mondo del vino è fatto di storytelling, ma di quello positivo che valorizza e non svilisce, o al limite racconta e descrive con oggettività e onestà intellettuale. Nel rispetto di chi produce e di chi svolge il mestiere di sommelier in modo pulito.
Ci si domanda, quindi, come i ricchi avventori de La Gintoneria di Lacerenza si siano fatti gabbare e siano potuti cadere nel tranello di bere una bevanda che costa €10 e pagarla €1.000. Ce lo racconta sempre il nostro protagonista, il quale svela che le bottiglie di bollicine erano mistificate dietro il bancone e al tavolo veniva portata quella vuota e blasonata con il marchio in bella vista. O, peggio ancora, i rossi venivano ritappati con finte capsule e, tramite un’abilità degna dei più grandi illusionisti, aperte vicino al tavolo del cliente senza far scoprire l’inganno celato per poi essere messi in sfarzosi decanter (tra l’altro pratica che serve solo per separare eventuali parti solide dal liquido e non per ossigenare, ma questa è un’altra storia).
Ecco per noi comuni mortali che, però, badiamo alla sostanza, il suggerimento è quello di farsi portare la bottiglia a tavola, prenderla tra le mani, osservare l’etichetta e il packaging e, mentre il sommelier o chi per lui ce la apre dinanzi agli occhi, farsi cullare dalla descrizione e immaginare quei filari da cui tutto parte per arrivare a noi, indipendentemente che si tratti di vino a base nebbiolo, glera o bombino.

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