Nuovo round di sanzioni per la Russia: quale futuro per la supply chain?
Le sanzioni alla Russia messe in campo dall’occidente vogliono limitare la capacità di importazione ed esportazione del paese: ecco cosa sta succedendo e qual è il futuro della supply chain.
L’Unione Europea impone l’ottavo round di sanzioni alla Russia che coinvolge il trasporto di petrolio greggio e i prodotti petroliferi, già colpiti in precedenza: vediamo quali conseguenze per le aziende dell’Unione e come far fronte ai nuovi assetti commerciali.
“Stiamo colpendo ulteriormente l’economia di guerra russa, limitando le capacità di importazione/esportazione del paese, e procediamo rapidamente sulla strada verso l’affrancamento dalla dipendenza energetica dalla Russia” (J. Borrell).
E così siamo arrivati all’ottavo round di sanzioni.
La guerra continua silenziosa, il generale inverno si avvicina, la crisi energetica incombe la minaccia nucleare aleggia nei cieli d’Europa e la Ue sferra un ulteriore attacco allo zar russo nel suo tentativo di dematerializzare il conflitto, contrapponendo alle armi convenzionali (e non) sanzioni economiche destinate a fiaccare la resistenza togliendo ossigeno alle fonti di creazione di ricchezza putiniane.
L’annessione dei territori ucraini occupati dalle milizie russe, sancita a seguito di un referendum unanimemente interpretato come una provocazione, se non una vera e propria farsa, non ha certo contribuito a distendere gli animi.
Già il round di misure restrittive approvato a fine luglio e denominato «maintenance and alignment», ha costituito un passo importante per ridurre la capacità della Russia di continuare e finanziare la guerra di aggressione contro l’Ucraina, andando a colpire l’esportazione del bene più significativo, dopo l’energia, vietando di acquistare, importare o trasferire, direttamente o indirettamente, oro e gioielli originari della Russia ed esportati dalla Russia nell’Unione europea o in qualsiasi Paese terzo.
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Essendo chiaro fin da allora come l’orizzonte temporale della guerra fosse indefinito, si è iniziato a lavorare su misure a medio e lungo termine, come le restrizioni nel campo del petrolio e dei metalli preziosi, sperando di “tagliare i viveri” all’economia russa.
Ma le sanzioni non possono pregiudicare i diritti fondamentali dell’uomo: “l’Unione è impegnata ad astenersi dall’applicare qualsiasi misura da cui possa scaturire insicurezza alimentare in tutto il mondo. Pertanto, nessuna delle misure nel presente regolamento né di quelle precedentemente adottate in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina riguarda in alcun modo gli scambi di prodotti agricoli e alimentari, frumento e fertilizzanti compresi, tra paesi terzi e Russia”.
Un quadro delle nuove misure
La Commissione rivendica l’introduzione di un fondamento giuridico per la messa in atto di un tetto sui prezzi relativo al trasporto marittimo del petrolio russo per i paesi terzi nonché ulteriori restrizioni al trasporto marittimo di petrolio greggio e di prodotti petroliferi verso paesi terzi.
Dal prossimo mese di dicembre, vietato fornire trasporto marittimo e prestare assistenza tecnica, servizi di intermediazione, finanziamenti o assistenza finanziaria connessi al trasporto marittimo verso paesi terzi di petrolio greggio (), mentre da febbraio 2023 di prodotti petroliferi originari della Russia o esportati dalla Russia.
Il divieto, per le navi unionali, di fornire servizi di trasporto marittimo per tali prodotti verso Paesi terzi si applicherà a decorrere dalla data in cui il Consiglio deciderà all’unanimità di introdurre il tetto sui prezzi di vendita del petrolio, con il duplice obiettivo di ridurre in maniera consistente gli introiti che la Russia ricava dalle cessioni di petrolio, nonché di stabilizzare i prezzi dell’energia a livello mondiale, accresciuti in misura incontrollabile a seguito della guerra in Ucraina.
Misure destinate a produrre effetti dissuasivi in e per un tempo lungo e indeterminato si affiancano a decisioni efficaci nel breve termine: divieto di importazione di prodotti siderurgici originari della Russia o esportati dalla Russia; restrizioni all’importazione di pasta di legno e di carta, di sigarette, di plastica e di prodotti cosmetici, nonché di elementi utilizzati nell’industria dei gioielli, come le pietre e i metalli preziosi; limitazioni alla vendita, alla fornitura, al trasferimento o all’esportazione di beni aggiuntivi utilizzati nel settore dell’aviazione.
Le conseguenze delle restrizioni sulla supply chain
“Voglio essere molto chiara, le sanzioni sono qui per restare. Questo è il momento per noi di mostrare determinazione, non pacificazione”; le parole della Presidente Von der Leyen testimoniano la volontà dell’Unione europea di proseguire a oltranza la sua guerra economica con la Russia; a oltranza perché i suoi effetti non si arresteranno di fronte a un improvviso epilogo del conflitto, ma proseguiranno nel tempo, così come avvenuto dopo il 2014,con effetti distorsivi sugli equilibri geopolitici e commerciali.
La globalizzazione è terminata, il sistema economico fondato su supply chains tra loro dipendenti e senza confini è destinato a sciogliersi: questo il mantra che si ripete da quando, per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale, un conflitto è scoppiato in Europa.
Conflitto che sta influendo negativamente - è scritto nei numeri - nei volumi di prodotti scambiati, dopo aver contribuito se non a una paralisi, certo a un sensibile rallentamento delle capacità di trasporto e distribuzione, disegnando una globalizzazione frammentata, degradata a un più prudente regionalismo.
Intanto, attendiamo l’inverno, con un occhio alle scorte di gas; il Consiglio europeo oscilla tra due posizioni: imporre un tetto al prezzo del gas usato per produrre elettricità, garantendo agli acquirenti nazionali acquisti ai prezzi attuali mentre lo Stato si farebbe carico dell’importo pagato al di sopra del tetto concordato; o imporre un tetto su tutti gli acquisti di gas, indicizzato al prezzo di gas e petrolio sui mercati internazionali; senza dimenticare chi un tetto proprio non lo vuole.
E le aziende, cosa dovrebbero fare?
Quello che, ci auguriamo, abbiano fatto fino a oggi: verificare che i beni da esportare non rientrino tra le categorie di vietata vendita in Russia, che i destinatari dei beni da esportare non rientrino tra i soggetti listati, che gli enti che effettueranno il pagamento non siano tra gli istituti di credito listati, che la classificazione doganale dei beni sia corretta; e verificare le modalità e i costi di trasporto. Consapevoli che il tempo, in questo caso, non sistema le cose, ma che anzi, potrebbe aggravarle.
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