Note di Vino

Note di Vino

di Antonella Coppotelli

Vino, cosa significano DOC, DOCG, IGT, DOP e IGP?

Antonella Coppotelli

18 febbraio 2025

DOC, DOCG IGT, DOP e IGP: cosa significano queste sigle su un’etichetta di vino e perché è importante conoscerle per meglio orientarsi nella scelta di una bottiglia?

Vino, cosa significano DOC, DOCG, IGT, DOP e IGP?

Quando ci troviamo dinanzi a una bottiglia di vino, una delle prime informazioni che ci salta subito all’occhio sull’etichetta è la sua classificazione che viene espressa tramite le sigle DOC, DOCG IGT e da qualche anno anche DOP e IGP.

Un bel caos per chi è poco avvezzo o è un neofita. Alla fine si sceglie quasi sempre di ripiegare sulla bottiglia più costosa ma forse la meno adeguata per l’occasione o di andare su brand più pop o dal marketing più aggressivo; con buona pace di tutti quei produttori più piccoli ma egualmente appassionati che ci regalano chicche straordinarie da degustare. Nel nostro Paese, fortunatamente ne abbiamo davvero tanti e a loro, in primis, dobbiamo e vogliamo pensare.

Confusione iniziale a parte, nel panorama enologico italiano, le sigle DOC, DOCG e IGT, rappresentano classificazioni fondamentali che attestano la qualità e l’origine dei vini. Queste denominazioni non solo guidano i consumatori nella scelta, ma garantiscono anche il rispetto di specifici standard produttivi. Una tutela a doppia mandata, quindi, che preserva noi appassionati e anche i produttori.

Con l’evoluzione delle normative europee che hanno introdotto anche le sigle DOP e IGP che, ricordiamo, riguardano anche i prodotti alimentari, è stato ampliato il quadro normativo. Esse continuano a convivere con le sigle storiche e tutte svolgono il ruolo di tutrici delle nostre eccellenze enogastronomiche.

Fresca di una lezione AIS proprio sul vino e sulle leggi italiane, provo a fare chiarezza semplificando quanto più possibile, sperando al contempo, che Fabrizio Gulini, docente preposto, non mi bacchetti più del dovuto. Facciamo un passo indietro nel secolo scorso.

La nascita delle Denominazioni di Origine

Il sistema di classificazione dei vini italiani ha radici profonde, un po’ come la storia del vino. Schematizzando all’estremo, approdiamo al 1963, con il D.P.R. 930, quando furono introdotte le prime denominazioni ufficiali per tutelare la qualità e l’origine dei vini. Questo decreto sancì la nascita di tre categorie principali:

  • Vino a Denominazione di Origine Semplice;
  • Vino a Denominazione di Origine Controllata (DOC);
  • Vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG).

Le prime denominazioni DOC furono attribuite alla Vernaccia di San Gimignano, l’Est! Est! Est! di Montefiascone, l’Ischia DOC e il Frascati DOC. In percentuale, quindi, (perdonatemi ma è deformazione professionale la mia) ci fu il Lazio in testa come regione, ed essendo la mia non posso che esserne contenta.

Significato di DOC, DOCG e IGT

La sigla DOC indica che un vino è prodotto in una specifica area geografica secondo regole precise stabilite da un disciplinare. Queste norme riguardano vari aspetti, tra cui:

  • tipologia e natura dei terreni;
  • Vitigni utilizzati;
  • metodi di produzione e coltivazione;
  • tecniche di vinificazione e invecchiamento.

L’obiettivo è garantire che il vino rifletta le caratteristiche tipiche della zona di produzione. La DOCG rappresenta il livello più elevato nella classificazione dei vini italiani. Per ottenere questa denominazione, un vino deve essere già riconosciuto come DOC da almeno cinque anni e soddisfare criteri ancora più rigorosi. Tra questi:

  • resa massima di uva per ettaro;
  • grado alcolico minimo;
  • periodo di invecchiamento obbligatorio.

Inoltre, i vini DOCG sono sottoposti a controlli organolettici e analisi chimico-fisiche prima della commercializzazione, garantendo standard qualitativi elevatissimi.

Introdotta con la Legge 164 del 1992, la denominazione IGT identifica vini prodotti in aree geografiche specifiche, spesso più ampie rispetto alle zone DOC o DOCG.

I disciplinari per gli IGT sono meno restrittivi, permettendo una maggiore flessibilità ai produttori. Questo consente sperimentazioni e l’utilizzo di vitigni internazionali, pur mantenendo un legame con il territorio. I vini che hanno questa sigla contengono almeno l’85% delle uve allevate nel territorio designato.

L’Introduzione delle sigle DOP e IGP

Con l’armonizzazione delle normative europee, sono state introdotte le seguenti denominazioni:

  • DOP: Denominazione di Origine Protetta;
  • IGP: Indicazione Geografica Protetta.

Queste classificazioni mirano a standardizzare le denominazioni dei prodotti agroalimentari all’interno dell’Unione Europea. In particolare:

  • DOP: indica prodotti le cui fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione avvengono in un’area geografica delimitata, con caratteristiche riconosciute.
  • IGP: si riferisce a prodotti legati a una specifica area geografica almeno in una fase del processo produttivo.

Nel contesto vinicolo italiano, le denominazioni DOC e DOCG rientrano nella categoria DOP, mentre gli IGT corrispondono agli IGP.

La piramide di classificazione dei vini La piramide di classificazione dei vini Fonte: Il mondo del Sommelier edito da AIS

Perché le vecchie sigle sono ancora in uso?

Nonostante l’introduzione delle sigle europee, le denominazioni tradizionali italiane come DOC, DOCG e IGT continuano a essere utilizzate per vari motivi. La legislazione italiana permette l’uso delle denominazioni tradizionali in parallelo con quelle europee, garantendo una transizione graduale e rispettosa delle peculiarità locali. Ma quali sono le motivazioni?

Una tra tutte è stata quella di non sconvolgere più tanto la riconoscibilità di un’eccellenza nella mente di un consumatore, specie se di «cultura non latina».

A onor del vero dobbiamo ricordare che nella battaglia per il mantenimento delle vecchie sigle un ruolo da leone l’ha avuto la Francia che ha condiviso con noi la medesima problematica e ci ha affiancato in questa rivendicazione in nome, in primo luogo, di un fatturato garantito perché, come sempre, “ business is business ".

Una seconda e importante motivazione si basa su un aspetto tradizionale: leggere ancora oggi DOC, DOCG e IGT significa mantenere un legame stretto con le specificità territoriali ed esaltare le peculiarità delle diverse zone vitivinicole.

A noi quest’ultima piace molto (senza disdegnare la prima) e trovandoci dinanzi a una bottiglia e a una sua etichetta siamo sempre molto curiosi e appassionati di scoprire cosa ci sia oltre la sigla, perché alla fine vince quello che c’è nel bicchiere e tutta la sua capacità di portarci proprio lì, nella sua capacità di raccontarsi e di svelarsi.

E voi, come sceglierete adesso? Nel frattempo, prosit!

Antonella Coppotelli

Responsabile Area Marketing & PR Money.it

Per maggiori informazioni su Note di Vino scrivere un'email a redazione@money.it

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