Massimo Chiriatti, quando l’intelligenza artificiale diventa una questione profondamente umana
Jacopo Paoletti
31 marzo 2025
Ci sono persone che, pur lavorando con tecnologie all’avanguardia, riescono a mantenere saldi i piedi nel mondo reale, intrecciando innovazione e umanità: Massimo Chiriatti è una di quelle.

Ci siamo incrociati molte volte nel corso degli anni: eventi, conferenze, discussioni su innovazione, futuro e tecnologia. Oltre a essere un esperto che stimo profondamente, Massimo Chiriatti è qualcuno che considero anche un amico, uno di quei punti di riferimento con cui è sempre stimolante confrontarsi.
Massimo non si limita a essere un tecnologo: è un pensatore capace di interrogarsi sul significato di ciò che costruisce. Come Chief Technology and Innovation Officer per Lenovo Italia, guida strategie che toccano intelligenza artificiale, blockchain e innovazione, dimostrando ogni giorno come queste tecnologie possano fare la differenza non solo nelle imprese, ma nella società. Ma è anche un accademico, un divulgatore e un punto di riferimento per chiunque voglia capire come il mondo digitale stia evolvendo.
Le sue esperienze come Adjunct Professor presso l’Università Cattolica e la Luiss lo vedono impegnato a trasmettere alle nuove generazioni non solo competenze tecniche, ma anche una consapevolezza etica: insegna a unire l’innovazione con la responsabilità, il progresso con la riflessione critica.
Le sue pubblicazioni (tra cui #Humanless: L’algoritmo egoista e Incoscienza Artificiale, che consiglio), raccontano molto della sua visione: Massimo non si limita a osservare le tecnologie, ma le analizza da vicino, interrogandosi sui limiti e le possibilità del rapporto tra uomo e macchina. In particolare, è affascinante come riesca a tradurre concetti complessi, come la coscienza artificiale o l’etica algoritmica, in riflessioni che parlano direttamente alla nostra epoca.
Ma non è solo teoria. Massimo ha contribuito concretamente allo sviluppo delle strategie italiane per le tecnologie emergenti, partecipando alla commissione del Ministero dello Sviluppo Economico sulla blockchain e firmando, tra le altre cose, il Manifesto sull’Intelligenza Artificiale del 2022. Quando parla di futuro, lo fa con l’autorità di chi ha lavorato per costruirlo, pezzo per pezzo.
In questa intervista, non voglio solo esplorare le sue idee, ma anche raccontare l’uomo dietro il tecnologo. Massimo non è uno di quei profili distanti che abitano solo i palcoscenici e le pubblicazioni di settore: è qualcuno che sa ascoltare, discutere, mettere in discussione le proprie convinzioni. Se oggi ci troviamo a parlare con lui, è per capire meglio non solo dove stiamo andando, ma anche chi siamo in questo viaggio.
D: Massimo, nel tuo libro Incoscienza Artificiale tratta le macchine come meri esecutori privi di coscienza. Tuttavia, se un giorno l’IA dovesse acquisire una forma di coscienza, quale sarebbe la prima domanda che faresti? Oppure ritieni che, prima, sia necessario ridefinire il concetto di “coscienza”?
R: Non escludo nulla riguardo al futuro, tuttavia non credo di poter assistere all’emersione dell’intelligenza e della coscienza delle macchine nell’arco della mia vita. È certo che, nel tentativo di definire la coscienza, ci perderemmo in innumerevoli dibattiti che ancora non hanno trovato un punto d’incontro, come testimonia l’ampia letteratura sul tema. Se, tuttavia, desideriamo abbozzare almeno un’idea – se non una definizione – potremmo considerarla come l’insieme delle esperienze soggettive che proviamo durante il pensiero. A oggi, le macchine sono in grado di eseguire numerosi calcoli in tempi estremamente rapidi, ma nulla di più: non possono, per ora, raggiungere il livello del pensiero e delle emozioni.
In uno scenario così utopico, quale domanda porrei? La medesima che rivolgerei al mio gatto – che, diversamente, possiede una forma di coscienza –, ossia: “Sei felice?”
D: L’intelligenza artificiale è spesso considerata un potenziatore delle capacità umane. Ritieni, tuttavia, che essa possa anche rivelare nuovi aspetti della nostra soggettività e imperfezione, oppure il suo ruolo debba limitarsi a ottimizzare ciò che già siamo?
R: Questa domanda, per quanto interessante, suscita inquietudine poiché ammette svariate risposte. Finora abbiamo automatizzato il lavoro relativo alla materia prima: in agricoltura si tratta della lavorazione della terra, nell’industria della catena di montaggio e nel settore terziario della gestione dell’informazione. In agricoltura, se si considerano le quattro fasi – arare, seminare, curare e raccogliere – esse sono state progressivamente automatizzate, con conseguente diminuzione dell’impiego umano.
Nell’industria la produzione è stata sempre più automatizzata grazie all’impiego dei robot; in questo caso, l’occupazione è diminuita, ma soprattutto si è trasformata, poiché la progettazione e l’uso dei computer hanno trasferito milioni di posti di lavoro dalle fabbriche alle aziende dei servizi. Nel settore terziario, sebbene i computer abbiano automatizzato numerose attività, molte persone continuano a operare in questo ambito.
Recentemente si assiste, inoltre, alla nascita di attività “autonome”, che non riguardano più soltanto le operazioni manuali o cognitive standard, ma anche quelle di alto livello – ad esempio, i software in grado di generare testi, immagini, audio e video.
Di conseguenza, il trattamento delle informazioni risulta sia automatizzato sia generato, aprendo il campo a fattori emergenti, ossia a correlazioni e magari a relazioni causa-effetto inaspettate, sia nel rapporto con le macchine sia, addirittura, nella nostra stessa natura.
D: Nel dibattito su etica e tecnologia hai contribuito al Manifesto sull’Intelligenza Artificiale del 2022. Se oggi potessi redigere un manifesto etico globale per l’IA, quali sarebbero i tre principi imprescindibili, in analogia alle famose leggi della robotica di Asimov?
R: Considerando che nei nostri geni e valori è già insito il seme della guerra, della violenza e della sopraffazione, tali elementi sono stati progressivamente incorporati nei dati, che oggi alimentano le macchine. Finché esiste una logica a priori, insita nella programmazione umana, in grado di controllare le macchine, è possibile organizzarsi per gestire i risultati.
Tuttavia, quando l’IA entra a determinare nuove regole, decisioni e comportamenti, il futuro diventa imprevedibile. Se occorresse limitarsi a tre principi, si potrebbero proporre: Trasparenza, Inclusione e Privacy. È opportuno, infine, ribadire che sarebbe stato estremamente utile riflettere sull’etica ben prima dell’introduzione dell’IA.
D: Nel tuo saggio #Humanless ha definito gli algoritmi come “egoisti”. In che modo ritieni che tale “egoismo” stia già plasmando la nostra società digitale, dai social media alle decisioni quotidiane?
R: Nella prima parte del libro vi è un capitolo redatto in prima persona, come se fosse l’algoritmo stesso a narrare. Tale espediente letterario mira a dimostrare che le macchine non sono influenzate dalle emozioni, essendo autonome. È noto che l’autonomia può generare comportamenti egoistici: quanto più si è umani e orientati verso l’altro, tanto maggiore è la predisposizione a considerare il benessere altrui, influenzandosi reciprocamente emotivamente.
Gli algoritmi, invece, risultano essere determinati e, una volta creati, si modellano ed evolvono autonomamente, senza richiedere nulla a nessuno né tenere conto delle esigenze altrui. In effetti, il motore di tutti i cambiamenti è la tecnologia, in particolare gli algoritmi che apprendono dai dati utilizzati nell’ambito dell’intelligenza artificiale.
Tali cambiamenti amplificano l’influenza della globalizzazione, poiché la tecnologia e la globalizzazione rappresentano i principali fattori che regolano – e talvolta creano – problematiche nei rapporti geopolitici ed economici tra le nazioni, influenzando persino gli eventi climatici.
In sostanza, tutte le attività, nella dimensione immateriale della nostra esistenza, sono interfacciate tramite algoritmi: qualsiasi ricerca sul web, intenzione d’acquisto o conversazione in chat è monitorata e guidata da tali algoritmi, il cui impatto risulta persino maggiore rispetto a quello determinato dall’introduzione dell’elettricità.
D: Molti temono che l’IA possa sostituire l’uomo. Quali nuovi ruoli e professioni ritieni che questa tecnologia possa creare, e cosa dovremmo fare per prepararci al meglio a tali opportunità?
R: Il tema del futuro del lavoro è estremamente complesso: numerosi studi aggiornano quotidianamente cifre e prospettive, evidenziando il divario tra la progressione esponenziale della tecnologia e il nostro tasso di adozione. Su tale divario è possibile avanzare solo alcune speculazioni e precisazioni. È necessario precisare che ogni occupazione comprende diverse attività: alcune possono essere digitalizzate e, conseguentemente, automatizzate, mentre altre no. Su quale ambito lavoreremo in futuro?
Prima dell’avvento di Internet era impensabile prevedere le nuove professioni che oggi esistono grazie a questa piattaforma di distribuzione dei contenuti. Ora, grazie all’IA, possiamo immaginare l’eliminazione di alcune attività; tuttavia, è impossibile anticipare con certezza i nuovi lavori che verranno creati. È pertanto indispensabile continuare a innovare non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche riflettere sulla relazione tra gli esseri umani e la tecnologia, adottando una prospettiva culturale e di scelta pubblica.
Ad esempio, è necessaria una formazione diffusa che integri competenze multidisciplinari: accanto alle materie scientifiche – informatica, fisica, ingegneria – è sempre più importante valorizzare le competenze umanistiche in sinergia. In definitiva, tutto ruota attorno ai talenti umani che sanno utilizzare al meglio i dati, per ottenere risultati migliori con minori costi e per generare innovazioni. I maggiori esperti di matematica sostengono che contano più le parole, mentre i numeri servono a dimostrare le idee, le quali sono, in ultima analisi, esclusivamente umane.
In sintesi, il futuro del lavoro dipende, in parte, dalla nostra conoscenza, in larga misura dalle nostre azioni e quasi interamente dalle nostre omissioni; per tutto il resto, interviene il caso.
D: L’intelligenza artificiale e la blockchain sono spesso considerate tecnologie indipendenti; tuttavia, essendo un esperto in entrambe, quali scenari ritieni siano i più promettenti nella loro convergenza per rivoluzionare l’economia e la governance?
R: Pur essendo per natura, struttura e adozione completamente diverse, è possibile individuare alcuni elementi di corrispondenza per semplificarne il confronto. Ad esempio:
- L’IA interpreta il passato per proiettarsi nel futuro, mentre la blockchain fissa il passato.
- L’IA contribuisce al processo decisionale, mentre la blockchain ne registra le decisioni.
- L’IA tende rapidamente alla centralizzazione, mentre la blockchain si orienta verso la decentralizzazione.
- L’IA non è sempre spiegabile, mentre la blockchain presuppone la possibilità di spiegare ogni operazione.
- L’IA opera in modo probabilistico, mentre la blockchain si fonda su meccanismi deterministici.
- L’IA è in grado di migliorare le proprie risposte, mentre la blockchain fornisce un’unica risposta consolidata.
- L’IA favorisce la competizione, mentre la blockchain incentiva la cooperazione.
D: In qualità di docente, quale competenza ritieni oggi più cruciale per i giovani che si preparano a un mondo dominato dall’IA e dai dati? Esiste un valore umano che deve rimanere imprescindibile?
R: L’IA inizia con l’addestramento sui dati e non segue esclusivamente le regole codificate dalla programmazione. Essa rappresenta una disciplina ingegneristica i cui risultati sono, per definizione, incerti, insicuri e imprecisi; pertanto, è necessario che gli esperti di dominio la valutino anche attraverso una prospettiva umanistica. Il ricorso ai valori umani solleva questioni etiche fondamentali, che non sono derivative, bensì costituiscono il punto di partenza imprescindibile.
D: Se potessi tornare indietro e dare un consiglio a un giovane Massimo Chiriatti agli inizi della sua carriera, quale sarebbe? E qual è stata la lezione più sorprendente che l’IA ha insegnato sul comportamento umano?
R: Quando eravamo giovani imparavamo dagli anziani. Oggi, invece, dobbiamo osservare ciò che fanno i nostri figli per intravedere il futuro. Gli algoritmi seguono entrambi.
La lezione moderna è che le competenze attuali si stanno sviluppando all’intersezione di diverse discipline. Chi possiede la capacità di orientarsi tra eterogenee conoscenze, senza limitarsi a specializzarsi, diventa la figura creativa ricercata dalle aziende. Tale esperienza è, per sua natura, soggettiva, poiché parte dall’individuo e si estende dal presente al futuro, ossia tra il reale e il possibile.
D: Guardando al 2100, ritieni che l’IA sarà ricordata come una forza che ha risolto problemi globali oppure come quella che ne ha creati di nuovi? Qual è il sogno e qual è la tua più grande paura per il futuro della tecnologia?
R: Nei prossimi anni numerosi posti di lavoro scompariranno; non saranno più di noi (del collega, della nostra azienda o del nostro Paese) né degli altri. Molte attività professionali subiranno cambiamenti imprevedibili. Per tale motivo, è necessario unirsi già oggi, e non domani, per dare vita a iniziative che generino occupazione per noi e, possibilmente, anche per altri.
Per quanto concerne la visione del futuro, ritengo che la competenza più preziosa la capacità di apprendere nuove abilità. In altri termini, tutti i titoli acquisiti in passato sono importanti, ma la formazione realmente utile per il domani si manifesta attraverso comportamenti quotidiani caratterizzati da una comunicazione ricca e dinamica. L’imperativo strategico consiste nell’acquisizione di tale competenza, poiché, in sua assenza, sia il percorso di miglioramento umano sia lo sviluppo aziendale rischiano di fallire.
Nonostante ci attenda una sfida non convenzionale, occorre mantenere un atteggiamento ottimista nei confronti del futuro. Pensiamo agli anni ’50, quando Watson e Crick scoprirono la struttura del DNA: solo osservando il nostro corpo sono nati milioni di studi e carriere. Saper guardare negli occhi l’altro, che costituisce l’essenza dell’“human skill”, ci aprirà la strada per scoprirne molte altre.
Ogni disciplina tenta di rispondere alle numerose domande che riguardano gli eventi umani – cosa, come e perché. Sono interrogativi fondamentali che si presentano costantemente di fronte a questioni complesse, le quali possiamo affrontare solo insieme, poiché l’IA è, in definitiva, una disciplina umanistica.

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