Steve Keen: è il debito privato che muove l’economia USA

Christian Dalenz

05/11/2015

L’economista della Kingston University spiega che la scelta del tasso di interesse da parte della FED ha poca influenza. Possiamo andare avanti con questo modello così instabile fondato sul debito?

Steve Keen: è il debito privato che muove l’economia USA

Steve Keen, capo del Dipartimento di Economia dell’Università di Kingston, è un esperto analista economico che si è concentrato in particolare sull’instabilità economica provocata dall’accumulazione di debito privato nel sistema; proprio come uno degli accademici che più lo hanno influenzato, Hyman Minsky (di cui ho recensito un raccolta di saggi per Forexinfo.it).

In un suo recente articolo per Forbes, Keen ha svolto alcune esercitazioni econometriche con il fine di asserire una importante realtà riguardante il funzionamento di un’economia capitalista avanzata: la stretta dipendenza della sua crescita dalla spinta data dal debito privato. Lo sviluppo economico negli USA è determinato più da questo che dalla determinazione del tasso di interesse da parte della FED.

Infatti, come è possibile vedere dal grafico 1, negli Stati Uniti il diminuire della disoccupazione va generalmente di pari passo con un aumento del livello di indebitamento privato:

Grafico 1: Andamento del debito privato e della disoccupazione negli USA, 1990-2015

Il coefficiente di correlazione misura quanto la variabile dipendente, in questo caso la disoccupazione (linea blu), dipenda dall’andamento della variabile indipendente, che in questo caso è il debito privato (linea rossa); quanto più un coefficiente si avvicina al valore 1, quanto più le due variabili sono strettamente connesse. Qui il coefficiente è- 0.93: cio’ indica che quando il debito privato aumenta dell’1%, la disoccupazionr diminuisce dello 0,93%.

Nello stesso periodo, la correlazione tra tasso d’interesse (depurato dagli effetti inflattivi, dunque reale) della FED e disoccupazione non è stata così stretta:

Grafico 2: Andamento del tasso di interesse reale e della disoccupazione negli USA, 1990-2015

Generalmente ciò che dovrebbe avvenire è che al diminuire del tasso di interesse (linea rossa) l’economia dovrebbe risultare stimolata e perciò la disoccupazione (linea blu) dovrebbe diminuire. Dal grafico potremmo già dire, intuitivamente, che ciò non è avviene sempre con una corrispondenza automatica negli USA; e infatti il coefficiente di correlazione risulta essere -0.53, dunque l’influenza del tasso di interesse della FED sull’economia e’ inferiore a quella del debito privato, che abbiamo visto in precedenza. Se il tasso di interesse non riesce a controllare in maniera sufficiente fattori di economia reale come la disoccupazione, siamo davanti ad un vero fallimento della convenzionale teoria economica neoclassica, la più diffusa a livello accademico, che non considera altri fattori importanti nella sua illustrazione dei fatti economici.

Dunque nell’economia USA, tra quelle più sviluppate al mondo, riuscire a trovare lavoro è un fenomeno che avviene di solito con un aumento del generale livello di debito privato. Ma sia Steve Keen (per esempio in un suo intervento sul caso cinese) che il suo maestro prima citato, Hyman Minsky, spiegano che questo non può che essere un fattore che rende l’economia molto instabile: lo scoppio di una bolla finanziaria per via dell’eccesso di indebitamento è infatti un fenomeno molto frequente.

Economisti come Riccardo Bellofiore arrivano a definire l’attuale sistema un “keynesismo privatizzato”; la domanda dei consumatori, fattore scatenante dell’attività economica e quindi dell’occupazione, non è più stimolata da un tradizionale keynesismo dove lo Stato interviene a sostegno del consumo grazie al welfare e a politiche occupazione e salariali, bensì dal sistema finanziario.

La questione da porsi è perciò se si intenda tornare ad un keynesismo più tradizionale (della cui piena realizzazione nel passato postkeynesiani come lo stesso Minsky e Joan Robinson arrivano invero a dubitare) o pensare ad un sistema del tutto diverso.

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