È possibile la costruzione di centrali nucleari in Italia per l’autonomia energetica? In teoria sì, ma nella pratica l’energia nucleare è ancora osteggiata. Ecco perché.
L’energia nucleare in Italia è, su carta, fattibile. Il problema è di natura politica, culturale e, non meno ne importante, di natura gestionale. Moltissime attività della penisola italiana, come lo smaltimento rifiuti, deve fare i conti con la realtà criminosa delle mafie. Per questo quando il ministro Pichetto Fratin ci scuote per le spalle dicendoci che non possiamo più tirarci indietro dal nucleare, non mette in conto nel dibattito pubblico la presenza di numerosi ostacoli.
Il piano per l’energia nucleare nel nostro paese c’è, c’è sempre stato, anche se messo in pausa nel 1987 e nel 2011 con i due referendum che hanno bloccato la produzione e la ripresa. Gli italiani hanno paura del nucleare e ne hanno dall’incidente di Chernobyl. A distanza di decenni è ancora viva nella memoria di molti quel fatto disastroso che fu Chernobyl e le sue conseguenze radioattive a lungo termine. È vero, oggi il numero di persone favorevoli al nucleare è in aumento, complice anche la narrazione politica, spesso poco coerente, che ha cambiato faccia sul nucleare alla prima crisi del gas russo.
“Più favorevole” però non vuol dire che l’Italia sia pronta. Sono ancora molte le variabili da tenere in considerazione, ma soprattutto le domande a cui rispondere. Una tra queste è dove costruire delle centrali nucleari, un’altra è dove stoccare le scorie e infine quante centrali ci servirebbero per essere autonomi da un punto di vista energetico. Tutte domande a cui cercheremo di rispondere per capire quanto l’Italia è pronta all’energia nucleare o meno.
Energia nucleare: il vento sta cambiando, ma non abbastanza
A oltre 35 anni dai fatti di Chernobyl e a 12 da Fukushima l’Italia sente ancora il peso storico dei disastri nucleari sull’utilizzo dell’energia nucleare. Nel 2005 si registrò il più alto andamento positivo per l’energia nucleare, superando il 52% dei favorevoli. Una situazione che rimase invariata, e che tendeva a crescere leggermente, fino al 2011, quando l’incidente nucleare in Giappone ha trasformato 2 italiani su 3 in contrari all’energia nucleare.
Il sondaggio di 12 anni fa aveva fatto emergere le caratteristiche di chi era contrario al nucleare e tra questi non stupisce leggervi i cittadini over 60, quelli che avevano testimonianza diretta degli eventi di Chernobyl. Se anche il fronte del “sì” dovesse aumentare, rimane poco nota la pratica di smaltimento dei rifiuti (a proposito è meglio parlare di “stoccaggio”) ed è invece tristemente conosciuta l’italianità con la quale sono state gestite le scorie delle centrali precedentemente attive sul territorio. Quelle scorie sono ancora stoccate in ben 8 regioni, su 16 siti differenti. La società responsabile dello smaltimento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei resti radioattivi è la Sogin. Questa è ancora in difficoltà con i rifiuti di ben 30 anni fa.
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Un piano per l’energia nucleare: dove costruire e quante centrali servirebbero?
Facciamo finta che l’opinione pubblica sia d’accordo con la produzione di energia attraverso il nucleare. Dove costruire le centrali, ma soprattutto quante ne servono per renderci indipendenti dal gas? La metà del gas che importiamo è utilizzata per produrre energia elettrica, la restante parte è utilizzato per l’industria e nel riscaldamento domestico. Tenendo conto che in futuro sarà indispensabile l’elettrificazione massiccia dell’industria e dei riscaldamenti, ora possiamo fare un esempio sulle necessità della penisola basandoci però soltanto sulla produzione di energia nucleare per sostituire la produzione elettrica attraverso il gas.
Quanre centrali nucleari ci servirebbero per sostituire i 38 miliardi di metri cubi di gas (ex provenienza russa) per produrre energia? Secondo chi ha già fatto i calcoli del caso, come divulgatori di Geopop, servirebbero 23-24 reattori di vecchia generazione per produrre abbastanza energia elettrica da slegarci dall’importazione del gas. Ma noi non vogliamo riattivare le vecchie centrali - azione impossibile in ogni caso - e quindi rispondiamo tenendo in considerazione la costruzione in 7-10 anni in media (in Italia servirebbero almeno 15 anni) di nuove centrali nucleari con reattori di ultima generazione. Utilizzando la tecnologia francese per esempio, con reattori da 1.600 e 1.700 megawatt di potenza elettrica, servirebbero “soltanto” 15 reattori.
Dove metterli? In realtà 15 reattori potrebbero essere divisi nei cinque siti delle ex centrali nucleari già presenti sul territorio italiano. In passato abbiamo già avuto delle centrali nucleari: una a Latina nel Lazio, una a Sessa Aurunca a Garigliano, Trino Vercellese in Piemonte, Caorso in Emilia-Romagna e Montalto di Castro in provincia di Viterbo (pronta all’85% ma bloccata con il referendum).
Un piano (im)perfetto: cosa manca?
Il posto c’è, la capacità di rendersi autonomi dal gas per la produzione elettrica anche, ma qualcosa non torna. Oltre all’opinione pubblica, che abbiamo solo ipotizzato essere d’accordo con l’utilizzo dell’energia nucleare per la produzione elettrica, c’è il problema della sicurezza e della gestione delle scorie. Sono proprio questi due i primi problemi che sorgono quando si tenta di aprire il dialogo sul nucleare nel nostro Paese.
La paura fa tanto, ma anche la mancanza di conoscenza in merito. È piuttosto comune credere che le centrali nucleari non siano sicure e questo perché grandi eventi hanno segnato l’immagine di questa energia in passato. Eppure i disastri nucleari Chernobyl e Fukushima sono molto diversi tra loro e diversamente pericolosi. L’evento di Chernobyl per esempio è dovuto alla mancata sicurezza di una struttura non solo vecchia rispetto, ma soprattutto di stampo sovietico. Il caso di Fukushima al contrario è l’esempio di come un evento spaventoso come un disastro nucleare, se ben contenuto, può non causare morti dirette o esplosioni sceniche.
Un evento disastroso non può essere impedito al 100%, c’è sempre infatti la possibilità che questo avvenga. Può però far ragionare il fatto che in quanto a sicurezza (comprese scorie ed eventi disastrosi del passato) le centrali nucleari siano considerate più sicure rispetto alle centrali a carbone e anche di molto. Le prime non le usiamo, le seconde sì.
E le scorie? I rifiuti radioattivi li trattiamo già, sono per esempio quelli a bassa attività; quelli ad alta attività, le scorie più pericolose, si dovrebbero stoccare in sicurezza. Nel nostro Paese c’è un precedente non roseo per quanto riguarda lo stoccaggio delle scorie, che da 34 anni è nelle mani della società Sogin. In un altro Paese i rifiuti nucleari, solidi e compatti, sono stoccati in seguito alla cementificazione e custoditi in depositi di superficie o geologici, quindi sotterranei. Sarebbe possibile anche in Italia, ma a distanza di tanti anni ci sono dei papabili siti di stoccaggio fortemente osteggiati dall’opinione pubblica. Così le scorie rimangono divise in 8 regioni su 16 siti diversi senza una soluzione definitiva.
Insomma l’Italia ha tutte le qualità per essere pronta all’energia nucleare (nel lungo periodo), ma nella pratica manca una corretta informazione per poter scegliere consapevolmente se aprire o meno a un piano energetico basato sul nucleare.
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