Dai rischi di una guerra con la Russia allo stato del nostro Esercito fino alla missione Aspides nel Mar Rosso: abbiamo fatto il punto della situazione con il gen. Carlo Landi.
In caso di una guerra con la Russia l’Italia - e tutta la Nato in generale - non sarebbe in grado di intercettare un missile ipersonico russo che potenzialmente può trasportare anche una testata atomica. A spiegarcelo è stato il gen. Carlo Landi. Un particolare questo non di poco conto visto che Emmanuel Macron nelle scorse ore ha ribadito come la Francia stia valutando la possibilità di inviare proprie truppe in Ucraina.
In questo scenario abbiamo provato a fare il punto della situazione sulle guerre in corso e sullo stato dell’Esercito italiano con il generale, ora in pensione, che è stato comandante del Centro Sperimentale di volo e del poligono di Perdasdefogu dove ha partecipato in prima persona alle prove del sistema missilistico SAMP-T. Quarantuno anni di onorevole carriera passati in Aeronautica Militare occupandosi di prove in volo del Tornado e dell’EF-2000 e di sviluppo di sistemi d’arma complessi.
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha riacceso una generale corsa agli armamenti. Come è messo attualmente l’Esercito italiano?
Già dalla Seconda Guerra Mondiale, ma ancora di più oggi non ha senso parlare di esercito, ma piuttosto di strumento militare integrato costituito dalle tre forze armate: Esercito, Marina, Aeronautica. Lo strumento italiano è stato aggiornato e modificato in maniera più incisiva a partire dalla caduta del Muro di Berlino e dall’insorgere di aree di rischio e di conflitto che prima non esistevano. Lo strumento militare deve essere proporzionato al peso internazionale che una nazione desidera raggiungere, a quelle che in gergo si chiamano “ambizioni”. Non si può pretendere di avere una voce politica forte e ascoltata, senza possedere e voler impiegare forze militari adeguate quando se ne presenti l’esigenza. Dello strumento militare fa parte anche la capacità produttiva del paese, soprattutto nelle aree dell’armamento e del munizionamento. La guerra in Ucraina, che dura ormai da oltre due anni, sta dimostrando che per una difesa efficace, non sia necessaria solo una capacità operativa sul campo, ma anche una grande capacità logistica di approvvigionamento e rinnovamento dei materiali.
Senza girarci troppo intorno, l’Italia avrebbe la capacità di poter affrontare una guerra contro la Russia?
È una domanda retorica, fantastica direi. Non a caso l’Italia è uno dei 12 Paesi fondatori della Nato, decisione presa nel 1949 di fronte al fatto che l’Europa era ormai divisa in due blocchi contrapposti, e che la sicurezza di un Paese non poteva essere assicurata autonomamente ma dipendeva dall’appartenenza all’uno o all’altro schieramento. La Nato è stata istituita nel “blocco occidentale” quale alleanza difensiva politico-militare. Oggi, qualsiasi atto militare ostile nei confronti del nostro paese sarebbe considerato un attacco a tutta l’Alleanza, Stati Uniti compresi. In questo caso, al di la del supporto sul campo ci sarebbe il vantaggio di una maggiore capacità logistica e produttiva di armamenti e munizionamento.
I nostri sistemi di difesa sarebbero in grado in questo momento di intercettare un missile ipersonico russo?
Da almeno tre decenni l’’Italia ha fatto grandi sforzi per incrementare la propria capacità di difesa cosiddetta anti-missile. Si tratta di programmi molto complessi, che richiedono ingenti investimenti anche nella fase di sviluppo a cui deve seguire una adeguata sperimentazione e addestramento. Abbiamo un nucleo di aziende esperto e capace, ma è difficile portare avanti un nuovo programma, soprattutto quando non si intravede la minaccia. La nazione ha molteplici esigenze e spendere in armamenti può sembrare uno spreco. Purtroppo però le capacità difensive non si inventano dall’oggi al domani. Per rispondere direttamente alla domanda direi che oggi in Italia non abbiamo, come in quasi nessun posto in Europa, capacità di difesa da missili ipersonici. Siamo in grado di contrastare un attacco con missili balistici convenzionali in piccole aree geografiche del paese di importanza strategica. La difesa dai missili balistici è realizzata con altri missili che intercettano l’attaccante nella fase discendente della sua traiettoria dove la sua velocità è supersonica (4-5 volte la velocità del suono). La possibilità di successo dipende da molti fattori tra cui la distanza tra i due missili, quindi dalla distribuzione sul territorio da difendere delle batterie e dei complessi sistemi di avvistamento radar. È un confronto che dura una manciata di secondi. Molti hanno visto in tv i lanci del sistema Iron Dome israeliano che protegge gran parte del territorio di Israele da missili di questo tipo. I sistemi Nato attuali non sono in grado di intercettare qualsiasi minaccia e tipologia di missile. I missili ipersonici ad esempio, come Zircon, volano a velocità dell’ordine di 8-9 Mach o più. E non è solo la velocità, ma la possibilità di attacchi multipli condotti con sciami di missili balistici che saturerebbero le capacità dei radar di guida degli intercettori.
Un escalation in Ucraina con anche la Nato coinvolta potrebbe portare a una guerra nucleare?
Per quasi 50 anni, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla caduta del Muro di Berlino, l’armamento nucleare ha costituito la forma di deterrenza che, unita ad altre azioni a livello diplomatico, ha impedito l’insorgere di altri conflitti armati in Europa. Si è arrivati a ipotizzare una dottrina definita della distruzione mutua assicurata (dall’inglese Mutual assured destruction o MAD) basata sulla “triade nucleare” costituita da bombardieri, missili e sottomarini in grado di assicurare la distruzione di un avversario che avesse lanciato per primo un attacco. Questi sistemi hanno raggiunto l’obiettivo di impedire negli anni il ricorso agli armamenti atomici. In sintesi esiste la possibilità teorica che un conflitto tra Nato e Federazione Russa degeneri fino all’uso armamento nucleare, ma si tratta di un’ipotesi radicale, estremamente remota perché, in un tale scenario, entrambi i contendenti pagherebbero un prezzo altissimo in termini di vittime e livelli di distruzione anche nei propri Paesi.
A Bruxelles si è tornati a parlare di un esercito comune, secondo lei si tratta di un progetto realizzabile?
Forze Armate comuni europee sono un obiettivo ambizioso e complesso, ma assolutamente da perseguire in tempi rapidi. Lo strumento militare è uno dei più importanti per attuare una politica estera efficace. Finché l’Europa non si doterà di uno strumento militare unitario sarà difficile e poco efficiente ottenere una politica estera che raggiunga risultati adeguati. Può sembrare un controsenso, ma uno strumento militare forte è il primo motivo di dissuasione ad avviare conflitti armati. Inoltre uno strumento di Difesa europeo potrebbe limitare la dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti (oggi molti paesi europei comprano in Usa i loro sistemi militari ad alta tecnologia) aumentando le ricadute occupazionali e conoscenze e capacità anche in campo civile di molte aziende quali Leonardo.
L’Italia è impegnata anche nel Mar Rosso, ci sono dei rischi per i nostri uomini legati alla missione Aspides?
Non ci sono attività militari (come ogni altra attività complessa) che non comportino rischi. Anche l’addestramento militare comporta livelli di rischio crescenti. In particolare confrontarsi con un nemico che usa forme di combattimento inusuali, subdole e, al tempo stesso, con armamenti basati su alti livelli tecnologici, può elevare i livelli di rischio. Tuttavia i nostri militari sono dotati di elevati livelli addestrativi specifici, i sistemi d’arma impiegati sono all’avanguardia e, da ultimo, siamo inseriti in un contesto di alleati che moltiplicano le forze di ciascuno. Uno dei vantaggi poco visibili del nostro apparato nel Mar Rosso a difesa dei traffici marittimi internazionali è lo strumento informativo. Grazie a satelliti e ad altri sistemi siamo in grado di sapere con immediatezza quando, come e dove si sta preparando un attacco. E questo è un vantaggio ineguagliabile in un conflitto.
Visti i fronti caldi di Ucraina, Medio Oriente e Taiwan, quanto è alto il rischio di una terza guerra mondiale?
Papa Francesco ha detto recentemente che stiamo vivendo una “terza guerra mondiale a pezzi”. Mettendo da parte la fede, la diplomazia vaticana è una delle più attive, funzionali ed efficienti al mondo. Se questa è loro valutazione, qualcosa di vero ci deve essere. Per ora le varie “tessere del mosaico” non si sono ancora unite. Possiamo solo auspicare che questo non avvenga. È fondamentale che l’Italia giochi un ruolo propositivo perché alla logica dell’imposizione si sostituisca quella della cooperazione internazionale a tutti i livelli. Eliminare i motivi di contrasto e contesa è la soluzione radicale ai conflitti, tuttavia al tavolo dei negoziati ci si deve sedere con una credibilità basata anche su uno strumento militare efficace, efficiente e pronto all’impiego.
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