L’Italia fa un salto indietro di 15 posizioni in materia di clima e ambiente ecco quali sono le cause e le colpe del Governo Meloni.
È clamorosa la bocciatura dell’Italia in materia di Clima e ambiente, la quale non solo non ha raggiunto la “performance climatica” necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica, ma è addirittura retrocessa di ben 15 posizioni, cadendo dal 29° al 44° posto della classifica.
È questo il verdetto del rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute, in collaborazione con Legambiente, sulla performance climatica dei principali paesi del Pianeta, presentato l’8 dicembre alla Cop28 di Dubai.
Accanto alla tristezza di vedere la propria Penisola retrocedere di 15 posizioni, trova spazio lo sconforto nel constatare che nessun Paese ha raggiunto la performance climatica per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C.
Ma quali sono le cause che hanno fatto sì che l’Italia abbia ottenuto una performance così bassa? E come si stanno comportando gli altri Paesi? Di seguito riportiamo i risultati del rapporto Climate Change Performance Index e tutto ciò che serve sapere sulle azioni dell’Italia per preservare l’ambiente.
Clima, le politiche insufficienti dell’Europa e degli altri Paesi
Lascia l’amaro in bocca la classifica stilata da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute, in collaborazione con Legambiente, attraverso il Climate Change Performance Index (Cccpi): il podio è deserto - nessuna nazione ha raggiunto la performance climatica per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica.
La classifica prende come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il Ccpi si basa per:
- il 40% sul trend delle emissioni;
- il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili;
- il 20% dell’efficienza energetica;
- il restante 20% sulla politica climatica.
In testa alla classifica si conferma al 4° posto la Danimarca, grazie alla riduzione delle emissioni “climalteranti” e allo sviluppo delle rinnovabili. Seguono poi Estonia (5° posto) e Filippine (6°) che intensificano la loro azione climatica nonostante le difficoltà economiche. In fondo alla classifica si trovano invece i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Emirati Arabi Uniti e organizzatori della Cop28 (65°), Iran (66°) e Arabia Saudita (67°).
Per quanto riguarda il maggior responsabile delle emissioni globali, la Cina rimane ferma al 51° posto, infatti, nonostante lo sviluppo delle rinnovabili, le emissioni cinesi continuano ad aumentare a causa del forte ricorso al carbone. Gli Stati Uniti, il secondo Paese responsabile per le emissioni globali, si posizionano al 57° posto.
Sono solo 3, invece, i membri del G20 che si trovano nella parte alta della classifica: India (7°) e Germania (14° posto) insieme all’Ue (16°). Questi dati sono la conferma dell’urgente necessità di intervenire affinché le Nazioni cambiano rotta in modo da poter dimezzare le emissioni entro il 2030 soprattutto riducendo i combustibili fossili.
Clima, perché l’Italia ha perso 15 posizioni: le colpe del Governo Meloni
Il 44° posto raggiunto dall’Italia spicca prepotentemente rispetto al 16° posto raggiunto dall’Unione Europea. Il crollo della Penisola che ha perso ben 15 posizioni, passando dall 29esima alla 44esima, si spiega alla luce di due fattori:
- il rallentamento della riduzione delle emissioni, nella cui classifica specifica l’Italia ha raggiunto il 37° posto;
- la politica climatica nazionale, nella quale classifica l’Italia ha addirittura raggiunto solamente il 58° posto.
Ma non solo. Sono diverse le responsabilità del Governo Meloni difronte a questa clamorosa bocciatura. L’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) che - inviato lo scorso luglio a Bruxelles - dovrà essere nuovamente inviato nella sua versione definitiva a giugno 2024 alla Commissione europea, non lascia ben sperare.
Infatti, a oggi il piano consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 40.3% rispetto al 1990 segnalando il poco impegno dell’amministrazione Meloni, che fa sì che l’Italia compia un ulteriore passo indietro rispetto al già inadeguato 51% previsto dal Pnrr. L’obiettivo del pacchetto europeo Fit for 55 è infatti del 55% al 2030 rispetto al 1990.
Di fronte alla terribile performance climatica italiana, prende parola Stefano Ciafani, presidente di Legambiente:
Serve una drastica inversione di rotta. Secondo il Paris Compatible Scenario elaborato da Climate Analytics, il nostro Paese è in grado di ridurre le sue emissioni climalteranti di almeno il 65% grazie al 63% di rinnovabili nel mix energetico ed al 91% nel mix elettrico entro il 2030.
L’Italia. quindi, ha tutte le potenzialità per poter ridurre le emissioni ma non si sta impegnando affinché ciò avvenga. Anzi, secondo la Climate Analytics, la Penisola potrebbe raggiungere entro il 2035 il 100% di rinnovabili nel settore elettrico, confermando l’uscita dal carbone entro il 2025, prevedendo quella dal gas fossile entro il 2035 per raggiungere la neutralità climatica già nel 2040. Eppure, di fronte a queste potenzialità, il Governo sembra non aver preso seriamente la questione e lo ha dimostrato facendo retrocedere la penisola di ben 15 posizioni in un solo anno.
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