Chi guadagna dal petrolio in negativo

Luca Fiore

28 Aprile 2020 - 17:37

Nel comparto energetico sono in molti a soffrire. Molti ma non tutti. Ci sono alcune aziende che non se la sono mai passata meglio. Vediamo due esempi.

Chi guadagna dal petrolio in negativo

Poco più di una settimana fa, il petrolio scendeva, per la prima volta nella sua storia, in territorio negativo. In particolare, il derivato sul WTI (West Texas intermediate), il petrolio statunitense, lunedì scorso ha toccato un minimo a -37,6 dollari al barile.

Il contratto (ormai scaduto), che prevedeva la consegna fisica dei barili nel mese di maggio, ha pagato pegno al fatto che negli Stati Uniti i siti di stoccaggio, emblematico è il caso di Cushing (l’hub del petrolio nord-americano), sono ormai saturi e quindi gli investitori sono disposti a pagare per liberarsi di questa commodity.

In particolare, dietro il crollo dei prezzi ci sarebbe un fondo che, secondo quanto emerso, deteneva circa il 25% dei volumi del contratto in scadenza a maggio.

Terminato il riparo offerto dal contratto con consegna maggio, anche il derivato sul WTI giugno 2020 è stato preso di mira dai ribassisti (ieri ha perso quasi 25 punti percentuali). A scatenare il ritorno delle vendite è stata la notizia che l’US Oil Fund ha spostato la sua esposizione dai contratti di giugno a quelli in scadenza da luglio 2020 a giugno 2021.

Comparto Energetico: le aziende su cui puntare

Un mercato così spiccatamente in contango, la condizione in cui il prezzo spot di un asset risulta inferiore al prezzo forward del contratto derivato (il contratto spot quota 12,9 dollari, quello a giugno 13,3$, a luglio 18,8$ e così via), sono diverse le aziende che operano nel comparto energetico che stanno beneficiando dell’attuale situazione.

Per diversi trader il business è rappresentato dall’immagazzinamento della commodity e la successiva rivendita. “Una condizione di supercontango rappresenta un incentivo alla consegna fisica del petrolio e al suo immagazzinamento per guadagnare dall’apprezzamento implicito”, si legge in una nota di City.

In questo caso il mezzo preferito per l’immagazzinamento è rappresentato dalle petroliere (che vanno dai 205 metri di una Coastal tanker ai 415 metri di una Ultra Large Crude Carriers).

Dell’attuale contesto ha parlato anche il presidente Trump, che in un recente incontro con la stampa ha sottolineato come il business dello stoccaggio su navi “si sia rivelato un buona affare”. Anche perché, alle petroliere non è richiesto nemmeno di navigare, basta che stiano ferme in attesa di tempi migliori.

Riflettori puntati su Frontline e NAT

Ovviamente, il prezzo dei noli si sta muovendo in direzione opposta rispetto al greggio: il prezzo di una VLCC (Very Large Crude Carrier), una superpetroliera da 330 metri con portata lorda compresa tra le 150 e le 320 mila tonnellate, è passato, secondo i dati diffusi dalla statunitense Frontline, da 23 mila a 410 mila dollari giornalieri.

Nell’ultimo mese le azioni Frontline hanno segnato un +13,3% e il saldo degli ultimi due anni registra un +137,5%. A febbraio i conti del quarto trimestre hanno evidenziato ricavi per quasi un miliardo, un utile netto di 140 milioni e disponibilità di cassa per 280 milioni di dollari.

Incremento ancora maggiore è stato registrato dalle azioni Nordic American Tankers (NAT) che, con il +54% delle ultime cinque sedute, ha portato il saldo annuo al +93,8%. Recentemente la società ha annunciato di aver raddoppiato il dividendo portandolo a 14 centesimi.

Nell’ultima trimestrale, Nordic American Tankers ha dichiarato un prezzo medio delle navi di 31.700 dollari giornalieri, mentre ad aprile ha annunciato di aver raggiunto i 110 mila dollari per 18 giorni di nolo.

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