Che abiti e accessori avremo nel guardaroba nel 2030? La moda va verso le sfilate online, i capi virtuali, con data di scadenza e biomateriali come arance e uva. La parola chiave è la sostenibilità.
Fra un decennio la fashion industry diventerà davvero sostenibile?
Come ci vestiremo nel 2030?
Biologia e scienze dei materiali si incontreranno in capi evoluti, progettati con tessuti innovativi, facili da riciclare come: nylon, polvere di marmo o resti di arance spremute. Sicuramente indosseremo anche vestiti in condivisione, grazie al nuovo approccio basato sulla sharing economy e, il ciclo di vita degli accessori, sarà decisamente più lungo di quello attuale.
Nel 2030 è favorita anche l’economia circolare e la divisione delle grucce degli abiti. Vestiario virtuale ed immateriale che non vedremo nemmeno, ma che sarà lì, nel nostro guardaroba all’avanguardia.
Come sarà la moda sostenibile nel 2030?
La fashion industry spinge verso il marketing green, scardinando i canoni tradizionali: nel futuro ci si potrà abbonare a un brand o acquistare i cartamodelli per produrre in autonomia a casa, con la stampante 3D, i capi che si vogliono indossare.
I consumatori, poi, pretendono di sapere tutto di ciò che indossano, poiché l’abbigliamento attuale è sprovvisto della etichettatura dei trattamenti chimici impiegati sul capo e quali altre sostanze sono state disperse nell’ambiente.
I capi non hanno una scadenza, eppure i tessuti perdono tono, i colori sbiadiscono e le cuciture cedono e, per smaltirli, occorrono moltissimi anni. In più, non sono realmente tracciabili: Made in Italy, ma con tessuti cinesi o bottoni fatti in Polonia.
Per sopperire a tutte queste lacune, al via nuove ricerche, sperimentazioni e studi complessi da parte dei brand. Nel 2030 ogni indumento riporterà la data di scadenza, la lista completa degli ingredienti e ne sarà tracciata la provenienza.
Falconeri, ad esempio, sta muovendo i primi passi nella produzione di cashmere sostenibile. Ha già prodotto la prima coperta in cashmere rigenerato, in vendita nelle sue boutique e on line, realizzata lavorando gli indumenti dismessi raccolti in tutta Italia.
Anche le piccole aziende spingono verso il marketing green. L’azienda FiliPari ha iniziato a produrre giacche con “Marm/More”, un tessuto realizzato con polvere di marmo che rende il capo impermeabile, traspirante e antivento. Inoltre la potenzialità della pietra dona colorazioni naturali e alta resistenza nel tempo. Un rivoluzionario esempio di economia circolare che usa prodotti italiani dell’industria della pietra.
Anche tessuti biomateriali con arance, uva e latte
Non esisteranno più i tessuti che indossiamo nella nostra quotidianità; nella moda sostenibile del prossimo futuro sarà impiegato il legno per le borse, il nylon riciclato per i piumini e la frutta per produrre capi biomateriali ed innovativi, senza mai, però, abbandonare lo stile.
Una vera e propria rivoluzione nel comparto tessile e manifatturiero che ha iniziato a spopolare in molte industrie. Orange Fiber, azienda siciliana, produce tessuti con bucce di arance spremute. La startup Vegea, invece, utilizza le bucce ed i semi dell’uva spremuta per ottenere il vino, per fare biomateriali non solo per la moda, ma anche per l’arredamento, l’automotive e l’imballaggio.
Altre aziende hanno iniziato ad utilizzare il latte nella produzione dei tessuti per t-shirt, usando, addirittura, un brevetto costruito negli anni ’30. Un’altra bizzarra curiosità di moda sostenibile e biomateriale riguarda una scienziata ambientale, Lisa Casali, che per il suo abito da sposa ha utilizzato gli schiavini, teli di lino usati per scolare la cagliata del formaggio.
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