Pensioni, Quota 100 potrebbe essere confermata ma con delle modifiche. L’assegno verrebbe ricalcolato con le regole del contributivo, ecco quanto si perde.
C’è l’idea per una nuova Quota 100 dal 2022: ne ha parlato l’Inps nella relazione annuale nella quale è stata fatta una previsione dei costi di tre misure di flessibilità nel caso in cui queste vengano introdotte dal prossimo anno.
Tra queste misure c’è appunto una nuova Quota 100 che tuttavia costerebbe meno della precedente: questa, infatti, avrebbe un costo di 1,2 miliardi subito per poi raggiungere il picco di 4,7 miliardi di euro nel 2027.
Ma com’è possibile che questa misura costerebbe meno rispetto alla vecchia Quota 100? Ciò verrebbe realizzato applicando due correttivi alla misura attuale:
- da una parte aumentando l’età minima per l’accesso alla pensione, fissandola a 64 anni (a fronte di 36 anni di contributi anziché 38);
- dall’altra prevedendo un ricalcolo contributivo della pensione.
Specialmente quest’ultimo correttivo renderebbe maggiormente sostenibile la nuova Quota 100, facendo gravare sul pensionato il costo dell’uscita anticipata dal mercato del lavoro. Ma quanto si perde? Facciamo chiarezza guardando ad alcuni esempi.
Quota 100: quanto si perde oggi e cosa cambia con il ricalcolo contributivo
L’attuale Quota 100 non prevede tagli sulla pensione per coloro che decidono di anticipare l’uscita dal lavoro. Tuttavia, fermarsi a 62 anni ha comportato comunque una riduzione dell’assegno rispetto a quello che sarebbe stato riconosciuto nel caso in cui si fosse rimasti a lavoro fino a 67 anni.
Questa riduzione, tuttavia, potrebbe essere persino più elevata nel caso della nuova Quota 100. Non solo, la pensione subirebbe lo svantaggio di tre anni di lavoro in meno: questa, infatti, pagherà anche le conseguenze del ricalcolo contributivo della pensione.
Per capire se, lato assegno, la nuova Quota 100 sarà più o meno vantaggiosa rispetto alla precedente, nonché per fare chiarezza su quanto si perderebbe nell’andare in pensione a 64 anni, possiamo vedere un esempio.
Quota 100, differenze tra vecchia e nuova: quanto si perde sull’assegno
Prendiamo come esempio un lavoratore che al compimento dei 62 anni ha raggiunto i 38 anni di contributi e quindi potrebbe andare in pensione con Quota 100.
Consideriamo anche che questo abbia:
- 15 anni di contributi nel regime retributivo;
- 23 anni di contributi nel regime contributivo;
- una retribuzione media annua di 30.000€ (lordi).
Per la parte calcolata con il retributivo non ci sono differenze nel caso in cui questo decida di andare in pensione con Quota 100 anziché con la pensione di vecchiaia aspettando i 67 anni, mentre le differenze ci sarebbero per la parte calcolata con il contributivo.
Nel dettaglio, se questo accettasse di andare in pensione a 62 anni, con un montante contributivo dunque pari a 227.700€ (9.900€ per ogni anno di lavoro) e un coefficiente di trasformazione del 4,770%, la pensione maturata sarebbe pari a circa 10.860€ (annui).
Se invece questo decidesse di continuare a lavorare per almeno altri cinque anni, andando dunque in pensione a 67 anni, la parte maturata con il contributivo sarebbe molto più alta. Lavorando per più anni, infatti, si avrebbe un montante contributivo più elevato: considerando che con una retribuzione media di 30.000€ si mettono da parte 9.900€ ogni anno, ne consegue che il montante contributivo con 28 anni di contributi sarebbe pari a 277.200€. Il coefficiente di trasformazione a 67 anni, inoltre, è anche più elevato in quanto pari al 5.575%. Ne consegue una pensione annua pari a 15.453,90€.
Un incremento, quindi, di circa 4.600€ l’anno, circa il 30% in più rispetto all’andare in pensione con Quota 100.
Calcoliamo anche la parte calcolata con il retributivo che come anticipato non cambia nei due casi. Considerando un’aliquota di rendimento del 2% per i 15 anni di contributi maturati ne consegue che per la parte retributiva l’interessato avrebbe diritto a una pensione pari al 30% della media delle ultime retribuzioni (30.000€ nel nostro caso) e dunque a 9.000€ (che si sommano alla parte calcolata con il contributivo).
Nel primo caso, quindi per chi va in pensione con Quota 100, ci sarebbe una pensione annua di 19.860€, nel secondo, per chi continua a lavorare fino a 67 anni, di 24.453€.
Cosa succede, invece, nel caso in cui questo dovesse decidere di andare in pensione con la nuova Quota 100? Intanto questo dovrebbe aspettare i 64 anni per andare in pensione, continuando a lavorare per altri due anni, e poi dovrebbe accettare un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno. Anche i 15 anni maturati nel retributivo, dunque, verrebbero calcolati con le nuove regole del contributivo.
Come cambierebbe l’assegno in questo caso? Intanto il montante contributivo non sarebbe più calcolato su 25 anni ma sull’intero periodo assicurativo, quindi su 40 anni. Lavorando per altri due anni, e aggiungendo gli altri 15, ne consegue dunque un montante contributivo di 396.000€.
A 64 anni poi cambierebbe anche il coefficiente di trasformazione: questo, infatti, è pari a 5,060%. Applicandolo al montante contributivo ne risulta dunque una pensione annua lorda di 20.037€, leggermente superiore a quello maturato con la vecchia Quota 100. Ma vanno considerati i due anni di lavoro in più, i quali senza il ricalcolo contributivo avrebbero avuto un peso molto maggiore. Rispetto all’aspettare i 67 anni, invece, ci sarebbe una penalizzazione appena inferiore al 30%.
Senza il ricalcolo contributivo, invece, questo avrebbe avuto diritto a 21.500€, con un taglio dunque di circa il 7%.
Conclusioni
Andare in pensione a 67 anni, continuando a lavorare fino alla fine, è sicuramente l’opzione più conveniente. Ma se dobbiamo guardare alla differenza che ci sarebbe tra la vecchia e la nuova Quota 100 possiamo dire che - lato assegno - non dovrebbero esserci chissà quali differenze.
La vecchia Quota 100 è comunque la più conveniente, poiché comunque - a parità di assegno - questa consente di ritirarsi dal lavoro con due anni di anticipo.
Nel caso in cui il Governo dovesse decidere in favore della nuova Quota 100, tuttavia, questa rappresenterebbe un buon compromesso per evitare che coloro che per pochi mesi non sono riusciti a raggiungere i 62 anni di età o i 38 anni di contributi richiesti vengano penalizzati dall’addio di Quota 100, rischiando di andare in pensione con cinque anni di ritardo.
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