Allarme infarto per chi guadagna meno, cosa dice un recente studio

Luna Luciano

05/10/2023

Uno studio ha dimostrato che esiste una correlazione tra il rischio di infarto e chi percepisce uno stipendio basso. Ecco cosa accade al nostro corpo quando siamo sottopagati.

Allarme infarto per chi guadagna meno, cosa dice un recente studio

Lavorare tanto e guadagnare poco è questo uno dei cocktail più pericolosi per la salute del nostro cuore. Un recente studio ha dimostrato, infatti, che lo stress causato dal lavoro, specie se si pensa di ricevere uno stipendio molto basso, aumenta i rischi di infarto.

Lo stress è indicato tra i fattori di rischio cardiovascolare, ma a segnalare come lo stress lavorativo, legato ad un grande impegno professionale e con ricompense economiche considerate insufficienti, possa influire sui rischi di infarto, è stata un’originale ricerca canadese apparsa su Circulation: Cardiovascolar Quality and Outcomes.

I risultati sono davvero preoccupanti. Tra i lavoratori di mezza età che non svolgono lavori manuali - i famosi “colletti bianchi” - l’impatto combinato dello stress e dello squilibrio fatica-ricompensa è risultato essere uno fattore determinante quanto quello dell’obesità sul rischio di malattia coronarica.

A fronte dell’ultimo quadro dipinto dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) sulle attuali condizioni lavorative in Italia, dal quale risulta che in Italia una buona parte del mercato del lavoro è rappresentato dal lavoro nero, precario e part-time, è quanto mai opportuno conoscere i risultati della ricerca e capire cosa accade al nostro cuore quando il lavoro ci causa stress e non viene nemmeno ricompensato equamente: ecco cosa dice lo studio.

Allarme infarto per chi guadagna meno, cosa dice un recente studio

Dall’indagine emerge chiaramente come il cocktail tra tensione lavorativa, squilibrio tra sforzi e stipendio, e sicurezza del posto di lavoro, possa diventare nocivo per la salute cardiaca. Addirittura radoppia il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, dall’infarto fino a condizioni più complesse. È questo ciò che ha dimostrato la ricerca del Centro Ospedaliero Universitario dell’Università Laval di Québec, coordinata da Mathilde Lavigne-Robichaud.

La ricerca si è concentrata sull’effetto combinato di stress lavorativo e basso riconoscimento economico. Secondo l’esperta, i pericoli sarebbero massimi quando - come scrive anche Repubblica - si verifica una discrepanza tra sforzi e ricompensa che pone sotto stress il cuore. Lavigne-Robichaud segnala che

Lo squilibrio tra impegno e ricompensa si verifica quando i dipendenti investono molto nel loro lavoro, ma percepiscono le ricompense che ricevono in cambio come insufficienti o ineguali rispetto allo sforzo.

Inoltre stando al lavoro, che ha esaminato per 18 anni poco meno di 6500 impiegati (da dirigenti a impiegati) di età media di 45 anni, senza patologie cardiovascolari al reclutamento nello studio, sarebbero gli uomini quelli che corrono il rischio maggiore. I dati hanno dimostrato come nei soggetti maschili lo stress lavorativo e lo squilibrio sforzo-ricompensa abbia causato un aumento del +49% del rischio di malattie cardiache. Mentre per la popolazione femminile appare necessario eseguire ulteriori studi mirati, in quanto è bene ricordare che i segnali di un infarto nell’uomo e nella donna si manifestano in maniera differente, e spesso i problemi di salute delle donne vengono invisibilizzate perché misurate su standard non corretti.

Allarme infarto per chi guadagna meno: ecco cosa accade al cuore

Ma cosa accade al nostro cuore, quando un basso stipendio e frustrazione incontrano lo stress lavorativo? Francesco Saia, presidente eletto del Gise (Società Italiana di Cardiologia Interventistica), ha provato a sciogliere tale dubbio.

Lo studioso che lavora presso il Policlinico Sant’Orsola di Bologna ha spiegato che stando a evidenze scientifiche suggeriscono che esistano almeno due modi in cui lo stress danneggia cuore:

  • tramite il Sistema simpatico. Tutto riguarda il sistema simpatico e il controllo della pressione sanguigna e del restringimento dei vasi sanguigni, causando infarti e altri problemi cardiovascolari;
  • tramite il Midollo osseo. Il secondo modo include l’attivazione del midollo osseo e il rilascio di cellule infiammatorie, che causano un’infiammazione aterosclerotica l’insorgenza di trombi.

Il rischio correlato tra stress e problemi cardiovascolari non sono correlati tra loro a causa di un singolo evento stressante, bensì da prolungati periodi di stress. E come ricorda il presidente Gise Giovanni Esposito, e direttore della Uoc di Cardiologia, Emodinamica e Utic dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, bisgona prendere in considerazione la notevole quantità di tempo che le persone trascorrono al lavoro.

Allarme infarto per chi guadagna poco: la soluzione è il salario minimo?

Inutile dire che il quadro che emerge è al quanto preoccupante, specialmente se si applicano questi risultati all’attuale quadro lavorativo in Italia. Il Cnel ha sottolineato che oltre il 50% dei dipendenti ha contratti scaduti da oltre 2 anni, a questo si aggiunge il troppo lavoro nero, precario e part-time e un’inflazione che erode il potere d’acquisto: un quadro che di sicuro è fonte di stress per qualsiasi lavoratore in Italia, figuriamoci per chi riceve un basso stipendio.

Ma quali possono essere le soluzioni per tutelare la salute dei lavoratori in Italia? Sicuramente il primo passo potrebbe essere il riconoscimento di un salario minimo. E se al momento il Governo non si mostra disposto ad adottare una legge che stabilisca il salario minimo, il primo passo lo ha fatto proprio in questi giorni la Corte di Cassazione, che ammette l’esistenza del “lavoro povero” e stabilisce che il magistrato può individuare un “salario minimo costituzionale” assicurando una “vita dignitosa” al lavoratore.

Ancora Mathilde Lavigne-Robichaud suggerisce di offrire sostegno psicologico per i lavoratori, garantendo loro un ottimale equilibrio tra vita privata e professionale, fornendo feedback ai lavoratori sul proprio operato. Sembra quindi che l’Italia dovrà lavorare molto affinché lo stress lavorativo non incida sulla salute dei propri dipendenti.

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