Durante l’AI Week Gianluigi Greco ha parlato dello stato di salute del settore dell’intelligenza artificiale in Italia, in Europa e nel mondo, sottolineando alcune criticità nel panorama italiano
A che punto siamo con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in Italia? È stato questo il centro della presentazione di Gianluigi Greco, Presidente di Aixia, l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, durante l’AI Week.
L’evento, giunto alla terza edizione è organizzato da AI Spiegata Semplice, community fondata da Giacinto Fiore, Pasquale Viscanti, che ha l’obiettivo di mettere in contatto 20.000 manager italiani e le aziende operanti in quest’ambito per diffondere le possibilità di questa tecnologia.
Gianluigi Greco ha fatto il punto sul panorama dell’IA in Italia, dichiarando in apertura che “la storia dell’intelligenza artificiale è fatta di primavere e di inverni”.
Per Greco è necessario conoscere la storia di questa tecnologia e capire quali errori sono stati fatti in passato per poter evitare di ripeterli oggi.
Le stagioni, ha spiegato il presidente, si alternano dal 1943, quando si è sviluppata la teoria del connessionismo e lo studio delle reti neurali. Il primo periodo di oblio giunge intorno alla fine degli anni sessanta quando due famosi scienziati, Marvin Lee Minsky e Seymour Auber Papert, criticano in maniera estremamente convincente questa teoria e le tecnologie ad essa connesse.
Una nuova grande onda di entusiasmo è arrivata negli anni ottanta con i sistemi esperti, ossia macchine in grado di codificare e utilizzare la conoscenza degli esperti per aiutare le aziende a prendere decisioni strategiche.
Anche questa stagione è giunta però al termine nel 1991 quando ci si è resi conto che le aspettative e i risultati riposti in questa tecnologia non combaciavano.
La successiva stagione è iniziata secondo il presidente nel 2012, quando a una competizione internazionale di intelligenza artificiale sono state utilizzate di nuovo le reti neurali, già usate nella prima stagione dell’AI.
Oggi, sebbene il mondo si trovi in un momento favorevole per questa tecnologia, è necessario ricordare quali errori sono stati fatti in passato, cercando di capitalizzare al massimo il potenziale dell’intelligenza artificiale e mettendo in atto delle strategie di sviluppo adatte.
La stagione italiana dell’intelligenza artificiale
L’Italia si occupa da anni di intelligenza artificiale, l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale è nata addirittura nel 1988, più di trent’anni fa, e conta più di 1200 soci. Dal punto di vista universitario il Paese sta facendo molto bene: lo studio di questa tecnologia è condotto in circa 50 università in 200 curricula, fra cui troviamo alcuni poli di eccellenza come il Politecnico di Milano, casa dell’Osservatorio per l’Intelligenza Artificiale.
Gianluigi Greco ha comunque sottolineato che, sebbene in ambito universitario l’Italia stia lavorando bene, ci sono ancora molti aspetti su cui è necessario migliorare se vogliamo competere a livello globale; uno di questi è senza dubbio il trasferimento tecnologico, nel quale l’Italia risulta essere estremamente più indietro a Paesi come la Germania, è perciò necessario, ha detto Greco “allineare la ricerca al tessuto produttivo”.
La competizione internazionale per il primato nel settore dell’IA
Per essere competitiva a livello internazionale l’Italia ha bisogno di collaborare in chiave europea per poter riuscire a confrontarsi con la Cina e gli Stati Uniti, al momento primi nel settore. Le due grandi potenze hanno fatto di questo ambito un terreno di competizione sul quale hanno investito massivamente, lasciandosi gli altri competitor alle spalle.
L’Europa dal canto suo, ha preferito, investire su un’intelligenza artificiale più antropocentrica e affidabile, cosicché questa non rappresenti un rischio per le persone, cosa che invece ha fatto talvolta negli Stati Uniti, quando, ad esempio, una donna è stata investita e uccisa da un’automobile a guida autonoma.
Per far ciò l’Europa ha implementato una regolamentazione per l’intelligenza artificiale il cui obiettivo principale è quello di stabilire quali sono i maggiori rischi e evitare che questi si concretizzino per le persone.
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