Secondo quanto emerso da un’analisi condotta a CryptoMonday, l’elettricità necessaria per creare un singolo Bitcoin è pari a quella consumata da una famiglia intera in nove anni.
Nonostante il crollo importante subito negli ultimi mesi, i Bitcoin sono ancora la criptovaluta per antonomasia, nota anche a chi sa poco o nulla di questo mondo di valute digitali. Meno conosciuta, invece, è la quantità di energia necessaria per il mining, il processo tramite il quale sono generate nuove unità della moneta virtuale. Secondo quanto emerso da un’analisi condotta da CryptoMonday, l’elettricità necessaria per creare un singolo Bitcoin è pari a quella consumata da una famiglia intera in nove anni.
Quanti kWh consumano i Bitcoin?
Nello specifico, i dati riportati indicano che il consumo energetico della rete di Bitcoin sarebbe di almeno 127 terawattora all’anno. Ogni singola transazione di Bitcoin consuma 707 kWh, 11 volte di più rispetto a Ethereum. Per fare un confronto, lo stesso risultato con una carta Visa si raggiungerebbe solo dopo centinaia di migliaia di transizioni. Jonathan Merry, il Ceo di CryptoMonday, spiega che il mining è un “processo ad alta intensità energetica”. Ciò è legato alla necessità di utilizzare computer sempre più potenti per risolvere operazioni sempre più complesse mano a mano che vengono estratti più Bitcoin. “La grande quantità di elettricità richiesta per alimentare questi computer è uno dei maggiori ostacoli alla redditività del mining di Bitcoin”, sottolinea Merry.
Perché i Bitcoin consumano tanta energia?
Molti analisti hanno individuato nel sistema proof-of-work, utilizzato per verificare le transazioni, la causa principale di questo elevato consumo di energia. L’algoritmo sul quale è basato richiede ai miner di risolvere complessi problemi matematici per aggiungere nuovi blocchi alla blockchain, costringendoli ad affidarsi a computer sempre più performanti ed energivori. Naturalmente anche la situazione geopolitica ha un certo peso sull’aumento del costo dell’energia consumata.
Le circostanze attuali stanno rendendo il mercato sempre meno profittevole e sono pochi i miner che riescono a guadagnare cifre elevate grazie ai Bitcoin. Tutto potrebbe migliorare con l’introduzione di tecnologie capaci ci rendere più efficiente il processo e ridurre la quantità di elettricità richiesta, ma non sembra uno scenario destinato a concretizzarsi nel breve periodo. Potrebbero volerci perlomeno dei mesi per vedere un cambiamento concreto su questo fronte.
È però opportuno notare che gli esperimenti in tal senso non mancano. Ethereum, per esempio, è da tempo al lavoro su un aggiornamento in ottica green del metodo di estrazione. La nuova modalità prevede la fusione della catena EH1 della criptovaluta con una nuova catena, creata per realizzare ETH2 su una piattaforma blockchain, e il passaggio dal metodo di estrazione proof-of-work al meno energivoro proof-of-stake. Il tutto potrebbe diventare il nuovo standard della piattaforma entro la fine dell’anno e aprire la strada a una svolta green anche per le altre criptovalute.
Inoltre, la società statunitense Sazmining ha deciso di sfruttare il momento di crisi dei Bitcoin per acquistare dei mining rig, hardware necessari per generare nuovi Bitcoin, a un prezzo scontato e usarli per estrarre nuove unità della criptovaluta con energia generata al 100% da fonti rinnovabili. È importante notare, infatti, che al momento il mining si basa per il 62% sulle fonti fossili (nel 2021 si parlava del 65%). L’uso delle fonti rinnovabili, invece, è passato dal 35% al 38%.
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