L’obiettivo ambizioso dell’Oms, far smettere al mondo di fumare, è condiviso e rilanciato da un colosso del tabacco come Philip Morris che sta investendo in innovazione e tecnologia a induzione.
C’erano una volta le sigarette, ci sono ancora, ma fra qualche decina d’anni non ci saranno più. Il che non significa che si smetterà di fumare, purtroppo. Lo si farà ancora, ma in modo diverso.
A stabilirlo è, ancora una volta, l’innovazione, che in questi anni ha dato vita a nuovi prodotti tecnologici che non prevedono combustione.
Croce e delizia di tabaccai e negozi specializzati, questi nuovi prodotti hanno già una quota di mercato non indifferente, che varia da paese a paese (11% della popolazione fumatrice italiana, dati Eurispes, 30% di quella francese, 50% di quella inglese) ma si apprestano a compiere un balzo in avanti definitivo grazie alla ricerca e sviluppo riguardante la tecnologia a induzione.
Smettere di fumare sigarette dopo 200 anni
Così come le conosciamo oggi, le sigarette sono nate durante la guerra di Crimea (1853), luogo geopolitico che, caso vuole, è tornato di attualità in questi anni.
Al tempo i soldati avevano imparato a riutilizzare i piccoli involucri di carta che contenevano la polvere da sparo con cui alimentare i loro fucili, riempiendoli, una volta svuotati, di tabacco da fumo (da qui anche, se volete, si trae il nome di “cartuccia” per definire i colpi utilizzati dalle armi).
Ma complice la tecnologia di una grande multinazionale del tabacco come Philip Morris, la vita delle sigarette è probabilmente destinata a durare giusto due secoli.
Se le cose, infatti, andranno come la ricerca e sviluppo dell’industria del tabacco e l’innovazione tecnologica stanno predisponendo, è presumibile che alla metà del secolo in corso chi vorrà continuare a fumare lo farà solamente con dispositivi tecnologici. Vuoi per scelta, vuoi per necessità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha da tempo adottato una campagna di sensibilizzazione molto chiara per convincere chi ama fumare e per scoraggiare chi si avvicina alla pratica che è causa di 8 milioni di morti all’anno (a cui se ne aggiungono 600mila causati da fumo passivo), basata su due regole nette: se non fumi non iniziare a farlo, se fumi smetti.
Philip Morris ne aggiunge una terza: se non vuoi smettere di fumare, cambia il modo di farlo.
Si può fumare in modo diverso
Come ha spiegato Tommaso Di Giovanni, vice presidente della comunicazione di Philip Morris, dal 2016 la multinazionale del tabacco ha preso l’impegno di eliminare le sigarette, sostituendole con prodotti senza combustione, che riducono i componenti nocivi del fumare, basati su scienza e tecnologia. Con 9 miliardi di dollari globalmente investiti in innovazione, impiegando 900 fra scienziati, tecnici, ingegneri, i prodotti senza fumo di Philip Morris sono ora presenti in 70 paesi, Giappone compreso.
Come ha detto Stefano Volpetti, presidente Smoke Free Products e Chief Consumer Officer di Philip Morris International, l’obiettivo per il 2025 è allontanare dalle sigarette tradizionali 40 milioni di fumatori convertendoli ai prodotti senza combustione, (che diventano 55 milioni con coloro che nel frattempo avranno smesso di fumare), un numero quattro volte più alto di quello degli obiettivi dell’OMS. E un obiettivo che genererà più della metà dei ricavi della multinazionale.
Iqos ha già nel mondo 19,5 milioni di utenti, 2,5 sono in Italia.
Ora arriva sul mercato la sua evoluzione ad alta tecnologia, ideata per non avere residuo, nessuna necessità di pulizia e meno odore, per essere meno nociva e che contribuirà ad accelerare l’eliminazione delle sigarette a livello globale.
L’innovazione della tecnologia a induzione
Si tratta di Iqos Iluma, disponibile in Italia in due versioni dal 13 dicembre: Iqos Iluma (89 euro) e Iqos Iluma Prime (129 euro).
La sua nuova tecnologia di riscaldamento a induzione non prevede più la presenza della lamina all’interno del dispositivo, eliminando i residui di tabacco e quindi la necessità di tenere pulito il dispositivo.
Un nuovo elemento riscaldante, di metallo rivestito in acciaio inox, inserito nello stick, si occupa di trasferire il calore e riscaldare il tabacco dall’interno (Smartcore induction System).
Anche gli stick sono nuovi: si chiamano Terea e vengono prodotti a Bologna per tutto il mondo. Completamente sigillati, sono già esportati in Giappone, Spagna, Grecia, Portogallo.
Come ha detto l’ad di Philip Morris Italia, Marco Hannappel, l’innovazione è fatta di impianti produttivi, sistemi, organizzazione aziendale in tutta la filiera del tabacco.
L’Italia è il maggiore produttore di tabacco greggio e sempre in Italia c’è dal 2016 il più grande stabilimento di Philip Morris al mondo, che collega una filiera da 38mila posti di lavoro (circa 7.500 aziende) che, dalla coltivazione alla trasformazione, dalla produzione alle esportazioni, pesa mezzo punto di Pil, 8,8 miliardi di euro.
In base a un accordo fatto con Coldiretti 20 anni fa (che è diventato il benchmark di tutti gli accordi Coldiretti per l’agroalimentare con le multinazionali) Philip Morris si impegna a comprare circa il 50% dell’intera produzione nazionale di tabacco dalle circa1.000 aziende agricole partner (20mila dipendenti).
Il polo produttivo di Bologna è un ecosistema industriale nato nel 2016 con un investimento da un miliardo, che con un ulteriore investimento di 600 milioni di euro in tre anni punta a creare 8.000 posti di lavoro nell’indotto.
Centro per eccellenza industriale, una fabbrica di fabbriche che da aprile 2022 è collegato al Bologna Institute for manufacturing competences, un centro di formazione in partnership con varie università (Bologna, Politecnico di Torino e di Bari).
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