Oggi alle 7, l’Ucraina blocca il punto di ingresso di Sokhranivka, transito di un terzo dei flussi verso l’Europa. Ufficialmente, motivi di sicurezza. Casualmente, dopo l’incontro fra Draghi e Biden
Le coincidenze esistono. Ma quasi sempre, solo per essere smentite. E svelate. L’unica certezza è che l’operatore ucraino che gestisce i due punti di ingresso del gas russo verso l’Europa ha comunicato come dalle 7 di questa mattina, il sistema di pipeline Sokhranivka sarà chiuso a tempo indeterminato per ragioni di sicurezza.
La GTSO ha infatti reso noto che, dopo svariati avvertimenti in tal senso inviati a Gazprom, l’operatività di milizie filo-russe ed esercito di Mosca nell’area del sistema di compressione di Novopskov nella regione separatista di Lugansk non permette più il pieno controllo delle regolari attività di transito. Quindi, si chiude. E quel varco consente il passaggio di un terzo di tutto il gas russo verso la Polonia e poi in Germania.
E che la minaccia rischi di essere seguita dai fatti lo dimostra quanto riportato da Bloomberg: già nel pomeriggio di ieri, dal punto di transito di Sokhranivka passava solo il 27% del flusso, mentre il resto era già stato deviato verso Sudzha.
E un’ulteriore, implicita conferma dell’innalzamento dell’asticella di ricatto da parte di Kiev è rappresentata in questi due grafici,
i quali mostrano plasticamente la reazione dei prezzi futures di gas europeo e statunitense alla conferma della notifica dello stop. Ed ecco iniziare la fiera delle coincidenze, tutte politiche. Dopo giorni di basso profilo e un appello a non umiliare Mosca nella ricerca di una mediazione, Emmanuel Macron ha aperto all’ipotesi di rapida approvazione di un embargo energetico verso la Russia. E mentre la Germania taceva, fonti europee facevano trapelare l’indiscrezione di una discussione già in atto rispetto a un’emissione da 15 miliardi di euro per finanziare l’inizio della ricostruzione in Ucraina. Di fatto, eurobond per un Paese non europeo. Per quanto, però? Poco, perché sempre ieri Ursula Von der Leyen rompeva gli indugi e rendeva noto come un parere sull’adesione di Kiev sarà atteso già per il mese di giugno.
Il tutto dopo una call con il presidente Zelensky e all’indomani di un G7 totalmente monopolizzato dalle posizioni Usa e Nato. E senza che Commissione ed Europarlamento, apparentemente, abbiamo discusso ufficialmente rispetto a un processo-lampo senza precedenti. Infine, la ciliegina sulla torta. Ovvero, l’incontro alla Casa Bianca fra Joe Biden e Mario Draghi, definito dal presidente Usa nientemeno che l’uomo che ha saputo unire la Nato e l’Ue. E sempre in ossequio al caso, proprio mentre al centro della discussione c’era la fornitura di gas naturale liquefatto statunitense all’Europa per aiutare la transizione dalla dipendenza russa.
Insomma, in un pomeriggio si sono concentrate scelte, dichiarazioni e mosse che non avevano trovato cittadinanza in settimane di continui stop-and-go. Soprattutto, nel pieno di quello che appariva un principio di ammutinamento europeo rispetto all’oltranzismo di Washington e dell’Alleanza atlantica, tanto da aver spinto Emmanuel Macron a interpellare Xi Jinping per ottenere l’impegno a una mediazione forte e che fosse alternativa a quella a doppio taglio della Turchia. Ovviamente, solo coincidenze. Nessuna agenda parallela e sotterranea. Ma una certezza: se a ricattare con il gas è il presidente Zelensky, la pratica in questione rientra nella realpolitik. Tanto da apparire quasi elegante.
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