L’illusione della conoscenza: quando l’essere umano pensa di sapere tutto ma così non è. Quale futuro per la nostra società?
L’illusione della conoscenza - quando l’uomo è convito di sapere ma così non è.
Le persone hanno una conoscenza limitata. Il rimedio? Nessuno lo conosce.
Ne “L’illusione della conoscenza”, (“The Knowledge Illusion”), gli scienziati cognitivi Steven Sloman e Philip Fernbach pongono l’attenzione sull’individuo razionale. Tra il 17° e il 20° secolo, il pensiero occidentale ha dipinto i singoli esseri umani come agenti razionali indipendenti, poggiando di conseguenza su queste creature mitiche le basi della società moderna. La democrazia è fondata sull’idea che l’elettore sappia cosa sia meglio, il capitalismo del libero mercato crede che il cliente abbia sempre ragione e l’educazione moderna cerca di insegnare agli studenti a pensare autonomamente.
Negli ultimi decenni, tuttavia, l’ideale dell’individuo razionale è stato attaccato da tutti i fronti. Molti lo hanno definito come una fantasia occidentale sciovinista, che glorifica l’autonomia e il potere dei bianchi. Gli economisti comportamentali e gli psicologi evolutivi hanno dimostrato che la maggior parte delle decisioni umane si basano su reazioni emotive e scorciatoie euristiche piuttosto che su analisi razionali e che, nonostante le nostre emozioni siano state forse adatte ad affrontare la savana africana nell’età della pietra, sono tristemente inadeguate ai fini di affrontare la giungla urbana dei giorni d’oggi.
Sloman e Fernbach, gli autori di “L’illusione della conoscenza”, sostengono tale argomento, postulando che non solo la razionalità, ma l’idea stessa del pensiero individuale è un mito. Gli umani pensano raramente da soli. Piuttosto, pensiamo in gruppo. Proprio come è necessaria una “tribù” per crescere un bambino, ci vuole anche una “tribù” per inventare uno strumento, risolvere un conflitto o curare una malattia. Nessuno sa da solo tutto ciò che serve per costruire una cattedrale, una bomba atomica o un aereo. Ciò che diede all’Homo sapiens un vantaggio su tutti gli altri animali e che ci trasformò nei padroni del pianeta non fu la nostra razionalità individuale, ma la nostra incomparabile capacità di pensare insieme in grandi gruppi.
Come dimostrano Sloman e Fernbach in alcune delle parti più interessanti e controverse del libro, i singoli essere umani conoscono poco il mondo, e man mano che la storia progredisce arrivano a conoscerlo sempre meno.
Un cacciatore nell’età della pietra sapeva come produrre i propri vestiti, come accendere un fuoco da zero, come cacciare i conigli e come sfuggire ai leoni. Oggi pensiamo di sapere molto di più, ma come individui in realtà sappiamo molto meno. Ci affidiamo all’esperienza degli altri per quasi tutti i nostri bisogni. In occasione di un esperimento a dir poco umiliante, alla gente è stato chiesto di valutare quanto bene conoscessero il funzionamento di una cerniera. La maggior parte delle persone ha risposto con sicurezza di conoscere la questione molto bene, dopotutto usano sempre le cerniere lampo. Poi è stato chiesto loro di spiegare come funziona una cerniera, descrivendo nel modo più dettagliato possibile tutti i passaggi coinvolti nell’operazione della chiusura lampo. La maggior parte non ne aveva idea. Questa è l’illusione della conoscenza. Pensiamo di sapere molto, anche se singolarmente sappiamo molto poco, perché trattiamo la conoscenza nella mente degli altri come se fosse la nostra.
Il che non è necessariamente un male, comunque. La nostra fiducia nel pensiero di gruppo ci ha resi maestri del mondo e l’illusione della conoscenza ci permette di vivere la vita senza essere presi da uno sforzo impossibile per capire tutto da soli. Da una prospettiva evolutiva, la fiducia nella conoscenza degli altri ha funzionato molto bene per gli esseri umani.
Tuttavia, l’illusione della conoscenza ha anche il rovescio della medaglia. Il mondo sta diventando sempre più complesso e le persone non riescono a rendersi conto di quanto siano ignoranti su ciò che sta accadendo. Di conseguenza, alcuni tra chi non conosce quasi nulla della meteorologia o della biologia, partecipano tuttavia a dibattiti sul cambiamento climatico e sulle colture geneticamente modificate, mentre altri hanno opinioni estremamente forti su ciò che dovrebbe essere fatto in Iraq o in Ucraina senza neanche sapere dove sono collocati geograficamente.
Secondo Sloman (professore alla Brown University e direttore della rivista Cognition) e Fernbach (professore alla Leeds School of Business dell’Università del Colorado), è improbabile che le persone con una maggiore conoscenza possano migliorare le cose.
Gli scienziati sperano di dissipare i pregiudizi dell’antiscienza con una migliore educazione scientifica e gli esperti sperano di influenzare l’opinione pubblica su questioni come il riscaldamento globale presentando al pubblico fatti accurati e relazioni di esperti. Tali speranze sono fondate su un fraintendimento su come gli umani pensano effettivamente. La maggior parte dei nostri punti di vista è plasmata dal pensiero di gruppo comune piuttosto che dalla razionalità individuale, e ci aggrappiamo a queste opinioni a causa della lealtà al gruppo. Bombardare le persone con i fatti e sottolineare la loro ignoranza individuale rischia di ritorcersi contro. Alla maggior parte della gente non piacciono troppi fatti, e di certo non amano sentirsi stupidi.
Infatti, gli scienziati che credono che i fatti possano cambiare l’opinione pubblica possono essere essi stessi come vittime del pensiero di gruppo scientifico. La comunità scientifica crede nell’efficacia dei fatti, quindi coloro che sono fedeli a quella comunità continuano a credere di poter vincere i dibattiti pubblici presentando i fatti giusti, nonostante molte prove empiriche del contrario. Allo stesso modo, la tradizionale credenza nella razionalità individuale può essere essa stessa il prodotto del pensiero di gruppo piuttosto che dell’evidenza empirica.
Nei prossimi decenni, il mondo probabilmente diventerà molto più complesso di quanto non lo sia oggi. Di conseguenza, gli individui umani conosceranno ancora meno i gadget tecnologici, le correnti economiche e le dinamiche politiche che danno forma al mondo.
Come potremmo quindi dare autorità a elettori e clienti che sono così ignoranti e suscettibili alla manipolazione?
Se Sloman e Fernbach hanno ragione, presentare ai futuri elettori e clienti degli ulteriori fatti difficilmente risolverebbe il problema. Quindi qual è l’alternativa? Sloman e Fernbach non hanno una soluzione. Suggeriscono alcuni rimedi, come offrire semplici regole empiriche («Risparmia il 15% del tuo reddito», per esempio), educando le persone sulla base del breve termine (insegnando loro come gestire la disoccupazione immediatamente dopo un licenziamento, ad esempio) e incoraggiare le persone ad essere più realistiche riguardo alla loro ignoranza.
Ciò sarà appena sufficiente, ovviamente.
Fedeli al loro consiglio, Sloman e Fernbach sono ben consapevoli dei limiti della loro stessa comprensione e sanno di non conoscere la risposta. Con ogni probabilità, nessuno la sa.
Trattazione ripresa da un articolo apparso su The New York Times.
© RIPRODUZIONE RISERVATA