La vera e propria crisi post-coronavirus inizierà a settembre, ed esploderà anche senza una nuova ondata di contagi. L’analisi
Fino ad oggi gli analisti hanno formulato funeste previsioni sul futuro dell’Italia e del mondo, partendo dall’ipotesi di una nuova ondata di contagi.
Si pensi soltanto all’OCSE, secondo cui il PIL tricolore crollerà del 14% nello scenario peggiore.
In un articolo comparso su Milano Finanza, però, il portfolio manager di Lemanik Maurizio Novelli ha definito inutile ipotizzare le conseguenze di una seconda ondata di contagi (già in parte scontate) e ha preferito analizzare cosa potrebbe accadere in uno scenario COVID-free.
Crisi esploderà a settembre: l’analisi
Secondo l’esperto, il settore finanziario non ha ben compreso la portata dello shock e delle sue implicazioni di lungo termine, soprattutto sull’economia reale. Per dirla con le sue stesse parole, la crisi finanziaria sarebbe scoppiata anche senza coronavirus.
Già prima della pandemia, l’economia mondiale si era mostrata particolarmente vulnerabile sia al debito che alla leva finanziaria speculativa. Lo shock da COVID-19 ha soltanto messo in luce problemi già evidenti:
“Se si continua ad insistere nell’attribuire a un virus, e cioè a un fattore esterno, il motivo della crisi che ci attende, si continua a negare l’evidenza di un modello finanziario ed economico che funziona solo con eccesso di leva, compressione dei redditi, ampio debito speculativo e pochi investimenti nell’economia reale, un modello che non è sostenibile,”
ha dichiarato Novelli, secondo cui la forza di un’economia non dipende dalla quantità del debito che riesce a produrre, ma dalla sua qualità e dal modo in cui esso viene utilizzato per favorire un miglioramento dei redditi reali.
Il vero problema, ha continuato, non è se la crisi arriverà, ma come le economie (e dunque il sistema) saranno in grado di reggere l’urto in tempi brevi. Tempistiche troppo ampie aumentano infatti rischi di implosione e instabilità di lungo termine.
Il ruolo delle banche centrali
I mercati si sono affidati in maniera evidente alle banche centrali e si sono sentiti così sicuri da compiere “eccessi speculativi destabilizzanti”. La liquidità però non è la soluzione a tutto. Essa potrebbe essere infinita ma non è detto che chi ne dispone la indirizzerà sempre verso chi ne ha bisogno se chi ne ha bisogno non è in grado di restituirla. “Chi di voi presterebbe soldi a chi è a rischio di fallire?”
Fondamentale in tal senso la propensione al rischio del sistema creditizio (banche, investitori ecc..) attualmente messa con le spalle al muro dall’emergenza. Se la liquidità generata dal Quantitative Easing della BCE non si trasformerà in credito, ha previsto l’esperto, il sistema dovrà fare i conti con un credit crunch.
“La crisi non finisce dunque con la fine del lockdown ma inizia quando cominciano a manifestarsi gli eventi di credito (i fallimenti) e quindi comincia adesso. Gli eventi di credito infatti incidono sulla propensione al rischio di chi dovrebbe dare credito al sistema. In media le recessioni negli Stati Uniti durano circa 13 mesi, ma nel 2008 sono stati 18, e potrebbero essere 13/18 mesi lunghissimi per il potenziale squilibrio tra liquidità e solvibilità”.
Negli ultimi due mesi (e nonostante il ruolo della Federal Reserve) negli Stati Uniti sono fallite 1.600 aziende al giorno e il credito al consumo per consumatore è crollato. Per Novelli, che ha calcato sulla differenza fra liquidità e solvibilità, i default continueranno a salire nonostante i sussidi alla disoccupazione erogati, cosa che a sua volta potrebbe generare una crisi di solvibilità delle aziende.
Ma allora a cosa serve la liquidità delle banche centrali se non riesce a prevenire i fallimenti? Secondo il portfolio manager di Lemanik esisterebbe un meccanismo psicologico mirato a tenere i soldi nel sistema, facendo credere agli investitori che liquidità e solvibilità siano la stessa cosa.
“Questo meccanismo psicologico induce a non vendere e in questo modo sono gli stessi investitori che, mantenendo la loro liquidità investita, sostengono un sistema che diversamente andrebbe in default in un colpo solo. In pratica la strategia consiste nel cercare di mantenere il più possibile tutti investiti, perché la vostra liquidità è molto maggiore di quella della Fed e in realtà non è la liquidità della Fed che sostiene il sistema ma la vostra”.
Sistema fuori controllo
Dal 2008 in poi le grandi banche centrali mondiali hanno reso i portfolio manager dei “meri cacciatori di rendimento” che hanno iniziato ad investire su asset a elevati yield, sicuri della protezioni degli istituti.
La propensione al rischio del sistema è aumentata e il credito speculativo è esploso:
“consentendo l’emissione di circa 19 mila miliardi di dollari di obbligazioni da parte di emittenti che, con i loro ricavi, non riuscivano neppure a pagare gli interessi passivi sul debito emesso neanche in una fase di espansione dell’economia. Se ora molte di queste emissioni faranno default, non si potrà certo attribuire la colpa a un virus, ma piuttosto a un sistema totalmente fuori controllo.”
Le banche centrali hanno iniziato a comprare corporate bonds, High Yields e via dicendo per salvare il sistema, trascurando le conseguenze di lungo termine di queste azioni, ha dichiarato Novelli, che ha messo a paragone la crisi attuale con quella del 1929.
Al centro della sua analisi quello che ha definito come un modello basato sui profitti generati dall’eccesso di leva e da una finanza fuori controllo, un modello fallimentare che ha prodotto una nazionalizzazione del sistema a causa della speculazione, come nel ’29.
I mercati hanno dato per scontato un recupero facile, ma per Novelli non sarà così: la ripresa si rivelerà lenta, ma soprattutto deludente e non sarà sufficiente stampare nuova moneta per aggiustare le cose.
“Difendere a oltranza un modello di crescita che non produce più ricchezza (se non per pochi) ma solo debiti (per molti) sarà probabilmente l’errore fatale”.
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