Da un’idea semplice a geniale oltre 10 anni fa è nata Tether, stablecoin ancorata al dollaro che ha conquistato il mondo. Il CEO Paolo Ardoino ci racconta la sua storia di successo.
Una “geniale semplicità insita nell’idea e nella sua esecuzione”. Una rapida evoluzione fino a diventare la stablecoin più influente nel panorama delle criptovalute. Tutto per creare un token dal valore stabile in un mercato crypto altamente volatile. E tutto pensato da menti italiane.
Ma cosa - o meglio, chi - c’è dietro Tether? Lo abbiamo chiesto a Paolo Ardoino, CEO della società che con il token condivide il nome.
All’epoca della sua creazione, 2013, convertire criptovalute in valuta fiat era un processo complesso e inefficiente. Giancarlo Devasini, con l’intuizione di accostare il dollaro statunitense alla blockchain, riuscì a sviluppare un token ancorato al dollaro, chiamato USDt, che garantiva un valore stabile e una conversione rapida, elemento a dir poco rivoluzionario per l’intero settore.
Ma all’inizio non era affatto semplice convincere gli utenti a fidarsi di una simile innovazione tecnologica, dato che il concetto di stablecoin era pressoché sconosciuto. Nonostante scetticismo, ostacoli sul fronte della regolamentazione e tentativi di hacking, Tether è riuscita a democratizzare l’accesso alla finanza globale, integrandosi efficacemente sia nell’economia crypto che in quella tradizionale.
Un’idea semplice quanto efficace, dal valore di miliardi di dollari. Oggi Tether è la terza criptovaluta più potente al mondo per capitalizzazione di mercato. E per volumi di scambio supera anche Bitcoin.
Il segreto del suo successo? Di questo - e molto altro - abbiamo parlato con Paolo Ardoino.
Domanda: Fare impresa nel mondo delle criptovalute oggi può sembrare una scelta banale, persino inflazionata. Ma non era così 10 anni fa e oltre. Come le è venuta l’idea e quanto è stata dura all’inizio?
Risposta: «L’idea di Tether è di Giancarlo Devasini, che ha osservato un problema concreto del mondo cripto: la necessità di una token dal valore stabile. Nel 2013, infatti, convertirle tra loro e in valuta fiat era un processo complesso e lungo, che portava con sé una forte inefficienza. Serviva quindi un ponte tra l’economia reale e quel mondo, che ne sfruttasse le tecnologie e permettesse scambi più efficienti per gli utenti, in ogni direzione, consentendo anche l’utilizzo efficace delle valute digitali nella quotidianità.
Così, accostò la moneta più scambiata al mondo, il dollaro statunitense, alla blockchain, ancorando un token, chiamato USDt, al valore di un dollaro, garantendo la possibilità di conversione totale e in tempo reale (Tether mantiene il 100% delle proprie riserve in asset liquidi, ben oltre il 10% delle riserve che le banche garantiscono).
L’inizio è stato tutt’altro che facile, perché convincere le persone dell’importanza di questa innovazione tecnologica chiamata stablecoin, quando il concetto era quasi sconosciuto, è stata una sfida enorme. L’abbiamo accolta, affrontando scetticismo, ostacoli regolatori e tentativi di hacking. Ma la visione era chiara: democratizzare l’accesso attivo alla finanza globale, sia cripto che fiat.
Abbiamo continuamente affinato il nostro modello, costruendo fiducia in un ecosistema completamente nuovo, che oggi si muove verso l’accettazione mainstream. Oggi, vedere il nostro USDT quale parte integrante dell’infrastruttura finanziaria globale è gratificante, con più di 350 milioni di utenti principalmente nei mercati emergenti, ma ricordo bene quanto siano stati difficili i primi tempi, quando mi occupavo dello sviluppo informatico e crittografico».
D: Qual è il segreto dietro il grande successo di quest’ultima rispetto alle alternative nate nello stesso periodo?
R: «Si tratta di una combinazione di fattori chiave. Anzitutto, come per ogni impresa, il tempismo: Tether è stata la prima a riconoscere e rispondere davvero all’esigenza di disintermediazione del mondo dei pagamenti.
Secondariamente, ma non in ordine di importanza, appunto, l’efficacia di questa risposta, la geniale semplicità insita nell’idea e nella sua esecuzione. In terzo luogo, la capacità di costruire trust soprattutto verso i nostri utilizzatori.
Abbiamo sempre puntato sulla trasparenza, anche nei momenti difficili, in primo luogo comunicando direttamente con loro e poi pubblicando regolarmente report sulle nostre riserve e collaborando proattivamente con ogni genere di autorità normativa e investigativa, stante la novità che rappresentavamo, la quale generava timore nella finanza tradizionale e tra le istituzioni.
Infine, abbiamo lavorato instancabilmente per garantire la liquidità di Tether, rendendo resiliente il sistema che la regge, solido ma flessibile rispetto a ogni worst case scenario».
D: A oggi, Tether è la terza criptovaluta più grande al mondo, con una market cap che supera i 119 miliardi di dollari e un volume di scambi di oltre 56 miliardi ogni 24 ore - un dato quasi triplicato in un solo anno e ben al di sopra degli scambi giornalieri di Bitcoin, che si trova a quota 29. Cosa fa girare così velocemente i soldi nel mondo Tether?
R: «I numeri che citi ci rendono fieri, ma ancor di più il fatto di avere oltre 350 milioni di utilizzatori, che significa impatto esteso e crescente adozione di USDT in mercati emergenti come soluzione per anti-inflazione e anti-volatilità, per garantire le rimesse internazionali e a soggetti lasciati indietro, dimenticati, dal mondo bancario, l’ingresso che meritano nel sistema finanziario.
La velocità di circolazione di USDT, poi, è ovvio, è anche dovuta al trading di criptovalute, poiché la stabilità del token lo rende il ’rifugio sicuro’ preferito da chi effettua operazioni tra cripto e anche verso le valute fiat.
Inoltre, Tether è ampiamente utilizzato per il trasferimento di valore tra exchange, perché offre velocità superiori e costi inferiori rispetto ad altre modalità transattive, e infinitesimali rispetto a quelle bancarie: questo facilita l’arbitraggio e dunque il volume di movimenti. La nostra presenza su multiple blockchain, e oggi anche su Telegram, infine, aumenta l’accessibilità e la versatilità della stablecoin».
D: Tornando ai motivi del successo di Tether, in passato ha dichiarato che “non tutto il mondo è già pronto per il Bitcoin”. Cosa distingue le due realtà? Pistola alla testa, una persona dovrebbe decidere di comprare BTC o USDT?
R: «Pistola o no, scopi diversi, risposte diverse. USDT è centralizzato, offre stabilità, accessibilità e garantisce di disporre di valore immutato per transazioni quotidiane a breve termine e conservazione di risparmi a medio e lungo termine per chi - volente o nolente - è risk-adverse.
BTC, invece, è ciò che ci ispira e che divulghiamo, poiché in azienda ci riteniamo bitcoiners e libertari in senso assoluto: totale decentralizzazione, certezza, crittografia e sicurezza inoppugnabili, limitato in numero di coins e dunque valore in crescita a lungo termine. Un modello che, da matematico, oserei definire perfetto. USDT è soprattutto un facilitatore di scambi, BTC soprattutto una riserva di valore».
D: Un ruolo cruciale nel sistema di Tether è giocato dal dollaro statunitense. Le imminenti elezioni presidenziali e le prospettive 2025 influiranno sull’adozione di USDT?
R: «Le elezioni USA sono un evento significativo, ma USDT è progettato per non essere strutturalmente intaccato da fluttuazioni macroeconomiche, e dunque nemmeno politiche.
Nel 2021-22, un tentativo di speculazione dopo il crollo di Terra-Luna ha sollecitato le nostre riserve - ne abbiamo dovute liquidare oltre il 25% in meno di un mese, pari a circa 20 miliardi di dollari - e quasi non abbiamo battuto ciglio, dove le banche invece avrebbero capitolato per due o tre volte di fila.
Detto ciò, l’apertura di entrambi i candidati alla Casa Bianca verso Bitcoin è un segnale positivo per l’intero settore delle valute digitali. Ancoraggio ad altri asset a parte, come l’oro, l’adozione di una stablecoin come la nostra dipende più dalla sua utilità e affidabilità - che garantiamo con competenza e stacanovismo - che dalla politica del Paese che emette una valuta, perdipiù se ormai interdipendente con i mercati globali come gli Stati Uniti.
Tuttavia, un ambiente normativo favorevole negli USA potrebbe accelerare l’integrazione delle stablecoin nel sistema finanziario. Indipendentemente da chi vincerà, quindi, ci aspettiamo un trend che dovrebbe tradursi in una più diffusa ed effettiva consapevolezza di ciò che facciamo. E questo non è affatto un dettaglio, perché potrebbe finalmente portare a regolamentazioni chiare, e soprattutto adatte al grado di innovazione e complessità tecnologica che devono normare».
D: USDT è ancorata al dollaro USA con rapporto di parità, ma Tether ha appunto emesso anche altre stablecoin ancorate a euro, yuan cinese e peso messicano. Quest’estate è arrivata la stablecoin con il dirham, valuta ufficiale degli EAU. Quali altre novità ci aspettano?
R: Avete dimenticato quella legata all’oro, XAUT, quindi, mi dispiace, per sapere di più sui nostri progetti futuri dovrete partecipare al Plan ₿ Forum (www.planbforum.ch), venerdì 25 e sabato 26 ottobre, a Lugano!
Sono solo 30 km dal confine italiano, e potrete sentire dove si dirigono l’innovazione finanziaria e il suo impatto su aziende, governi e libertà personali anche da Nick Szabo, dalla famiglia di Julian Assange, da Adam Back e altri 100 speaker.
D: La sua è una storia di successo, tanto da essere inserito nella top 30 degli italiani e delle italiane più ricchi dell’anno passato. Quali consigli darebbe ai giovani - e non - con aspirazioni imprenditoriali per riuscire a capitalizzare nel mondo tech italiano e internazionale proprio come è riuscito a fare lei? Quali sono le competenze necessarie e quali sono le attitudini più utili per raggiungere il successo?
R: «Più che di successo e soprattutto più che di soldi - anche perché le stime su cui si basano queste classifiche sono quantomeno migliorabili, in fatto di accuratezza -, parlerei di utilità raggiunta per le persone, di impatto del lavoro che svolgiamo, e di opportunità che questo consente di avere, di cose stimolanti che consente di fare, creare, realizzare: questo è quello che mi sprona ogni giorno a dare il massimo.
A Tether, non ci piace redistribuire gran parte degli utili per acquistare yacht di 200 metri, ma investire in ulteriori società, brevetti e competenze tecnologiche, in idee da sviluppare che sposino la nostra filosofia di bitcoiners libertari, come sistemi di comunicazione a privacy totale mediante tecnologie P2P, AI, progetti di economia circolare ed energia pulita sostenuti dal mining di Bitcoin, e neurotecnologie.
Può sembrare paradossale, per chi come me lavora su così tanti fronti, ma ai giovani aspiranti imprenditori dico soprattutto che serve focalizzarsi, scegliere un obiettivo e focalizzarsi sul raggiungerlo, risolvere un problema reale, darsi delle priorità e non lasciarsi rallentare dalle distrazioni che, nel mondo tech in particolare, sono sempre dietro l’angolo.
Non si può fare tanto, se prima non si fa e si conclude molto bene qualcosa. In termini di competenze chiave, ritengo fondamentale essere fanatici del prodotto, curare i dettagli e disporre di una solida base tecnica. Ma altrettanto importanti sono la capacità di adattarsi rapidamente, la resilienza di fronte agli errori e ai fallimenti, il pensiero critico e l’abilità di comunicare efficacemente le proprie idee. Bisogna imparare dai momenti critici, lasciandosi guidare dalla bussola che abbiamo scelto senza crogiolarsi nello sconforto».
D: A suo avviso è possibile oggi fare innovazione in Italia a livello imprenditoriale, avere un successo significativo e mantenere gli headquarter in Italia nel lungo periodo? A livello lavorativo ci sono in Italia talenti pronti che aspettano solo l’azienda giusta nel loro Paese per fare la differenza o chi ha ambizioni si trova sempre a essere già fuori dall’Italia quando raggiunge il punto di maturazione professionale?
R: «L’Italia ha ovviamente un potenziale enorme perché è un Paese ricco di risorse naturali, culturali e talenti straordinari, specialmente in ambito tecnologico e creativo. Il problema non è quindi certo la mancanza di competenze, ma di un contesto istituzionale - così come quello europeo, se pensate che “mal comune, mezzo gaudio” - inadatto a supportare l’innovazione, che non attrae e soprattutto non trattiene né i più bravi né i più abbienti o pronti a investire in essa.
Questo significherebbe compensi competitivi, pressione fiscale adeguata e un ecosistema concretamente dinamico e aperto, non solo con le parole sui media. Proprio perché europei, e in particolare italiani, abbiamo dovuto sfatare ancora più dubbi sul nostro conto: come potevamo davvero aver realizzato un progetto così dirompente a regola d’arte?
Serve reale sostegno, con azioni e incentivi che rendano il fare impresa in Italia auspicabile, sostenibile, credibile. Bisogna sviluppare, oltre che un brand - supportato da fatti - da proporre all’esterno, un “pensiero globale” mediante cui valorizzare ciò che ci rende unici, e su cui fondare ogni processo imprenditoriale che parta da - o si installi nel - nostro Paese. Fatto questo (e non è mica poco), quanto a capacità individuali, l’Italia potrebbe certamente essere un hub di innovazione globale».
D: Money.it e Moneymag.ch sono da diversi anni media partner del Plan ₿ Forum di Lugano, in Svizzera. Come è nata questa iniziativa? Il Plan ₿ di Lugano può essere anche un piano adatto per una città più grande e italiana nel prossimo futuro, magari proprio Roma?
R: «Il Plan ₿ di Lugano è nato dall’obiettivo, condiviso con la Città, di creare un ecosistema all’avanguardia per l’adozione di Bitcoin, della sua blockchain e delle tecnologie P2P, e lo sviluppo di progetti tech, di formazione e divulgazione in ambito finanziario.
La scelta del luogo non è stata casuale: si tratta di un ambiente caratterizzato da un contesto normativo e amministrativo favorevole, di dimensioni contenute, gestito in modo snello e aperto all’internazionalità. Il Plan ₿ di Lugano può certamente essere una fonte di ispirazione - anzi lo è già -, ma ogni posto deve trovare il proprio percorso verso l’innovazione blockchain, a partire dalle proprie peculiarità.
L’idea di base, e cioè integrare l’uso di queste tecnologie nella vita quotidiana, potrebbe certo essere adattata, ma replicare tutto il modello a Roma presenterebbe difficoltà connaturate al sistema Italia, oltre che alla città in sé e alle sue dimensioni. La scala e la complessità amministrativa renderebbero estremamente complessa e ritarderebbero molto un’implementazione efficace di quanto fatto a Lugano: ci sarebbero forti ostacoli burocratici e logistici da superare, mentre in Ticino viviamo una semplice, stretta collaborazione tra settore privato, istituzioni accademiche e amministrazione pubblica».
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