È arrivato il momento di cambiare l’Isee? Gli ultimi dati ci confermano che non funziona come dovrebbe in quanto non tiene conto della situazione economica attuale.
Riteniamo che i tempi per una riforma dell’Isee siano maturi.
A supporto della nostra tesi ci sono gli ultimi dati riportati dal Caf Acli, secondo il quale nel 2023 c’è stato un aumento medio degli indicatori Isee. Quest’anno, quindi, per le famiglie l’Isee è genericamente più alto e ciò significa che ci sono meno possibilità di accedere a bonus e agevolazioni. Il problema è che, nonostante l’Isee, oggi la situazione economica delle famiglie non è migliore rispetto agli anni scorsi: basti guardare alle conseguenze dell’inflazione e all’impatto che sta avendo sui risparmi degli italiani per rendersi conto che oggi come non mai per le famiglie sarebbero necessari nuovi aiuti.
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Il problema è che l’Isee viene calcolato sulla situazione economica aggiornata a 2 anni prima a quella in cui viene presentata la Dsu: è ovvio quindi che l’Isee 2023, che tiene conto del 2021, risulterà più alto rispetto a quello del 2022 dove invece veniva fotografata la situazione economica nel periodo caratterizzato dalla pandemia.
Il problema è che non si tiene conto delle difficoltà attuali, dell’inflazione che dal 2022 ha messo in ginocchio le famiglie. Ed è proprio quanto sta succedendo in questi mesi che supporta le argomentazioni di tutti coloro che, da anni, chiedono allo Stato di rivedere l’Isee in modo tale da renderlo uno strumento che guardi maggiormente all’attualità.
Aumento del valore Isee nel 2023
L’analisi del Caf Acli ha preso in considerazione 408 mila famiglie: ne risulta in tutta Italia (ma nel Nord Est l’incremento è appena inferiore rispetto alla media) un incremento dell’indicatore del 12% rispetto al 2022 e del 14,2% rispetto al 2021.
In particolare, l’aumento maggiore lo hanno le famiglie che hanno almeno 5 componenti, per le quali l’Isee è cresciuto tra il 14% e il 18% negli ultimi 3 anni. Per i nuclei con un solo componente, invece, l’incremento è solamente del 12%.
Un aumento che comporta un netto calo delle famiglie con Isee molto basso: ad esempio, quelle con un indicatore sotto i 3.000 euro sono meno del 9,9% del totale, mentre lo scorso anno erano il 15%. Allo stesso tempo crescono quelle con Isee superiore a 40.000 euro, passate al 4% del totale.
Quindi le famiglie stanno meglio?
Da tali dati ne potremmo dedurre che le famiglie italiane oggi stanno meglio. E invece no: l’unica cosa di cui possiamo essere certi è che stavano meglio nel 2021 (periodo preso in considerazione per l’Isee 2023) rispetto agli anni del Covid, il 2020 e al 2019 (Isee 2022 e Isee 2021).
Non è invece assolutamente detto che il 2022 o il 2023 siano stati migliori del 2021. Anzi, se si guarda a un’analisi condotta dalla Fabi (Federazione Autonoma Bancari Italiani) sembra proprio che non sia così in quanto va considerato l’effetto inflazione sul risparmio degli italiani.
Nel dettaglio, nel 2022 il saldo totale dei conti correnti in Italia vede una differenza di circa 20 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, dimostrazione che quanto emerge dalla fotografia dell’Isee 2023 non rispecchia di fatto la realtà.
Il paradosso dell’Isee: bonus in base alla situazione economica di 2 anni prima, che senso ha?
Bonus e agevolazioni dovrebbero intervenire in supporto delle famiglie nel periodo di massima difficoltà. Tuttavia, secondo le regole attuali dell’Isee, non è detto sia così visto che l’indicatore tiene conto della situazione reddituale e patrimoniale aggiornata a 2 anni prima. Prima di ricevere l’aumento di una prestazione collegata all’Isee, come ad esempio nel caso dell’Assegno unico, bisognerà quindi attendere 2 anni.
C’è chi potrebbe obiettare facendoci notare che oggi esiste lo strumento chiamato Isee corrente, con il quale - in caso di peggioramento di redditi e patrimoni, o comunque per una variazione dello stato occupazionale di uno o più componenti - si può tener conto dell’ultimo anno, o persino degli ultimi 2 mesi per il lavoratore dipendente a tempo indeterminato per cui sia intervenuta la perdita, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa ovvero di interruzione dei trattamenti. Tuttavia, condizione essenziale è che la variazione dei redditi sia perlomeno del 25%, mentre per i redditi è sufficiente un ribasso del 20%.
Chi ha subito un peggioramento del reddito rilevante ma comunque inferiore al 25%, o comunque ha visto ridurre il proprio conto corrente ma in misura più bassa rispetto al 20% richiesto dalla normativa, non potrà ricorrere all’Isee corrente e dovrà quindi aspettare almeno un altro anno per far sì che l’indicatore tenga conto del peggioramento dell’ultimo periodo, o persino altri 2 anni laddove il peggioramento ci sia stato nell’anno a cui l’Isee fa riferimento.
Non sempre, quindi, l’Isee corrente è la soluzione al problema. Ecco perché, per far sì che il calcolo di bonus e il riconoscimento di agevolazioni tenga conto della situazione attuale e non di quella riferita a un periodo ormai distante, sarebbe opportuna una riforma dell’Isee o comunque il passaggio a uno strumento differente - come ad esempio potrebbe essere il quoziente familiare - e maggiormente adatto al contesto in cui viviamo.
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