I locali childfree commettono un illecito o è legale vietare ai bambini l’ingresso al ristorante? Ecco cosa prevede la legge in proposito.
Anche se all’estero è una pratica consolidata in Italia i ristoranti e i locali childfree sono una moda relativamente nuova, spesso oggetto di polemiche e discussioni. Per qualcuno poter mangiare senza sentire bambini che piangono è davvero un enorme sollievo, per non parlare di camerieri e ristoratori spesso alle prese con bimbi che scorrazzano per il ristorante ostacolando il servizio e mettendo a rischio tutti gli ospiti.
Altri, invece, trovano inconcepibile che un esercizio pubblico possa negare l’ingresso alle famiglie con figli piccoli, che hanno pari diritti di tutti gli altri clienti paganti e sentono di subire un’ingiustizia. A dire il vero, pare che la posizione rispetto ai ristoranti childfree non dipenda più di tanto dall’avere figli o meno, quanto piuttosto dalle convinzioni personali in merito.
La morale e l’educazione sono concetti estremamente soggettivi, per questo motivo tanti invocano l’aiuto della legge per stabilire con certezza se sia giusto o meno vietare l’ingresso dei bambini al ristorante. Qualcuno ritiene che il proprietario del locale possa decidere liberamente a chi consentire l’ingresso e a chi negarlo, altri pongono l’accento sulla possibile discriminazione e sulla regolamentazione dei pubblici esercizi. Chi avrà ragione?
È legare vietare l’ingresso dei bambini al ristorante?
Una risposta risoluta e concisa metterebbe fine al dibattito in tempi ridotti, ma purtroppo la questione non è tanto semplice come potrebbe apparire. Le norme inerenti non sono delle più specifiche e la giurisprudenza sull’argomento è ancora scarna per poter individuare l’orientamento prevalente, vista anche la giovane età dei ristoranti childfree.
In linea generale, si può affermare che non è legale vietare ai bambini di entrare al ristorante e di conseguenza che i ristoranti childfree commettono un illecito. La norma di riferimento è il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps) che all’articolo 187 definisce proprio gli obblighi degli esercenti rispetto ai clienti.
In particolare, la legge stabilisce che gli esercenti non possono negare le prestazioni ai clienti che le richiedono e pagano il prezzo pattuito, salvo le seguenti eccezioni:
- somministrazione di alcolici a minori o infermi di mente;
- somministrazione di alcolici a persone in stato di evidente ubriachezza;
- presenza di un legittimo motivo contrario.
L’incertezza deriva proprio dal cosiddetto legittimo motivo, del quale non si dispone di un’interpretazione univoca. Bisogna però considerare la regolamentazione degli esercizi pubblici e i loro doveri, concludendo che la legittimità può essere trovata in un effettivo impedimento o impossibilità (per esempio il cliente ha ordinato un piatto ma sono terminati gli ingredienti e si propone un’alternativa), altrimenti nella sicurezza della collettività.
Il semplice fatto di essere bambini o minorenni non indica di per sé alcuna caratteristica di potenziale pericolo e l’eventuale differente interpretazione aprirebbe le porte a ulteriori discriminazioni, potenzialmente nei confronti di qualsiasi soggetto. L’età anagrafica da sola non è un requisito sufficientemente valido per giustificare il diniego della prestazione.
La presenza di un legittimo motivo sarebbe invece ammissibile in caso di necessità di tutelare i diritti della collettività, per esempio l’ordine pubblico e la quiete pubblica. L’esercente non può però agire preventivamente, dando per scontato che ci saranno disturbi, potendo allontanare i clienti soltanto in caso di effettiva lesione di questi interessi.
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Cosa si rischia
Gli esercizi pubblici che non rispettano la legge vanno incontro a una sanzione amministrativa da 516 a 3.098 euro, come previsto dal Tulps. Quest’ultimo si applica esclusivamente agli esercizi pubblici, coloro che somministrano cibo e bevande - come ristoranti, bar e pizzerie - in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
La regola non si applica a luoghi come i circoli privati e le discoteche, che non erogano attività essenziali, e infatti possono applicare una selezione della clientela in modo del tutto libero e discrezionale.
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