Nella procedura per la richiesta della Naspi c’è un dettaglio che rischia di sfavorire le lavoratrici che si dimettono nel periodo di maternità. In attesa di chiarimenti Inps, ecco cosa sappiamo.
Le lavoratrici hanno la possibilità di dimettersi entro il 1° anno di vita del figlio mantenendo il diritto all’indennità di disoccupazione Naspi. Tuttavia c’è un fattore, di cui vi parleremo di seguito, che sembra penalizzare le neo mamme.
Come noto ai più, l’indennità di disoccupazione spetta a patto che ci sia stata una perdita involontaria del rapporto di lavoro. Per questo motivo, eccetto nel caso della giusta causa, non spetta a chi rassegna le dimissioni. Non è così però nel caso delle lavoratrici che si dimettono nel periodo di maternità che scatta dai 300 giorni antecedenti la data del parto al 1° anno di vita del figlio, quando tra l’altro sussiste il divieto di licenziamento. In tal caso, infatti, l’articolo 55 del Testo unico a tutela di maternità e paternità stabilisce che per le dimissioni presentate durante il periodo in cui vige il divieto di licenziamento si ha diritto alle stesse indennità che sarebbero state riconosciute in caso di licenziamento: ciò significa che la lavoratrice - e da qualche mese anche il lavoratore - che si dimette nel periodo di maternità ha comunque diritto alla Naspi.
Tuttavia, le lavoratrici che intendono dimettersi nel periodo di maternità devono seguire una procedura specifica che potrebbe ritardare il pagamento della Naspi e che in alcuni casi rischia di comportare uno svantaggio.
Come rassegnare le dimissioni nel periodo di maternità
Le dimissioni rassegnate nel periodo compreso tra i 300 giorni prima del parto al compimento del primo anno di età del figlio devono essere convalidate dall’Ispettorato territoriale del lavoro.
Non vanno rassegnate telematicamente quindi, in quanto basta consegnare la lettera di dimissioni al datore di lavoro e prendere appuntamento con la sede dell’Ispettorato competente sul territorio dove un operatore accerterà che non c’è stata alcuna costrizione da parte del datore di lavoro. Questa procedura rappresenta infatti una tutela per la lavoratrice, in quanto così si cercano di evitare quelle spiacevoli situazioni in cui le dimissioni vengono rassegnate a seguito di pressioni da parte del datore di lavoro.
L’appuntamento per la convalida delle dimissioni in maternità può essere svolto in presenza oppure in videochiamata, mentre da qualche tempo ormai non è più disponibile la convalida per mezzo di scambio di mail come succedeva nel periodo della pandemia.
Per far sì che le dimissioni risultino effettive, quindi, bisognerà attendere l’appuntamento dell’Ispettorato nazionale del lavoro che solitamente potrebbe essere fissato diversi giorni - o settimane - dopo dalla data di cessazione del lavoro. Tuttavia, non ci sono conseguenze per la lavoratrice in quanto la convalida sarà comunque retroattiva. Il problema semmai riguarda la Naspi, perché come vedremo di seguito aspettando la convalida da parte dell’Itl si rischia di dover rinunciare a una o più mensilità dell’indennità di disoccupazione.
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Da quando decorre la Naspi?
La Naspi decorre dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, ma solo se la domanda viene inviata entro tale termine. Successivamente, infatti, la Naspi spetta dal giorno successivo alla presentazione della domanda.
Ma cosa succede se la lavoratrice presenta domanda di Naspi dopo la convalida dell’Ispettorato, che solitamente avviene abbondantemente dopo gli 8 giorni dalla cessazione del lavoro? L’Inps tiene conto della data di notifica dell’Ispettorato oppure di quando è cessato il rapporto di lavoro? Qualche settimana fa abbiamo inviato all’Istituto una mail con richiesta di chiarimento alla quale però non è seguita risposta.
Per il momento però sappiamo che diversi operatori Inps considerano la data di cessazione del rapporto anche nel caso delle dimissioni convalidate dall’Itl.
Prendiamo il caso di una lavoratrice che cessa di lavorare il 1° marzo ma che per la convalida deve attendere l’appuntamento dato dall’Ispettorato in data 3 aprile. Lo stesso giorno invia domanda di Naspi, la quale però decorrerà solamente dal giorno successivo alla richiesta, ossia dal 4 aprile.
Di fatto, non godrà di alcuna indennità nel periodo precedente che va dall’8 marzo (8° giorno successivo la cessazione del rapporto) al 3 aprile, nonostante non abbia potuto inviare la domanda d’indennità di disoccupazione entro gli 8 giorni per cause di forze maggiori.
Chi viene svantaggiata?
Va detto che nella maggior parte dei casi potrebbero non esserci problemi, poiché rinviando l’inizio della Naspi se ne ritarda anche il termine. Consideriamo ad esempio che se ne debba godere per 12 mesi: anziché dall’8 marzo 2023 al 7 marzo 2024 ne avrà diritto dal 4 aprile 2023 al 3 aprile 2024.
Il problema sorge però nel caso in cui la beneficiaria di Naspi debba iniziare un nuovo lavoro. In tal caso, infatti, ci sono buone probabilità che la Naspi s’interrompa. Allora sì che la lavoratrice verrebbe svantaggiata: se ad esempio questa inizia a lavorare il 1° giugno, infatti, avrà goduto della Naspi per circa 2 mesi anziché per 3.
Un aspetto che a quanto pare non è stato considerato dall’Inps e sul quale siamo speranzosi di una risposta in tempi brevi così da capire se effettivamente chi si dimette in maternità rischia di essere svantaggiato ai fini della Naspi.
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