La durata della Naspi è pari alla metà delle settimane contributive maturate negli ultimi 4 anni e non hai periodi di lavoro. Ecco perché non è (sempre) la stessa cosa.
Chi sta per prendere la Naspi deve sapere che non sempre la durata dell’indennità di disoccupazione equivale alla metà dei periodi lavorati negli ultimi 4 anni. Per calcolare la durata della Naspi, infatti, si tiene conto delle settimane contributive e non dei periodi di lavoro: e se nella maggior parte dei casi non vi è differenza visto che le due voci coincidono, ci sono alcune situazioni che comportano il riconoscimento di una contribuzione inferiore rispetto alla durata del periodo lavorato, con conseguenze - negative - anche per l’indennità di disoccupazione.
Nel dettaglio, a dover temere una Naspi di durata inferiore alla metà del periodo lavorato sono coloro che hanno avuto una retribuzione inferiore al minimale contributivo fissato dall’Inps. In tal caso, infatti, un anno di lavoro non equivale a un anno (52 settimane per l’esattezza) di contributi, in quanto opera il cosiddetto meccanismo della contrazione che proporziona i contributi in base alla retribuzione percepita.
Quanto dura la Naspi?
Siamo soliti semplificare dicendo che la durata della Naspi è pari alla metà dei periodi lavorati negli ultimi 4 anni, esclusi ovviamente quelli che hanno già dato luogo a indennità di disoccupazione. Ad esempio, un lavoratore che viene da 2 anni di lavoro avrà diritto a 1 anno di Naspi, mentre chi ha cessato dopo un rapporto di lunga durata - ad esempio di 5 anni - ne beneficerà per 2 anni (il massimo possibile). Tuttavia, per quanto nella maggior parte dei casi è davvero così, può succedere che la Naspi venga riconosciuta per un periodo inferiore a quello lavorato.
Infatti, in realtà la durata della Naspi è pari infatti alla metà delle settimane contributive maturate negli ultimi 4 anni, eccetto quelle che hanno già dato luogo all’indennità di disoccupazione.
Di conseguenza, non è sempre detto che le settimane contributive siano pari a quelle lavorate. Come anticipato, ciò dipende dalla retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro che se non superiore a una certa soglia non comporta il pieno riconoscimento contributivo.
Contrazione contributiva, cos’è e come penalizza la Naspi
Per far sì che una settimana di lavoro equivalga a una settimana di contributi è necessario che la paga percepita sia pari o superiore al minimale retributivo, il quale - essendo l’equivalente del 40% del trattamento minimo di pensione - ogni anno è soggetto a rivalutazione in base all’andamento dell’inflazione. Di conseguenza, per gli stipendi inferiori interviene un meccanismo che riproporziona i contributi riconosciuti alla retribuzione percepita.
Nel dettaglio, la contrazione opera secondo la seguente proporzione:
Retribuzione minima settimanale : 52 = Retribuzione settimanale percepita : X
Considerando che quest’anno il trattamento minimo è pari 567,94 mensili, ne risulta che la retribuzione minima settimanale deve essere pari a 227,18 euro. Solo così per ogni settimana di lavoro viene riconosciuta una settimana contributiva valida anche ai fini della Naspi.
Prendiamo invece come esempio un lavoratore part-time con retribuzione settimanale di 100 euro. Effettuando la seguente proporzione:
227,18 : 52 = 100 : X
ne risulta che X, quindi le settimane contributive riconosciute per un anno di lavoro, sono pari a 22,88 (arrotondato a 23).
Il che ovviamente avrà conseguenze anche per la Naspi: consideriamo ad esempio che tale rapporto di lavoro vada avanti da 4 anni e che una volta interrotto il dipendente part-time faccia domanda d’indennità di disoccupazione: gli anni di lavoro sono 4, ma la Naspi - differentemente da quanto succede per coloro che hanno guadagnato una cifra pari o superiore al minimale contributivo - non avrà una durata biennale.
Considerando che per i 4 anni di lavoro part-time con paga di 100 euro settimanali sono state riconosciute 23 settimane di contributi l’anno, per un totale quindi di 92 settimane, ne risulterà che l’indennità di disoccupazione verrà riconosciuta per poco meno di un anno, 46 settimane per l’esattezza (circa 10 mesi).
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